Fine dei telefoni pubblici


 I telefoni pubblici sono ormai sostituiti con i cellulari: un piccolo pezzo di storia che se ne va, come tantissime altre memorie da museo. Però la storia dei telefoni a Soverato merita di essere narrata, perché fu sua particolare.

 La rete telefonica soveratese fu un effetto della Soverato degli anni d’oro, che non sono affatto quelli del turismo, ma quelli dei grandi commerci verso e dall’interno. Gli imprenditori commerciali ne avevano esigenza per il loro lavoro. E c’è ancora chi conserva quei telefoni a muro di grandi dimensioni, per ricordo di altri tempi e altri fasti.

 Si telefonava chiamando un centralino sito sul corso, dove le “signorine” collegavano i parlanti inserendo spinotti negli appositi alloggi, che sapevano a memoria. Rimasero “signorine” per tutta la vita, senza riguardo alla loro età e condizione familiare. E qui merita lode Tonino Fiorita, che tutti conosciamo come studioso di Soverato; però era validissimo tecnico delle telecomunicazioni.

 Arrivarono poi i telefoni familiari, e, verso gli anni 1958, Soverato vantò la più alta densità telefonica d’Europa. Densità, cioè abitanti divisi telefoni, però era comunque un dato imponente.

 Verso il 1965, aumentando ancora il numero, arrivò la teleselezione interna; e gli apparecchi avevano una ruota, in verità scomoda. Caso rarissimo, Soverato aveva quattro numeri; e quando io lasciavo il mio numero ad amici di fuori, pensavano avessi dimenticato qualcosa.

 Qualche anno dopo, ecco la teleselezione interurbana. Ed ecco le alchimie per studiare a che ora e in che giorno si pagasse di meno, e chiamare parenti.

 Essere chiamati non costava: espediente diffuso, lo squillo senza risposta, che era gratis; e agli studenti fuori sede veniva concesso; ma non chiamare, e bisognava andare negli uffici telefonici sempre affollatissimi, soprattutto nelle ore a basso costo. “Soverato alla quinta”, arrivava dopo un bel pezzo e molti solleciti.

 L’alternativa, il telefono a gettone. Rari erano gli apparecchi, ma i gettoni ancora più rari, e li davano contati. Molto tempo dopo, ecco l’illuminazione mentale: i telefoni a moneta.

 Ma intanto dilagavano i cellulari; anch’essi prima da usare con parsimonia e ad horas, oggi, con pochi soldi, divenuti mezzo di comunicazione anche da una stanza all’altra della stessa casa.

 Notazioni sociologiche. Solo i più anziani ricordiamo le astute manovre per poter telefonare alla fanciulla amata, ammesso avesse a casa il telefono; quando quasi sempre rispondeva la nonna vecchia e sorda, però molto, molto sospettosa, con il sacramentale “Cu’ siti, vui?”; e giù le più invereconde bugie. Ancora peggio, quando a casa telefonava la banca per la cambiale scaduta che si cercava di celare alla famiglia!

 Tutto ciò avviene ora per cellulare, quindi senza intermediazioni e senza spionaggio. A questo punto, i telefoni pubblici non servono più, e li lasciamo alla memoria storica, anche di Soverato.

Ulderico Nisticò