Il 25 luglio di ottant’anni fa


 Motus in fine velocior. Fino alla primavera del 1943, il regime fascista si era retto su un sostanziale consenso, così distinguibile: i fascisti; i governativi; gli attendisti. C’erano anche gli antifascisti, ma isolati.

 La guerra, iniziata il 10 giugno 1940 a fianco della Germania, poi anche del Giappone, aveva visto un andamento a fasi alterne. Truppe italiane occupavano la Francia e i Balcani e la Grecia; si combatteva ancora in Africa, con qualche successo in Tunisia e Algeria; e nel Mediterraneo per mare e per cielo. Si avvertivano, nel Paese, le difficoltà di vita quotidiana, e già alcune città subivano pesanti bombardamenti dal nemico angloamericano. Ebbero luogo proteste operaie, le prime dal 1923.

 Il 13 maggio 1943 il generale Messe, autorizzato da Mussolini, si arrese in Africa. Il 10 luglio, le truppe nemiche sbarcarono in Sicilia, contrastate, a dire il vero, molto più dalle forze tedesche che dalle nostre. Intanto l’Italia Meridionale veniva colpita da bombardamenti dichiarati “terroristici”, cioè con lo scopo di fiaccare il morale della popolazione.

 È ben noto che l’avanzata in Sicilia venne accompagnata da mafiosi paracadutati in segreto; o liberati dal confino e promossi a perseguitati politici. Ovvio che agli Americani non servivano le lupare rese inoffensive da Mori negli anni 1930; ma si rendeva utile un sostegno politico della mafia, che durerà nei decenni.

 Il 19 luglio venne bombardata Roma nel quartiere popolare di San Lorenzo. La presenza – allora rarissima in pubblico – del papa rivestì un certo significato simbolico.

 La notte del 24 luglio si tenne la riunione del Gran Consiglio del fascismo: la prima dopo quattro anni. Questa istituzione, da politica, era divenuta di fatto un apparato statale; come del resto era il PNF, che faceva tutto, da socialità a sport a salute a scuola, e di solito con buoni risultati, ma non faceva quello per cui era nato, cioè la politica.

 Non riunire il GC era stato un errore; e parve quasi una costrizione sotto il peso dei fatti. Facile il paragone con gli Stati Generali del Regno di Francia, riuniti nel 1789 dopo ben 160 anni: e si sa come andò a finire. I gerarchi, non consultati e non controllati, non per questo rimanevano inerti, ed è facile immaginare che fosse in atto qualche congiura. Non cercate “documenti”: certe cose non si fanno per lettera!

 Dino Grandi presentò un ordine del giorno che, in sostanza, metteva in crisi Mussolini e, Statuto Albertino alla mano, restituiva il potere al re. Che Vittorio Emanuele III fosse in qualche modo informato, pare logico.

 L’odg Grandi passò a netta maggioranza. La mattina dopo, presentatosi al re per la normale udienza, Mussolini venne preso in custodia, e il re accettò le dimissioni che egli non presentava. Affidò il governo a Badoglio, piemontese e fedelissimo ai Savoia, e che dal 1941 era nell’ombra a seguito dell’insuccesso in Grecia.

 Si svolsero alcune manifestazioni, ma Badoglio impose la legge marziale, vietando ogni assembramento e ordinando di “sparare come in combattimento”. Vennero sciolti il PNF e tutte le sue organizzazioni. Littoria divenne Latina; la corazzata Littorio, Italia…

 I fascisti non reagirono, e per vederli tornare in campo bisognerà aspettare l’armistizio dell’8 settembre. Ne riparleremo.

Ulderico Nisticò