Vincenzo Falcone, Brexit (cause ed effetti): “il gioco a ping pong del Regno Unito”


vincenzo falconeVincenzo Falcone, calabrese doc, originario di Zagarise in provincia di Catanzaro, laureato alla Bocconi è stato per 10 anni a Bruxelles svolgendo diversi incarichi: Segretario Generale presso l’Unione Europea, Direttore Bilancio, Finanze, Personale e Servizio Giuridico e Direttore dei Lavori Consultivi. Esperto in fondi comunitari e considerato fra i più preparati in Calabria su questa materia; per un breve periodo è stato anche un tecnico prestato alla politica diventando sottosegretario alla regione Calabria e per quanto riguarda il mondo accademico ha svolto attività di Docente di Politica Economica dell’Unione Europea presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. Conta diverse pubblicazione e studi fra i quali molti riguardante la materia comunitaria. Ci rivolgiamo a lui per analizzare la situazione situazione economica e finanziaria dopo il voto della Gran Bretagna che ha deciso di dire bye bye all’Europa. Falcone parte ripercorrendo il rapporto nel corso dei decenni fra GB ed Europa definito “il gioco a ping pong del Regno Unito” e alternando valutazioni tecnico-economiche ad altre di carattere politico-sociale.

Quale sono state a suo giudizio le cause del Brexit?

La grave crisi finanziaria internazionale del biennio 2011/12, il terrorismo internazionale ed i grossi flussi migratori sono stati le principali cause del Brexit. Gli inglesi non sono mai stati dei grandi europeisti e lo hanno dimostrato sin dal 1950, quando pur avendo beneficiato del Piano Marshall, non hanno fatto parte della CECA, nel 1951, e non hanno sottoscritto i Trattati di Roma, nel 1957, quando venne costituita la Comunità Economica Europea, con Francia, Germania dell’Ovest, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo Questo, perché il Regno Unito non ha mai visto l’Unione europea, con lo strumento chiave per il proprio sviluppo sociale ed economico, tant’è vero che, in quel periodo, il governo londinese era convinto che, con la creazione di una Area Europea di Libero Scambio (AELS), sarebbe stato possibile avviare un percorso di crescita strutturale dell’intera Europa, esclusivamente attraverso la liberalizzazione delle tariffe economiche. Naturalmente, il fallimento di questo progetto, che determinò una pesante e grave crisi economica del Regno Unito (con un Pil bassissimo ed una disoccupazione elevatissima), costrinse lo stesso a tentare la via europea. Così, dopo alterne vicende, l’Inghilterra entra nel mercato comune, insieme con a Danimarca e Irlanda, nel gennaio del 1973. Gia’ due anni dopo (1975), con la vittoria dei laburisti, venne indetto un referendum per decidere sulla permanenza del Regno Unito in Europa. Il 26 aprile 1975, l’elettorato britannico vota a favore del remain, con una maggioranza pari al 62% .

E’ stato sufficiente per cancellare lo scetticismo degli inglesi verso l’Europa?

Non credo, infatti, negli anni successivi, gli inglesi, anche a livello politico-istituzionale, hanno dimostrato un euroscetticismo continuo, in quanto hanno visto nella Francia e nella Germania dei Paesi più interessati al loro rafforzamento interno che propensi ad una vera integrazione europea. La non partecipazione all’Unione monetaria, ha dimostrato, infatti, questa propensione dell’Inghilterra ad essere più “autonoma” rispetto ai vincoli imposti da Bruxelles, nell’ambito della moneta unica, ma non ha mai rinunciato a rivendicare, con continuità’, i privilegi derivanti dall’essere uno stato dell’Unione, sulla base dei Trattati sottoscritti dagli Stati membri, da ultimo quello di Lisbona del 2009. Per quanto riguarda, la possibilità di un Paese membro dell’UE di poter uscire dalla Unione Europea, essa è stata prevista, per la prima volta, dall’art. 50 del Trattato di Lisbona che prevede che uno Stato membro può notificare al Consiglio europeo la sua intenzione di separarsi dall’Unione e un accordo di ritiro sarà negoziato tra l’Unione europea e lo Stato. I trattati cessano di essere applicabili a tale Stato a partire dalla data del contratto o, in mancanza, entro due anni dalla notifica, a meno che lo Stato e il Consiglio europeo siano d’accordo nel prorogare tale termine.
L’accordo è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio e stabilisce le modalità per l’uscita, tra cui un quadro di riferimento per future relazioni dello Stato interessato con l’Unione. L’accordo deve essere approvato dal Consiglio, che lo delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo. Se un ex Stato membro cercasse di ricongiungersi con l’Unione europea sarebbe soggetto alle stesse condizioni di qualsiasi altro paese candidato.

