Duplice omicidio di ‘ndrangheta nel Catanzarese, sul luogo tracce di Dna dell’indagato


Un cappellino di lana contenente tracce di Dna combacianti con il profilo genotipico dell’indagato. È uno degli elementi che hanno portato all’arresto di Francesco Gualtieri, di 43 anni, accusato del duplice omicidio di Giuseppe Bruno e della moglie Caterina Raimondi, uccisi a colpi di kalashnikov il 18 febbraio 2013.

Si “ritiene di poter predicare con certezza che Francesco Gualtieri era presente sulla scena del delitto ove Bruno e Raimondi sono stati uccisi” scrive la gip Gilda Danila Romano nell’ordinanza di custodia cautelare avanzata dalla Dda di Catanzaro e vergata dal procuratore Nicola Gratteri, oggi procuratore di Napoli, dall’aggiunto Giancarlo Novelli e dal sostituto Debora Rizza.

Giuseppe Bruno era ritenuto un elemento di spicco dell’omonima cosca di Vallefiorita, salito ai vertici della consorteria dopo l’omicidio del fratello Giovanni, assassinato il 15 maggio 2010 in un agguato mafioso. Il sicario, scrive il gip sulla base delle immagini registrate dalle telecamere di videosorveglianza – che però non hanno ripreso le fattezze dell’autore del duplice omicidio – si era acquattato ad “attendere il momento giusto per colpire” e poi si era allontanato “indisturbato”.

Al ritrovamento del cappellino si aggiungono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che “descrivono Gualtieri come un soggetto pronto ad uccidere per conto del gruppo di riferimento”. Secondo il giudice si tratta con evidenza di un delitto premeditato come testimoniano due summit di ‘ndrangheta registrati dagli investigatori nel corso dell’inchiesta Kyterion, il 2 agosto e il 22 ottobre 2012 nella tavernetta del boss Nicolino Grande Aracri. Il due agosto la discussione verte sulla gestione del denaro ottenuto con le estorsioni da Giuseppe Bruno e sul sospetto che questi trattenesse per sé i proventi destinati ai detenuti appartenenti alle famiglie ricadenti sotto l’egida di Grande Aracri.

Inoltre Bruno aveva mantenuto prudenza davanti alla proposta del boss di estendere la sua competenza criminale su Soverato. Una espansione che “avrebbe automaticamente esteso il controllo dello stesso Grande Aracri da Cutro fino a Soverato”. Bruno aveva poi manifestato timore davanti a un’altra proposta di del capo cosca: commettere un atto intimidatorio nei confronti di una ditta di Crotone che operava nel territorio di Bruno. Inoltre aveva “ceduto” l’estorsione a una discoteca. Comportamenti che avevano incontrato il disappunto di Nicolino Grande Aracri.

“È evidente – scrive il gip – che trattasi di delitto premeditato: nel corso del summit di ‘ndrangheta i sodali hanno organizzato già tempo prima l’omicidio di Bruno per punirlo del suo atteggiamento reiettivo rispetto alle disposizioni del gruppo”. (ANSA)