Un mezzo film su mezzo Dante


 Che Dante abbia evacuato nell’Archiano, è ovvio ma superfluo mostrarlo: tutti quelli che abbiamo studiato in storia, filosofia, letteratura, essi, per grandi e dotti e saggi e santi che siano, eccetera, hanno sempre evacuato, e così le loro donne, spiritualizzate o meno. Il “dantista” (così sta scritto nel film) si cura, se mai, di come quell’affluente dell’Arno abbia trascinato via il corpo di Bonconte; e di tutto ciò si parla nel V del Purg., ma non nel film.

 Che Dante sia stato “costretto” a partecipare alla battaglia di Campaldino, e, aggiungo, all’assedio di Caprona, è un discorso politicamente corretto, quindi falso, che osta a quanto l’Alighieri vanta nel detto V Purg., e anche in XXII Inf. e altrove, circa la sua condizione di ex combattente. C’è un cenno al saccheggio del territorio aretino, ma se ne accorge solo chi conosce l’inizio del suddetto canto. Sorvolo sullo scomodo coito mercenario in maglia di ferro!

 Beatrice era sposata; ma anche Dante lo era, dall’età di sedici anni: operazioni normalissime, a quel tempo e per molto tempo ancora, e che non comportavano una particolare partecipazione sentimentale. Qualche maligno ha trovato da fare illazioni a proposito di VIII Purg. Certo è che Gemma non seguì il marito in esilio.

 A proposito di esili, vero che fu Dante a proporre di cacciare tutti i capi di parte bianca e di parte nera, che per far politica ricorrevano facilmente alle armi; ma era finita da tempo l’amicizia con Guido Cavalcanti, che scrisse un violento sonetto contro l’Alighieri. Cecco Angiolieri, invece, lo piglia in giro per le sue manie di nobiltà. Divina Commedia, appena appena accennata: è un Poema Sacro e cattolico, quindi, meglio evitare, se no si offende qualcuno?

 Di tutto ha bisogno, Dante, tranne che di essere umanizzato. In tutta la Commedia si umanizza da solo, confessando direttamente o per allusione parecchi peccati, inclusa la lupa (€€€, che però all’epoca non erano cartaccia, bensì sonanti fiorini d’oro), e mostra tante contraddizioni anche politiche; e abitudini curiose, come quella di passare in tempo nelle botteghe, e ne trae uno dei più bei versi che siano mai stati concepiti da un poeta: “come vecchio sartor fa nella cruna”. E ogni volta che mangia pane lo trova salato, sentendo in bocca di non essere a Firenze, dove il pane è sciocco.

 Anche l’angelica Beatrice gli appare, in sogno, nuda: mentre il film si contenta di un topless, e spoglia Gemma.

 Compare per un momento Bonifazio VIII; ma solo chi conosce Inf. XIX sa che Dante, per vendetta, lo colloca in lista d’attesa per finire nella Terza Bolgia a testa in giù e piedi cotti.

 Insomma, affidare un film su Dante a Pupi Avati perché “lo umanizza” è come invitare me a correre al Giro d’Italia perché mi piace andare in bici. “Ciabattino, non oltre la scarpa”, gridò il pittore Apelle, e rimane in proverbio, Sutor, ne ultra crepidam.

 Alla fine, però, il film mi è quasi piaciuto, ma per ragioni che nulla hanno a che vedere con “l’intenzion dell’arte” del regista: è un’interessante carrellata di resti medioevali di Emilia Romagna, Umbria e Lazio (la Toscana non ha partecipato: boh!), e qualche ricostruzione di ambienti e costumi. È stato realizzato, si legge nei titoli di coda, con aiuti delle Regioni e di tanti noti e ignoti Comuni, di cui, tranne uno, vengono educatamente indicati i sindaci pro tempore; quindi, credo, a scarse spese. E con un attore bravo e varie partecipazioni fugaci.

 Nel 2021 avevo suggerito di fare qualcosa in Calabria, anche di cinema. Che c’entra la Calabria? Uh, anche se il regista non lo sa: il pensiero di Dante è fortemente influenzato da Gioacchino da Fiore, anche negli aspetti poetici. Per il regista, e per almeno l’80% dei Calabri e il 90 degli Italiani: Gioacchino, chi era costui? Ovviamente, è colpa della Calabria e dei nostri intellettuali piagnoni segue cena.

Ulderico Nisticò