Don Bosco, socialreazionario


 Sono exallievo, figlio di exallievo e padre di exallieve, ed ex professore, a vario titolo, per 11 anni. Ho scritto Et animas et caetera eccetera sulla storia dei Salesiani a Soverato; e rappresentato lavori teatrali. Parlare di san Giovanni Bosco come santo, mi pare persino superfluo, soprattutto oggi che è la festa liturgica. Voglio affrontare un aspetto forse non troppo frequentato della vita del grande pedagogista: la sua azione sociale.

 Cominciamo dal contesto storico. Nato nel 1815, era ancora un giovane sacerdote quando il Piemonte muoveva i suoi primi passi verso un rapido sviluppo industriale di modello francese e inglese: industrie ancora di tecnologia approssimativa, e che avevano bisogno di manodopera anche poco e nulla qualificata. Venivano perciò urbanizzati quasi a forza dei giovani che lasciavano le loro campagne, arcaiche ma dalla vita tradizionale e sicura e controllate dalla religione, e lavoravano senza diritti, senza un salario decente ed esposti a tutte le tentazioni della città. Questo era il liberismo dei liberali europei, che, dopo il potere economico, aspiravano anche al potere politico. Nel Regno di Sardegna (attuali Savoia, Aosta, Piemonte, Nizza, Liguria, Sardegna) l’ottennero con lo Statuto Albertino del 1848.

 Quanto alla religione, i liberali segnarono molti punti a loro favore e contro il cattolicesimo, riassunti in un capolavoro di ambiguità giuridica che era l’art. 1: “La religione cattolica è la sola religione dello Stato. Gli altri culti sono tollerati”. Attenti alle parole: “religione”, ha una valenza solo spirituale, come subito vedremo; “dello Stato” è il contrario che dire “di Stato”, e significa solo prendere atto che i sudditi erano in maggioranza cattolici; la tolleranza degli altri culti, riferita soprattutto a valdesi e calvinisti dei confini, poneva fine a una questione che, anche con spargimento di sangue, durava da secoli.

 Che la linea liberale fosse anticattolica, lo mostrarono subito le Leggi Siccardi del 1850, che abolivano ogni privilegio del clero, e scioglievano gli Ordini monastici, riaprendo la caccia alle terre ecclesiastiche, il che è, anche nel nostro Sud, all’origine di moltissimi latifondi recenti poi spacciati per feudali e medioevali. Con gli Ordini, vennero meno anche le attività di assistenza.

 In questo contesto interviene don Bosco, il quale però, con fine intelligenza politica, evita l’atteggiamento elitario, rancoroso e nostalgico dei pochi paciosi e vaghi reazionari italiani, ed entra a vele spiegate nella vita reale. Andò in cerca di ragazzi abbandonati a se stessi, per renderli “buoni cristiani e onesti cittadini”; dunque non per soccorrere i poveri, ma per far sì che non fossero più poveri, e con l’unico strumento che assicura dignità e libertà genuine: il lavoro; insegnava loro disciplina, serietà, competenze, e quell’aspetto che in Piemonte era essenziale, cioè le buone maniere. Ecco, da rozze braccia di fatica a operai, dediti al lavoro e capaci, sotto la sua persobnale direzione, a rivendicare diritti da imprenditori i quali, a loro volta, capirono essere più conveniente avere dipendenti seri e che la sera non si depravassero alla bettola.

 Ottenne subito collaborazione sostanziale da parte di altri giovani sacerdoti, e di nobili cattolici… e anche no. Celebre è l’incontro con Urbano Rattazzi, ministro degli Interni e ispiratore delle Siccardi, il quale, colpito dall’opera di don Bosco, non solo lo aiuto personalmente, ma, da abile avvocato qual era, gli suggerì: “Se lei fonda un Ordine, io la faccio subito arrestare; se costituisce una Congregazione, ciò è legale”. Ed ecco la “Pia societas Salesianorum”.

 In ogni ambiente, dunque, don Bosco trovò intelligenza e collaborazione. Non aveva nessuna simpatia per la politica antiaustriaca di Cavour; ma tanto meno per le utopie pseudomistiche di Mazzini, di cui capiva bene che il “dio” era una mera omonimia con Dio! E fu sempre fedelissimo a Pio IX, che i liberali vedevano come arcinemico; e cui spesso si rivolse per superare l’avversione del clero diocesano di Torino; e al papa a lui per soccorsi anche materiali. Quando vide che il Piemonte, a furia di colpi di mano, diveniva più esteso, e nel 1861 il Regno d’Italia, don Bosco allargò la sua visuale subalpina, ed ecco i Salesiani nel Mezzogiorno: l’opera di Caserta l’ottenne da una principessa dei Borbone ormai decaduti. Soverato… ma spero che lo sappiate. L’allargò al mondo, e quando fu utile un vescovo della selvaggia Patagonia, dove un distinto pretino di curia sarebbe stato impari al compito, fu don Bosco a scegliere uno dei suoi solidissimi ragazzi, don Giovanni Cagliero, poi cardinale.

 Possiamo dire dunque di don Bosco che fu “nel mondo e non del mondo”; accettando i mutamenti politici e sociali per indirizzarli in senso cattolico.

 Altro occorrerebbe per ricordare la presenza salesiana a Soverato e la sua incidenza nella storia della citta.

Ulderico Nisticò