Prendere la vita con… filosofia


articoliutenti1bSembra che la filosofia fuori delle aule scolastiche e del disquisire accademico possa aiutarci nella vita di tutti i giorni. Tra gli studenti liceali che affrontavano per la prima volta lo studio della filosofia, un tempo circolavano diverse giaculatorie per screditarne l’utilità. La più nota affermava che essa è “una disciplina con la quale o senza la quale si rimane tale e quale”. Così intesa, diventava assai pesante studiare la filosofia, sopportata più che apprezzata, raramente approfondita, giammai considerata come qualcosa in grado d’aiutarci ad affrontare meglio la vita, le nostre inquietudini, i dolori, le delusioni del vivere quotidiano. In verità la filosofia, pur essendo nata nel mondo greco per essere applicata alla pratica di tutti i giorni, già nel medioevo aveva cominciato a disdegnare le piccole cose della quotidianità, tutta tesa a diventare una scienza di puri concetti, ad essere quasi uno status symbol aduso ad una terminologia dotta ed incomprensibile ai comuni mortali. Il primo ad esercitare la filosofia applicandola alla cura dell’anima, sulla falsariga della psicoterapia, è stato il sofista Antifonte, vissuto nella seconda metà del V sec. a.C., inventore di un’arte “consolatoria” capace di esercitare una certa influenza sulla gente. Egli può essere considerato un precursore della nostra moderna ricerca sulla comunicazione poiché usò la filosofia non per confondere gli interlocutori ed affermare le proprie convinzioni morali e sociali, ma, servendosi sapientemente delle parole stesse dell’interlocutore, ne fece un’arte per lenire il dolore, un metodo per aiutare (a pagamento, beninteso, com’era costume tra i sofisti) quanti richiedevano la sua opera. A questo scopo Antifonte in primo luogo faceva parlare il “cliente” dei suoi problemi e quindi lo aiutava con una dialettica basata non su un linguaggio astruso e dotto ma sulle stesse asserzioni del “malato”, lavorando ad una ristrutturazione di quanto all’interlocutore appariva reale in modo che quell’immagine di sofferenza cambiasse ed assumesse un aspetto positivo e non più doloroso.

Così, oltre trent’anni fa, c’è stata una sorta di ritorno al passato di quella filosofia, chiamata ad una valenza pratica positiva che consenta agli individui di organizzare in modo funzionale idee e comportamenti, ossia all’antica impostazione utile ad aiutare concretamente gli esseri umani, fatti di carne ed ossa, soggetti a gioie e dolori. Questo, naturalmente, senza trascurare il carattere peculiare ed imprescindibile della ricerca filosofica e la sua prospettiva teoretica, avente, cioè, per oggetto l’analisi di problemi teorici. A fare uscire la filosofia fuori delle aule scolastiche ed applicarla ai fatti piccoli e grandi che quotidianamente affliggono l’uomo, è stato il tedesco Gerd Achenbach che, nel 1982, fondò una specie di associazione per lo studio e l’applicazione della filosofia al fine di offrire una vera e propria consulenza a chiunque si trovasse di fronte a difficoltà, a momenti difficili della vita professionale, familiare, sociale, a sofferenze che, in tempi come i nostri, sono all’ordine del giorno per chiunque. I carichi eccessivi di responsabilità, le preoccupazioni per l’oggi e la paura del domani, le frustrazioni e le speranze deluse, le crisi d’identità, i dubbi religiosi e gli ideali politici andati alle ortiche, sono spesso causa di grandi depressioni, d’episodi drammatici, a volte follemente inconsulti. Le esperienze più d’avanguardia tra queste forme di pratiche filosofiche psicoterapeutiche si svolgono in America, in Francia e da qualche anno a questa parte anche in Italia. Gli USA, ad esempio, accanto al conforto religioso negli ospedali, offrono anche l’aiuto di un “ethicist” per consigliare pazienti e familiari. In Francia sono nati gruppi di discussione come i ”Caffè filosofici”; in Italia esiste la “Phronesis”, Associazione Italiana per la consulenza filosofica, fondata a Firenze nel 2003. E’ una vera e propria professione, diversa e separata dall’insegnamento, intesa come arte che insegna a vivere bene; non si tratta, si badi bene, di un rapporto d’amicizia né di meri consigli morali o spirituali. E’ una normale consulenza professionale fornita da una persona, un “filosofo” (non obbligatoriamente un professore), a chiunque gliela chieda spontaneamente e liberamente. Nel corso della consulenza filosofica, il consulente non “scava” nella psiche e nella vita di chi lo ha chiamato, come fa lo psicanalista. Egli si limita ad un rapporto dialogico sulla visione della realtà di quest’ultimo, associata ai suoi problemi esistenziali, ed opera sulle idee ed i pensieri esistenziali, non sui disagi in se stessi. Il consulente filosofico, insomma, cerca di mostrare al consultante la realtà da punto di vista diverso, con una tecnica della ristrutturazione come mutamento del “punto di vista” di cui parla anche Pascal: “Quando si vuole ammonire proficuamente qualcuno, mostrandogli che è in errore, bisogna considerare con attenzione da che punto di vista egli consideri la cosa, perché, da quel punto di vista, generalmente è vera; quindi, occorre dargli atto di quella verità, mostrandogli però, allo stesso tempo, quel punto di vista per cui la cosa è falsa. Questo gli basta, perché si rende conto che non era in errore, e che semplicemente non aveva preso in esame tutti i punti di vista. Infatti, non ci si offende di non riuscire a vedere tutto, ma non si ammette d’essersi sbagliati”.

Adriano V. Pirillo


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