I centralisti napoleonici e mazziniani, e l’autonomia


Torino – Statua Guglielmo Pepe

 All’improvviso, soffia sul Meridione, e soprattutto in Calabria, una ventata di centralismo da far invidia a Luigi XIV, Napoleone e Mazzini; e tanti che si riempiono la bocca di “autonomie locali”, ora gridano, da giacobini, alla “nation une et indivisible”. Eh, quando si tratta della tasca… ahahahahah!

 E invece tutti quelli che si ponevano il problema italiano nel primo Ottocento, tranne appunto Mazzini, lo volevano risolvere in senso confederale o federale; e, più esattamente, interessava loro l’indipendenza (“libertas Italiae”) e perciò l’unità politica e militare, e non l’unità amministrativa. Una confederazione italiana, sul modello della neonata Confederazione Germanica, venne proposta persino dall’Austria; e ripresa, con varie tesi, dal Gioberti, dal Balbo, dal Cattaneo.

 Nel 1848, scoppiata la Prima guerra d’indipendenza, intervennero militarmente, sia pure in modo confuso e ambiguo, il papa Pio IX, i Toscani, e un vero corpo di spedizione delle Due Sicilie, al comando di Guglielmo Pepe; mentre la flotta borbonica difendeva Venezia dalle navi austriache. Sembrava cosa fatta, ma andò malissimo sia politicamente sia sul campo di battaglia; e durò un attimo. Colpa di tutti, da suddividere in parti adeguate alle singole responsabilità.

 Nei colloqui di Plombières del 1858, Napoleone III avevano deciso una federazione italiana tra un Regno del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto, con confini da vedere), uno del Centro, Roma al papa e il Regno delle Due Sicilie. Anche in questo caso, i fatti andarono in modo del tutto diverso e in grandissima parte imprevisto, e il Regno d’Italia del 17 marzo 1861 risultò di fatto (ma non stava scritto da nessuna parte) di stampo napoleonico, con governo centrale, e diramazioni esclusivamente provinciali. Le regioni erano disegnate sulle cartine, però non esistevano. Ci fu un regionalismo letterario con il movimento del Verismo, in particolare in Sicilia e Toscana; e una rinascita della cultura napoletana, musicale e teatrale, in dialetto letterario di alto stile tipo O sole mio, che del 1899, o 1900 (oggi dilaga il dialetto vero incomprensibile, ed è stata la fine della cultura napoletana).

 Vero, ma l’assetto dello Stato rimase centralista. Per avere le regioni, dobbiamo aspettare il 1970. Da allora la cronaca della Regione Calabria fu una faccenda grama, con una classe politica di basso livello (con rarissime eccezioni); ogni tanto invenzioni di inutili professori e giudici; e una burocrazia di raccomandati, tratti da una categoria sociologica eternamente presente in Calabria: gli ignoranti con laurea, che sono gli ignoranti più asini. Infatti “u ciucciu è ciucciu pecchì si pensa ca sapi”!

 Dal 1970, la Calabria Regione ha ricevuto tonnellate di soldi da Roma e da Bruxelles, e li ha rimandati vergini a Bruxelles e Roma, senza spenderli: e cosa vi aspettavate, da burocrati somari e da politicanti di terza e quarta scelta? È un annetto soltanto che s’intravede un’inversione di tendenza.

 Intanto la Calabria occupa saldamente gli ultimissimi posti di tutte le graduatorie positive, e i primi del contrario. Questa Calabria, e in pieno regime centralista, non certo per colpa dell’autonomia, la quale, a oggi, NON c’è; eppure la Calabria, in regime centralista, va malissimo. Proviamo con l’autonomia, e vediamo se voteremo per gente migliore?

 Chiudo da dove sono partito; il Meridione come identità. Dal 1282 al 1860, il Meridione ebbe una sua personalità politica, e anche economica, e così radicata che persino Napoleone I la rispettò, annettendo alla Francia niente di meno che Roma, Firenze, Genova, Torino; ma lasciando autonomo il Meridione, e tanto che Murat tentò di prenderlo sul serio, persino, nel 1814, muovendo guerra al cognato in quanto re d’Italia.

 E qui si apre la questione della macroregione meridionale, che io chiamo Ausonia, con Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria messe assieme (l’Abruzzo è ormai Centro; la Sicilia lasciamola dov’è, più il ponte); con province che non siano le attuali; e uno statuto d’Ausonia del tutto diverso dagli attuali regionali, che sono la brutta copia dell’assetto, già molto discutibile, statale. Un presidente eletto direttamente; un consiglio politico che si riunisca ogni tre mesi; un consiglio corporativo e dei corpi intermedi, riunito idem. Tanto si può fare tutto in internet. Capoluogo d’Ausonia, Melfi per ragioni storiche. Quali? Studiate, ragazzi.

Ulderico Nisticò