Voli di cultura


 In più spirabil aere, voglio parlarvi di tre libri di valenti autrici.

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 Antonietta Vincenzo, non nuova alla letteratura, ci consegna un romanzo inquietante per tematiche che costringono il lettore a prendere posizione. Il protagonista e io narrante, Martino, è un uomo soddisfatto ma non sereno. Si è sposato giovane e innamorato, e innamorata era anche la moglie, Marianna; vive però una situazione che appena pochi decenni fa sarebbe stata paradossale, ma oggi è abbastanza comune: bravo e impegnato professore, divide il suo tempo tra scuola e lettura in casa – la stanza studio è il suo regno inaccessibile – mentre la moglie è cardiochirurgo, e la sua difficile professione la tiene spessissimo e a lungo impegnata in sala operatoria. È un’evidente inversione dei ruoli, rispetto alla società tradizionale; ed è il caso pirandelliano in cui una maschera – il lavoro – prende il posto della realtà.

 Accade qualcosa d’inatteso… eppure, oggi, tutt’altro che impossibile: l’arrivo, dopo anni di assenza, di una sorella che, sposato un musulmano e assunta essa stessa la religione di lui nel suo paese – non se ne dice il nome – , da cui è costretta a fuggire per non esplicitate ma immaginabili vicende politiche di conflitto e grave pericolo. Martino è un uomo di larghe vedute, ma la nuova situazione lo pone in conflitto con se stesso; e lo obbliga ad assumere un atteggiamento finora inimmaginabile.

 Non gli resta che… Questo non lo narriamo, lasciando al lettore il gusto di scoprire la soluzione: se un tale stato di cose una vera soluzione può avere. Specchio dei nostri tempi, il romanzo va letto con intelligenza e senza pregiudizi.

 Quanto alla forma, è narrazione matura e che convince nella descrizione dei fatti e nell’analisi delle anime.

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 Il volume di Angela Graziano Leone è una scoperta per gli appassionati di storia, e un sollucchero per i glottologi. Nel 1905, un ragazzino di famiglia bene, mentre studia con un precettore privato, tiene un diario delle sue giornate. Vive in un antico palazzo di Nocera della Pietra della Nave, che da qualche decennio si è ribattezzata Nocera Terinese. È curioso dei luoghi che lo circondano, tra il Reventino e il Tirreno, e le memorie storiche della greca Terina e di Ligeia la Sirena. Si aggira nella sua grande e misteriosa casa, notando i resti del passato e i recenti interventi, generalmente maldestri (l’autrice, non a caso, è architetto e insegnante). Ama ascoltare le persone di servizio, che gli raccontano leggende misteriose, ma anche memorie realistiche, giunte a loro attraverso le generazioni.

 Una narrazione riguarda un fatto che parrebbe curioso a chi non conosca bene la storia e le cronache della Calabria. Visse alcuni mesi nel palazzo quello che ancora chiamano Messinese, e che l’autrice, nei suoi studi, scopre essere il grande Antonio di Giovanni de Antonio (1425 – 79) detto Antonello da Messina, e trova un documento che ne attesta la presenza, nel 1460, nella vicina Amantea. E si sussurra anche una triste storia d’amore. Se dipinse un quadro di gran pregio, esso andò perso o per l’orrendo saccheggio della soldataglia francese nel 1806, o per il degrado del palazzo. Preziose notizie storiche, cui si aggiungono le memorie del terribile sisma dello stesso 1905.

 Per il linguista, è un vero godimento. Il ragazzino Leopoldo è di buona famiglia e studia, ma l’ambiente, e la sua stessa parentela, sono in gran parte dialettofoni. Ebbene, ci troviamo di fronte a una raffinata continua contaminazione di dialetto e italiano, che, oltre ad essere piacevole, apre una finestra sulla formazione delle parlate calabresi, con etimologie – alcune sicure, altre ipotetiche – latine, greche, arabe…

 Un libro di storia dell’arte, storia civile, etnologia e linguistica; e una lettura aerea e avvincente.

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“Come si posano le cose” è un libro da leggere una prima volta per le impressioni, una seconda per uno studio. Maria Piacente ci consegna un esempio di poesia contemporanea, e, come tale, sperimentale, in cui la parola non è definita musica ma musicalità soffusa; in cui i temi non sono quelli fantastici della tradizione passata, ma v’irrompe la modernità con le sue contraddizioni. Ma la poesia non è mai il “contenuto”, troppo caro alle lezioni scolastiche; non sono le cose che si “posano”, sono gli occhi che le guardano e ne colgono la magia. La poesia della Piacente è fatta di colpi d’occhio che generano sensazioni. Le cose possono essere grandi o piccole o casuali o banali: è la poesia che sublima ed eterna le cose.

La poesia ha per strumento la parola. La sperimentazione linguistica della Piacente mostra una continua contaminazione di verso e prosa, non in quanto generi, ma proprio in quanto linguaggio. Così la poesia può ispirarsi alla realtà prosastica come ai sentimenti più profondi; e la prosa può essere descrittiva come poetica.

 Ecco i componimenti della raccolta: “Attila; E penso; Ana; Prestami i tuoi occhi; Noi non l’abbiamo toccato; Periferie; Pomeriggio; Sulla Statale 106; All’ombra di un ulivo; L’ipad di una signora; All’olio di Rosa Mosqueta; Una bottiglia di Cirò; Mai più; E dai; Foglie; Anime d’oro; Fine d’anno; Vieni; Lei e Lui; Futuro prossimo; Solo la bocca; Mancanza: Il pianto della lumaca; Passava col cane; L’ordine del tempo; Cosa ne sanno le cose; Il mio cuore; Confusioni dell’io; Parlami di me; Domani; Dove mi aspetti?” La Prefazione è di Ornella Bonventre e Brad Spurgeon; l’Introduzione, di Giuseppe Palladino.

 Incoraggiamo la poetessa a proseguire sulla sua strada difficile e fascinosa.

Ulderico Nisticò