Cultura e soldi


Scopriamo intanto che Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia sono in movimento per i siti Unesco, e la Calabria no. Però la Calabria… beh, i quattro amici di Oliverio sono ad Africo a decidere l’avvenire culturale della nostra felice terra. Ahahahah!

Ora citiamo, parzialmente, da Ufficio stampa Symbola – Ufficio stampa Unioncamere, che affermano con soddisfazione l’incidenza della cultura sull’economia. Ecco la Geografia della cultura: “La grande area metropolitana di Milano è al primo posto nelle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,9% e il 10,1%. Roma è seconda per valore aggiunto (9,8%) e terza per occupazione (8,6%) mentre Torino si colloca, rispettivamente, terza (8,8%) e quarta (8,4%).
Seguono, per valore aggiunto, Siena (8,4%), Arezzo (7,8%) e Firenze (7,2%), Ancona e Aosta al 6,9%, Bologna al 6,4% e Modena al 6,3%.

In termini di occupazione, come suddetto, la leadership per incidenza dei posti di lavoro sul totale dell’economia è da attribuire a Milano, seguita da Arezzo (8,9%), poi Roma, Torino, Firenze (7,8%), Trieste (7,4%), Monza-Brianza e Bologna appaiate al 7,3%, infine Modena e Aosta al 7,2%.
Quanto alle macroaree geografiche, è il Centro a fare la parte del leone: qui, cultura e creatività producono il 7,3% del valore aggiunto. Seguono, da vicino, il Nord-Ovest (6,8%) e il Nord-Est, la cui incidenza si attesta al 5,4%. Il Mezzogiorno, ricco di giacimenti culturali e un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza; solo il 4,2% del valore aggiunto prodotto dal territorio è da ascrivere alla cultura, il che rappresenta un problema ma allo stesso tempo un’opportunità di rilancio, su cui siamo obbligati a investire nei prossimi anni.
Dinamiche simili si riscontrano per l’occupazione, con il Centro e il Nord-Ovest in testa (con il 7% sul totale dell’economia), seguito dal Nord-Est col 6,2% e infine il Sud con il 4,2%.

A livello regionale, il peso delle grandi aree metropolitane a specializzazione culturale e creativa di Milano e Roma si fa sentire. Il Lazio si colloca primo (8,8%) seguito dalla Lombardia (7,2%). A seguire, Valle d’Aosta e Piemonte (6,9%), poi le Marche (6,1%). Sul fronte dell’occupazione, identico ordine di classifica: primo è il Lazio (7,7%), seguito da Lombardia (7,4%), Valle d’Aosta (7,2%), Piemonte (6,8%) e Marche (6,5%)”.

Come si vede, manca quasi completamente il Mezzogiorno, e la Calabria non viene nemmeno nominata per sbaglio.
Non posso accontentarmi di condannare la classe politica, pur colpevolissima: c’è qualcosa di più profondo, di intrinseco alla più radicata mentalità meridionale.

L’idea che la cultura possa avere un’applicazione economica, anzi un’applicazione qualsiasi, resta estranea ai Meridionali in genere. Per il meridionale, e soprattutto per il meridionale scolarizzato e laureato, la cultura è, al massimo, un titolo di studio per il “posto”. Potrei citare fior di professoroni di Soverato i quali mi hanno confessato di non essere mai stati a Roccelletta, km, 17! Idem, credo, per la Pietà.
La prova di tutto ciò è che il dotto meridionale, e quello calabrese in specie, non sono nemmeno bilingui come i Bruzi secondo Ennio, ma dialettofoni che usano l’italiano solo per scopi professionali. In dialetto non esiste un concetto come “area archeologica”! in dialetto la traduzione del dolce stil novo non la posso scrivere qui per rispetto della buona educazione.

Non avendo dunque una tale idea, meno che meno possono pensare, i dotti calabresi, di far tesoro di un’area archeologica a scopo turistico, quindi economico. Del resto, essi hanno un’idea automaticamente depressa e deprimente del passato, oltre che un’ignoranza crassa della storia tranne la fucilazione di Murat senza sapere chi fosse il morto quando era vivo.
Il dotto ufficiale meridionale è dunque noiosissimo, pedante, erudito, secchione, insopportabilmente monotonico nel parlare: come volete che possa rendere interessante la storia, se non è interessante lui?

Del resto, chi è che ha scoperto il dialetto calabrese? Un tedesco, il Rohlfs. Chi ha scoperto l’archeologia calabrese? Un friulano, l’Orsi.
Derivata da siffatta mentalità, la classe politica, generalmente poco colta, si adegua, e non persegue alcuna politica culturale seria, tranne l’antimafia segue cena. E siccome ormai delle frasi fatte ne abbiamo tutti le tasche piene, ormai non funziona manco quella.
Storia? Tutti si riempiono la bocca di Magna Grecia, ma poi nominano solo Pitagora, attribuendogli tutte le loro fantasie. Saltando un buon millennio e mezzo, seguono sei secoli di Bizantini tutti ed esclusivamente monaci maschi. Infine, il suddetto semisconosciuto Murat.
Filosofia? Campanella fece una congiura. Campanella, chi era costui?
Letteratura? Il piagnisteo di qualsiasi natura molto vagamente sociologica.
Religione? Tantissima, siamo un popolo di santi: sì, ma purché fuori dal mondo, anzi contro il mondo.
Cinema e teatro? Si adeguano: mafia, buonismo, lagrimatoi, conclusione prevedibile fin dal titolo.

Non si salva niente? Ma si salverebbe il pubblico, lo giuro, la gente. Le mie esperienze, e sono innumerevoli, sono esattamente il contrario di quello che pensano i dotti calabresi: il pubblico calabrese vuole emozioni come tutti gli altri, e non necessariamente singhiozzi. E partecipa in massa, quando la manifestazione, la conferenza, lo spettacolo lo meritano.
Ma non è il pubblico a decidere, sono i dotti ufficiali grevi e pesanti, a decidere; sono i politicanti e passacarte che dovrebbero finanziare le cose degne, e invece finanziano i loro tediosissimi amici politicamente corretti.
Dotti, sempre secondo loro!
Ora capite, leggendomi, perché fanno le scampagnate e me si guardano bene dall’invitarmi?

Ulderico Nisticò


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