Ci vuole una legge sul divieto di bufala


 Iniziamo con la definizione di BUFALA, espressione romanesca ormai entrata a pieno titolo nel linguaggio comune. Per “bufala” s’intendeva, inizialmente, una mozzarella che veniva spacciata come interamente bufalina, ma in realtà era mescolata con latte vaccino più a buon mercato. S’intende oggi una notizia mista con una certa percentuale di verità e più o meno robusti quantitativi d’invenzione di sana pianta; invenzioni che, però, si agganciano alla verità tanto da divenire difficili da distinguere: come, appunto, la frammischiata mozzarella.

 Esempio calabrese notissimo, giacché tutti, a scuola, hanno studicchiato alla peggio l’Odissea; e ci sono stati dei film. Ragionamento quasi corretto: vagando vagando, Ulisse da qualche parte dev’essere stato; bufala: c’è uno scoglio grosso e con un buco, che sicuramente è Polifemo; e un poco di corrente che saranno state Scilla e Cariddi; e i venti… tutti sanno che i venti soffiano. Ecco da dove spuntano, per restare alla sola Calabria, i seguenti sbarchi o visite di Ulisse: Amendolara, Catanzaro, Copanello, Crotone, Lamezia e Lametino, Nardodipace, Scilla, Squillace, Tiriolo… E Soverato? Meno male che a scuola i miei compaesani studiavano giusto per l’interrogazione, se no avrebbero appreso che πολίπορθος è un epiteto di Ulisse; ora che lo si sa, tranquilli che entro una settimana qualcuno scriverà che Ulisse è sbarcato sotto casa di suo nonno… che, ovviamente, era templare oltre che barone, e molto ositale. Vi grazio Pitagora, di cui, con cadenza mestruale, apprendiamo le gesta vegetariane, e il suo felice soggiorno a S. Andrea. Ho la campagna, io, a S. Andrea; e che mi ci vuole a dimostrare che ha forma quadrata per via del teorema?

  E Dante non è stato a Cerenzia, dove ci sono tre località chiamate Inferno Purgatorio Paradiso? Ma non dovete pensare che il pascolo di bufale sia solo calabrese. Dal 2011, quel poco e niente che rimane del meridionalismo sta applicando a raffica un metodo da far venire il mal di testa: la storia si fa con i documenti; “quelli” i documenti ce li tengono nascosti; quando gli storici della domenica leggeranno i documenti che “quelli” nascondono, dimostreranno che Garibaldi smontò personalmente, cacciavite alla mano, le infinite industrie del Sud, inviandole a Torino o a Manchester, dove la regina Vittoria e Cavour personalmente le rimontarono, dando inizio, con ritardo di un secolo su Napoli e sul loro nonno barone, allo sviluppo industriale?

 Come mai delle industrie non si ricorda nessuno? Lapalissiano: ma perché nel frattempo avveniva il genocidio della popolazione, che, per carenza di spazi atti alla sepoltura (era tutto coperto di industrie e treni!), venne sciolta nella calce viva. Spopolato che fu il Sud, vi importarono Esquimesi e Ainù: ed ecco perché il cugino dello storico ha gli occhi leggermente a mandorla: dimostrazione scientifica e lombrosiana. Continuo con Shakespeare di Messina? Con i mille primati di aspirapolvere a pedali e lavatrici atomiche? 

 Ebbene, ragazzi, fin quando sono scherzi goliardici o conferenze di sfaccendati, e passi; ma quando tutto ciò e quant’altro vengono presentati come scoperte e verità, allora succede che qualcuno ci crede e lo va dicendo in giro, e alla gente si guastano il cervello e il fegato… e che un tizio, da me conosciuto come simpatico figurante ai convegni seri, sia stato invitato a spiegare la storia ai ragazzi di un Liceo. Fortuna che, immagino, giocavano con i cellulari e corteggiavano le compagnelle.

 Sì, sono sempre più convinto che urge un divieto legale di bufala. Come si fa? Il primo che s’inventa una banalissima frasetta e l’appioppa persino al Vico (filosofo di cui ignorano anche l’esistenza, però suona bene), deve essere obbligato a dichiarare libro, pagina, edizione, data e luogo di stampa, pena una multa salata.

 Vedete come gli passa la voglia di scrivere bufale! Sì, ci vuole una legge.

Ulderico Nisticò