Dante e Maometto e i professori troppo intellettuali


 La notizia è buffa: un prof esonera i musulmani dalla Divina Commedia perché nel XXVIII dell’Inf. il Sommo maltratta Maometto e Alì, e qualche devoto islamico si lamenta. Io, al posto del prof, avrei detto ai fedeli del Corano di starsene tranquilli: prima di un trascurabile cenno a Maometto e all’islam, Dante ha riempito il XIX canto, e mica di sacrestani, ma di cattolicissimi papi peccatori, con particolare riguardo al suo arcinemico Bonifazio VIII.

 Del resto mi ci vorrebbe un grosso tomo per elencare tutti quelli che, nei secoli, hanno criticato, e Cecco anche preso per il naso, l’Alighieri; molto più pesante l’ex amico Guido; e Dante ricambia profetizzando che finirà all’Inferno a far arrostita compagnia al padre Cavalcante e al suocero Farinata. E non parliamo di re, imperatori, poeti… anzi, più i dannati sono importanti, più Dante se ne vanta, come ben si legge nel XVII del Paradiso. Ma vale anche per molti altri letterati: pensate a tutte le arrampicate sugli specchi della “critica militante” sul Leopardi per farlo diventare, a pizzichi e bocconi, socialista o progressista…

 Ora lasciatemi stupire che un prof faccia studiare addirittura il XXVII Inf, invece dei soliti Francesca e Ulisse. Il canto in discussione mostra i “seminatori di scandalo e di scisma”, tra cui, udite udite che invenzione sadica, il poeta provenzale Bertrand de Born, cui un diavolo taglia la testa e poi lui se le deve riappiccicare in attesa del prossimo intervento demoniaco: in eterno.

 Pare che Dante credesse a una leggenda secondo la quale Maometto era stato un cristiano, persino un cardinale, prima di fondare una sua religione: quindi, fece scisma, cioè separazione. Ecco perché quei dannati vengono, in varia misura, tagliati: si chiama contrappasso. Tutto qui. Anzi, caro collega, ha messo nel Limbo due musulmani di pregio: Averroè e il Saladino.

 Bastava spiegarlo, nella maniera più semplice: Occam, dove sei? Io me la cavavo in due minuti. Ma alcuni intellettuali, ahimè, hanno più idee di quanto ne possa contenere la loro testa; e, quel che peggio, ci credono a tutte assieme anche quando sono palesemente contraddittorie. Basta che l’intellettuale (grazie a Dio che io non lo sono!) legga una cosa qualsiasi, una protesta qualsiasi di una minoranza qualsiasi, e, colto da entusiasmi immotivati, giù “cancel culture” a pioggia; e così non resta manco Francesca, se no s’indignano le femministe; e nemmeno il Leopardi quando dice, nel Canto notturno, che le pecore non capiscono e non ricordano un piffio, e via una manifestazione degli animalisti. E non vi dico di Silvia che muore filando, mentre la Silvia del Parini, evidentemente ricca, va in giro mostrando “copia di gigli e rose”, cioè ampia scollatura, per di più con al collo la benda rossa à la victime. Insomma, una palese discriminazione socioeconomica tra Silvie!

 Potrei continuare per chilometri di sempre più sarcastici esempi di come l’intellettuale di turno sarebbe capace di abolire persino la legge di gravitazione universale per non offendere gli anarchici, e i mappamondi odiati dai terrapiattisti.

 Facciamo una bella cosa: rispettiamo i programmi. Mi spiego: la riforma Gentile, che si fonda sulla centralità del docente e sulla libertà di critica, obbliga a svolgere la Divina Commedia, ma non vieta affatto di commentare: “Ragazzi, guardate che Dante era male informato”. Coraggio, è successo a tanti: anche il Carducci, facendo confusione teologica, fa dire a Teodorico, che era ariano, “la Vergine Maria”, che un ariano non avrebbe detto mai; anche il Foscolo canta Ulisse e Diomede tornati comodi in patria con tanti schiavi al seguito, invece di dieci anni di viaggi l’uno e l’essere cacciato l’altro; e lo stesso per l’upupa, preceduta da quella del Parini. Ce ne sono di errori, in letteratura. A proposito, anche il Pascoli, in Alexandros, finge di essere terrapiattista: “giungemmo, è il fine”; a parte che, grecista, sbaglia clamorosamente due accenti greci: mistòfori e pezetèri. Aliquando et bonus dormitat Homerus, caro collega intellettuale.

 Buon lavoro, ispettori.

Ulderico Nisticò