Divagazioni su libri identitari


 I libri, leggeteli; e soprattutto se descrivono la Caabria, una terra o sconoscita o misconosciuta o presentata in modo convenzionale ed olografico; e in tutt’e tre i casi, non rispondendo al vero.

 Sconosciuta? Scommetto… ma no, sono sicuro per prova che tantissimi dotti e laureati calabresi non sono mai stati a Gerace, Altomonte, S. Severina, Rossano, Serra SB, Seminara, S. Giovanni in Fiore; e posso farvi dei nomi formidabili di persone di Soverato che mi hanno confessato non essere mai state a Roccelletta. Non avevano l’auto? Non avevano soldi per la benzina? Dovevano zappare la terra la domenica? Ahahahahahah: ma no, domeniche libere, ammesso e non concesso si affannassero da lunedì a sabato; e possedevano benzina e auto. Era solo e piatta pigrizia fisica e mentale.

 C’è aria nuova, però. Roccelletta e altre aree archeologiche sono meta di turisti e anche di indigeni. Qualcuno s’imbarca in gite che, per arrangiate a volte che siano, sono sempre meglio che niente.

 Non funziona più la stantia frasetta “cca on c’è nenta”, e la gente va a vedere le cose di Calabria. E sta avvenendo un passo avanti finora inatteso: i visitatori, piano piano, iniziano a capire che la Pietà del Gagini non è caduta dal cielo nel deserto, ma c’è stato un contesto fatto di un convento e un fondatore, di un committente, di un popolo del XVI secolo e di oggi… L’esempio basti.

 Abbiamo tutti le tasche piene di piagnistei ben retribuiti. E anche qui ci vuole un esempio. Il paese più calunniato d’Italia pensate voi sia San Luca d’Aspromonte? Macché, è Recanati, patria di uno che se la pigliava con il suo borgo invece che con se stesso e parenti. Però nessuno ha mai creduto e crede che i Recanatesi fossero “selvaggi”. Se ne accorse anche Giacomo quando, finalmente arrivato a Roma, potè scoprire che gli indigeni dell’Urbe non erano tutti, ma proprio tutti laureati in Lettere Classiche come s’immaginava lui da ragazzo. Del resto, i dotti fiorentini parlavano manzoniano quando c’era Manzoni, e quando Egli se ne andava a ninna, tornavano a ciacolare in dialetto di Firenze, condito con un turpiloquio che non vi dico.

 C’è la ‘ndrangheta, a San Luca e altrove? C’è, ma è una cosa tragicamente seria, mica quattro ladruncoli come fanno credere gli antimafia di professione, segue cena, e precede traccia del tema: la stessa identica della mamma e della nonna dei ragazzini di oggi. Che brutta cosa, i professori a corto di fantasia!

 Ora attenti qui. Dobbiamo difendere la Calabria dalle calunnie; però nemmeno dobbiamo cadere nel peggio del peggio del politicamente corretto. Esempio: Mattia Preti finì a Malta perché inseguito dalla solerte polizia del Viceregno di Napoli. E non tentate di buttarla in politica: erano normalissimi reati criminali. Verissimo: però Mattia al confronto del Caravaggio, e anche del Bernini, era un chierichetto.

 A proposito: qualcuno ha parlato di Mattia Preti alla Metsola, che è maltese? No? Ahahahahahahahahahahahah. Alla faccia dei dotti superforaggiati.

 Serve una Calabria vera, quindi con pregi e difetti come tutte le terre di questo scombinato mondo. Ah, se i dotti calabri conoscessero la storia degli altri… saprebbero che il peggio del peggio successo nella storia della Calabria (diciamo la distruzione di Sibari per mano di Crotone, però è roba del 510 aC), scompare di fronte a quanto accadde in Toscana dal XIII secolo (l’Arbia rossa di sangue) al 1527, con l’impiccagione dell’arcivescovo di Pisa nel 1478. Ma siete sicuri che i calabri dotti sappiano della Congiura dei Pazzi? Tacito direbbe che la vivacità culturale della Toscana dipese proprio dai conflitti dei guelfi e ghibellini; e infatti venne meno quando i Granduchi misero le briglie ai loro riottosi sudditi. Misteri della storia.

 Conclusione: è ora di raccontare la Calabria com’è, senza lacrimatoi e senza ideologie. Ci vogliono libri e film e teatro e musica della Calabria reale.

Ulderico Nisticò