Il cinema è in crisi per molti motivi, e anche per colpa sua, a furia di film depressi e deprimenti e politicamente corretti. Forse reagisce al degrado un recente filone ispirato alle biografie illustri, e più in generale a letteratura e arte. Il film di Michele Placido “Eterno visionario”, sugli aspetti meno noti della vita di Luigi Pirandello (1867-1936), merita il massimo apprezzamento. Questo ho rilevato:
– capacità di sintesi, che in un’opera d’arte è sempre un grande valore: il filo conduttore è infatti l’onda di ricordi che assale Pirandello nel momento più alto della sua carriera, il Nobel del 1934;
– ottima ricostruzione scenografica di un ambiente medio borghese dei primi decenni del Novecento;
– corretta e convincente recitazione;
– acuto scavo biografico delle vicende personali del grande drammaturgo, con la malattia mentale della moglie e il rapporto conflittuale con i figli;
– sufficiente e filologica narrazione dell’ambientazione esterna, sia della sicilianità, sia dei buoni rapporti con il governo fascista;
– delicatezza nel narrare l‘amore poetico per Marta Abba (1900-88), figura affascinante e dolente, e, diremmo pirandellianamente, una vita potenziale mancata rispetto alle grandi aspettative;
– il rapporto conflittuale con il pubblico, segnato a volte da ostilità, infine dal successo mondiale.
Diremmo dunque che il film di Placido mostra, per dirla con Pirandello autore e scrittore, la bravura cinematografica di rappresentare le “machere nude”, e quanto si nasconda dietro ogni vita, che è sempre teatro; e forse è tanto più teatro quanto meno ne siamo consapevoli, e siamo perciò tutti dei bravi attori. Uomo di cultura classica, sapeva bene Pirandello che thèatron significava, in greco, ammirazione con stupore, e identificazione tra lo spettatore e la rappresentazione scenica dell’esistenza.
Ulderico Nisticò