Fuggite dalla Calabria, se potete


Negli ultimi 15 anni, secondo il rapporto annuale sull’economia locale realizzato dall’istituto Demoskopika, oltre 180.000 giovani calabresi hanno fatto le valigie, lasciando la loro regione. E tra i laureati quasi 60 mila sono emigrati con il 63,5% tra i più giovani. L’identikit del fuggiasco è un giovane under 35, prioritariamente di sesso maschile, preferibilmente laureato, meglio se con un dottorato di ricerca in tasca. Le conseguenze per la Calabria di questa vera e propria diaspora sono molteplici. La più importante, però, è che arresta inesorabilmente la crescita del territorio e, come logica conseguenza, il costo sociale per formare giovani, che poi esportano il loro sapere oltre i confini regionali, diventa elevato, insostenibile e non spendibile.

Ma perché tanti calabresi (non solo giovani) decidono di prendere la valigia ed espatriare? A leggerli sui social sono pieni di amore per la loro terra. Foto, ricordi, amici lasciati. Eppure se ne vanno. Anzi ce ne andiamo. Perché anch’io, ahimé, ho dovuto (e sottolineo “ho dovuto” senza voler cercare alibi) abbandonare la mia terra per tentare di trovar fortuna altrove e reinventarmi alla veneranda età di 42 (ormai 43) anni. Ma non mi pento. Anche se non una mia scelta, alla fine la ritengo giusta, una scelta che mi sta garantendo ciò che in Calabria mai avrei potuto sognare: un vita faticata, sempre di corsa, ma serena, qualificante e appagante.

Ecco il problema. Ed ecco perché chi parte viene chiamato “cervello in fuga”. Perché il cervello lo usa e capisce, prima di quanto abbia fatto io (ed io, da stupido, ho dovuto aspettare che mi dessero un calcio in culo per comprenderlo e andarmene), che se vuole dimostrare che vale veramente qualcosa, da lì deve andare via. E di corsa. Non c’è niente dal punto di vista professionale in Calabria per cui valga la pena restare. Abbiamo il mare e la montagna tra i più belli d’Italia, ma “non vogliamo” sfruttarli turisticamente se non per 20 miseri giorni all’anno (e la montagna nemmeno per quelli). Abbiamo un territorio molto variegato sia dal punto di vista paesaggistico che storico-archeologico, ma salvo casi sporadici di menti piegate dall’esigenza, il tutto è lasciato inesorabilmente all’abbandono e al degrado. Abbiamo veramente tutto ciò che potrebbe fruttare benessere e permettere a tanti giovani di non andare via per contribuire alla crescita della nostra amata terra, ma non c’è la volontà di vedere questo benessere realizzato. Del resto, siamo quelli che protestiamo perché Mimmo Lucano non può realizzare quel progetto che permetterebbe di ripopolare di extracomunitari un territorio lasciato all’abbandono e non ci indigniamo che modelli di questo genere non vengano realizzati per i giovani calabresi così da impedirgli di partire.

Il problema è politico o di cultura? o magari entrambe le cose? I calabresi, come la gran maggioranza delle persone del sud, storicamente sono sempre stati soggiogati dall’assistenzialismo che ha trasformato il calabrese medio in uno spettatore triste degli eventi senza dargli la possibilità di impegnarsi più di tanto per procurarsi “il cibo”, lasciandolo nell’attesa che qualcun altro, preposto a questo dallo Stato, glielo procuri senza batter ciglio. E se questo non avviene, c’è chi si lamenta e dice che nulla funziona e chi, appunto, prende e se ne va. Infatti la maggioranza dei lavori in Calabria sono pubblici (Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, ecc.) e per 3/4 precari e concessi attraverso un sano clientelismo che porta vantaggio non solo a chi il lavoro l’ottiene, ma anche e soprattutto a chi quel lavoro lo da. Chi non può o non vuole sottostare a questo ragionamento, prende armi e bagagli e fugge il più lontano possibile da questo disagio sociale. Inoltre, dal lato privato, molti imprenditori guardano solo alla ciotola da morti di fame che si sono messi davanti perché qualche anima pia la riempia di quelle monetine che gli permette di far campare dignitosamente se stesso e la propria famiglia, senza voler capire che investire vuol dire sviluppo. Quindi, per rispondere alla domanda, il problema è sì politico, ma anche culturale. Tante persone culturalmente valide che sono rimaste in Calabria, vivacchiano alla meno peggio accontentandosi del poco. Chi invece ha ottenuto molto, non ha fatto altro che buttarsi in politica. Ed è rimasto, perché gli è convenuto così. Ma svende la sua anima e il suo culo al bieco lassismo che gli viene imposto per non alterare gli equilibri creati da anni di criminalità morale.

Poi ci sono quelli che rimangono perché nei confini territoriali della loro regione, ancora ancora, valgono qualcosa, mentre oltre questi verrebbero dignitosamente mandati a quel paese senza passare dal via. Ma almeno sono persone intelligenti perché sanno riconoscere i propri limiti e non si avventurano per tentare l’intentabile fuori dalle quattro mure domestiche.

Infine ci sono quelli che rimangono perché amano così tanto la loro terra che danno anima e corpo al suo sviluppo, calpestano le loro reali capacità e mettono da parte qualsiasi velleità di carriera professionale. Spesso, però, questi ci rimettono denari, salute e la vita perché quello che è semplice fare, e quello che sarebbe normale poter realizzare in qualsiasi altre parte del mondo occidentale, in Calabria diventa la torre di Babele dove chiunque si alza sentendosi Dio e distrugge ogni sforzo profuso per amore.

Molti sgraneranno gli occhi seduti sulle proprie poltrone di velluto gentilmente concesse in seguito a favori con leccamento annesso. Ma mi importa poco. Io, se non fosse che qualcuno ha voluto precisare che ero scomodo in “quella” realtà, forse non mi sarei mai accorto di tutto questo. E sarei stato né più e né meno come quelli che ora critico. Se tornerei in Calabria? Sicuro, è la mia terra e la amo. Ma dico a chi si sente capace e non riesce ad esprimere se stesso… fuggite, andatevene di corsa perché, parafrasando una nota pubblicità, voi valete. E la Calabria non vi merita.

Gianni Ianni Palarchio (Blog)


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