Quali sono, nell’immediato le conseguenze del BREXIT?

Sicuramente, questo evento non è da sottovalutare in quanto cambieranno molte cose nelle relazioni interistituzionali, tra il Regno Unito e gli altri Stati dell’Unione, specialmente per quanto riguarda il “consolidato” che si è creato in questo anni, non solo a livello politico, ma in particolare, a livello economico. sociale. Anche perché le conseguenze non sono facilmente valutabili nella loro interezza, atteso che è la prima volta, che uno Stato esce dall’Unione europea. Mi riferisco non solo agli effetti esterni, ma anche a quelli interni , dove il Paese, in termini generazionali, ha votato in modo nettamente differente, con una altissima percentuale di giovani ( naturalmente, più istruiti e competenti) che hanno votato Remain, mentre la vecchia generazione ha preferito BREXIT. Questo è un fatto molto grave perché chi pagherà gli effetti negativi di questi eventi saranno le nuove generazioni che avevano impostato il loro futuro, in un contesto di competenze condivise tra gli Stati membri e l’Unione Europea.
Anche a livello di articolazione sub statuale, il Regno Unito dovrà fare i conti con la Scozia e l’Irlanda del Nord che sono state le due regioni che hanno votato prevalentemente, Remain e che non rimarranno insensibili a questa scellerate iniziativa di Cameron che ha dimostrato di essere uno statista di basso livello, senza capacità prospettica.

A proposito di Cameron, come valuta la sua iniziativa che si è rivelata un boomerang per lui

Vorrei citare, a questo proposito, una frase di SIR WINSTON CHURCHILL: “Il politico deve essere in grado di prevedere cosa accadrà domani, il mese prossimo e l’anno prossimo, e, in seguito, avere la capacità di spiegare perché non è avvenuto.” E Cameron, ormai dimissionario, non credo abbia avuto questa intuizione.

Qualcuno prefigura scenari catastrofici….

Personalmente, non ritengo, comunque, questo evento una catastrofe per l’Europa, anche se gli effetti immediati, a caldo, non sono stati marginali, specialmente per alcuni Paesi come l’Italia, che deve fare i conti con la sua debolezza produttiva, con l’altissima disoccupazione, le eventuali crisi che subiranno alcune banche ed i flussi migratori. Per fortuna l’art. 50 del Trattato di Lisbona prevede un “periodo transitorio” per limitare i danni di una “separazione”, anche se la Commissione Europea cercherà di accelerare i tempi per evitare che altri Paesi seguano la stessa via intrapresa dal Regno Unito.

E’ reale il rischio di un effetto domino?

E’ necessario, nell’immediato, una nuova coscienza ed un nuovo modo e metodo di costruzione dell’integrazione europea, rivedendo, tra l’altro, la politica regionale, riflettere su un eventuale ulteriore allargamento, frenare la “germanizzazione” dell’Europa, riprendere con forza la politica mediterranea e lanciare un “Piano Marshall europeo” per ridurre i flussi migratori, attraverso anche la,definizione di un “progetto speciale” con i Paesi del Maghreb che dovrebbero avere un doppio ruolo: lavorare al loro interno, con l’aiuto dell’Unione Europea, per migliorare il processo di stabilità dei loro governi e, dall’altro, diventare un ponte tra l’Europa e gli altri Paesi africani ai quali trasferire risorse e competenze necessarie, per un loro benessere sociale migliore.
Tutto ciò può sembrare ovvio, ma bisogna convincersi che solo rafforzando l’Unita’ nella Diversità ed eliminando i nazionalismi, sarà possibile, attraverso il pieno rispetto del principio di sussidiarietà, trovare il,percorso più adeguato per non rendere inutili circa 70 anni di lavoro proiettati alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa.

Fabio Guarna (Soverato News)


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