Un indiano premier britannico


 Un indù, e anche induista di religione, diventa premier [uso qui una locuzione confacente, in quanto inglese] della Gran Bretagna. Pare curioso, ma la storia, paradossalmente, parla per lui. Del resto, anche il sindaco di Londra è pakistano.

 La storia. L’India, corrispondente a India attuale, Pakistan, Bangla Desh, Ceylon, era un immenso impero governato dal Gran Moghul di Dheli, ma di fatto una confederazione di rajà (reg-em: le lingue indiane sono in massima parte indoeuropee, quindi sorelle di latino e greco), maharajà (magnus, mega reg-em), nababbi e principi vari, e città e repubbliche; e religioni induista e musulmana, e anche cristiana che vantava fondazione da s. Tommaso Apostolo. Uno di questi potentati era la Compagnia delle Indie, una società privata di ricchi britannici esercitanti commercio di tè e altri prodotti preziosi; e che governava di fatto vasti territori e disponeva di una flotta e di un esercito: i famosi Lancieri del Bengala. Una buona parte della ricchezza inglese veniva dall’India, che diveniva un enorme mercato per la nascente industria.

 Intanto l’Impero si sfaldava, e i diversi principi si rendevano indipendenti, con incipiente anarchia. Nel 1854, le truppe indiane della Compagnia si ribellarono, venendo represse in modo crudele; ma non abbastanza. Ai privati dovette subentrare lo Stato, che estese il suo controllo su sempre più vasti spazi, sottomessi direttamente (India Britannica) o in vassallaggio (India dei principi); finché, nel 1876, il primo ministro Beniamino Disraeli, che era un ebreo di Livorno, non impose la soluzione di proclamare imperatrice delle Indie la regina Vittoria.

 Non poteva durare, e sorsero diversi movimenti antinglesi: Chandra Bose, sostenitore dell’Asse e del Giappone; il Califfato; il Partito del Congresso; le azioni non violente di Ghandi. Nella Seconda guerra mondiale, truppe indiane operarono assieme a quelle britanniche; ma, finita la guerra, si pose l’esigenza del ritiro inglese. Non era facile, però, soprattutto per la divisione religiosa tra induisti e musulmani. Dopo un breve ma sanguinoso conflitto, ed esodi di popolazioni, l’ONU trovò il solito rimedio peggiore del male: creare uno Stato musulmano con i territori orientali e con il Bengala, chiamato Pakistan; e uno induista. Frequenti furono gli scontri, in particolare per il Kashmir. Nel 1971, il Bengala si separò, non senza conflitto, ed è il Bangla Desh.

 L’India ha superato la Cina per numero di abitanti; e ha delle aree di grande sviluppo, accanto a grandi povertà. Del tutto indipendente, è però costretta all’uso dell’inglese, non come residuo del colonialismo, ma perché si parlano 450 lingue, due terzi indoeuropee, diversissime tra loro, e poco adatte al mondo contemporaneo.

 Per una residua nostalgia imperiale, Londra concesse la cittadinanza a tutti gli ex sudditi, evidentemente immaginando che la considerassero una patacca onorifica; e invece molti l’hanno presa sul serio, e oggi il premier è Rishi Sunak, indiano e induista. Beh, furono imperatori delle Indie Vittoria, Edoardo VIII, Giorgio V, Edoardo VIII e Giorgio VI; Rishi rende il favore. Del resto, a fondare l’impero inglese era stato un italiano di religione israelitica. E anche il nostro Regno Meridionale, che visse ottocento anni, lo crearono degli avventurieri normanni, a loro volta di origine norvegese.

Ulderico Nisticò