Alla presenza dell’ispettore don Angelo Santorsola e dei confratelli don Drosi e don Anastasio, don Pasquale Voci è stato sepolto nella sua Sant’Andrea, dov’era nato poco meno di 102 anni fa da una famiglia laboriosa, che annoverò, tra gli altri un alto funzionario dello Stato e un medico celebre in America.
Sacerdote di spirito salesiano, era un uomo di cultura poliedrica; e ha attraversato le esperienze religiose, intellettuali, sociali del suo lungo secolo di vita, a volte seguendole, altre volte evitandole, sempre comprendendole; e sempre trasmettendole alle molte generazioni di studenti che ha formato, in particolare nell’Istituto di Soverato.
Nel periodo in cui mi trovavo io, dal 1959 al ’68, avvenne un rapido cambiamento del mondo. La Chiesa aveva concluso il Concilio Vaticano II, con le sue innovazioni; il progresso tecnologico provocava sconvolgimenti sociali e di visione della vita; la politica perdeva le sue certezze. Don Voci, sempre attento, si faceva interprete di questo non lineare travaglio, e lo trasmetteva, allo scopo di far crescere gli allievi con piena consapevolezza. Non avevo ancora dieci anni, quando, in I Media, tra robuste nozioni di latino, ebbe il coraggio di farci studiare, adeguatamente spiegato, quel documento inquietante di esistenzialismo e poesia maledetta che è “Il sonno di Carlo Magno” di Graf: un violento viatico di scelte morali. Da professore di filosofia al Liceo, non compì quelle scelte fuorvianti che coartano la genuina libertà, ma ci fece apprendere tutti i pensatori – alcuni erano allora viventi -; e in storia evitò ogni ideologizzazione politicamente corretta.
Salesiano profondo, educava al bene senza nascondere o edulcorare il male, ma preparando ad affrontarlo. Teneva molto alla disciplina formale, ma non a scapito della libertà di pensiero e di parola. Libero era anche lui, e non evitava, nei limiti del lecito, di esprimersi anche in dissenso con gli stessi confratelli.
Vivace di carattere, praticava molto quella fondamentale istituzione salesiana che è il cortile, facendo della ricreazione in mezzo agli allievi una variante della scuola. Era anche amico di tutti, con fare schietto e a volte popolaresco. Come si usa in Calabria, anche durante le Esequie abbiamo ricordato, tra vecchi compagni di classe, tanti aneddoti simpatici: don Voci americaneggiante, don Voci “di sinistra”, don Voci “reazionario”; e sempre stimolando qualche feconda polemica, in cui ci tuffavamo con grande piacere, e anche, soprattutto, con qualche altro utile di apprendimento. Questa è l’essenza della scuola salesiana, la sua durata oltre l’orario, a passeggio, in ricreazione, di pomeriggio, all’Oratorio… E, nella memoria, per tutta la vita.
Ci piacerà ricordarlo a lungo, come fosse vivo, egli che tanto vivo era e voleva apparire ed essere. Dio gli conceda il riposo meritato in 102 anni di fatica.
Ulderico Nisticò