Il ponte e le ferrovie borboniche


 La notizia è che alcuni oppositori, da bravi meridionali o meridionalisti, hanno fatto come da millenni si fa nel Meridione: un esposto giudiziario! Poi dite che i Meridionali non hanno fiducia nella Giustizia! Male che vada, sperano in qualche annoso rinvio per menarca della nonna del cancelliere.

 A parte i cavillucci e trucchetti avvocateschi, è palese che qualcuno non vuole il ponte. E qui ci scappa il paragone storico con le ferrovie… beh, le non-ferrovie borboniche.

 Nel 1839, re Ferdinando II delle Due Sicilie tracciò la Napoli – Portici, linea prima in Italia, battendo di qualche mese la Milano – Monza. Ragazzi, che primato! Nel 1860, il Piemonte contava più di 900 km di binari, opportunamente tracciati anche per scopi militari, e che si erano resi utili nella guerra del 1859 contro l’Austria. Nel Regno delle Due Sicilie si scorgevano in tutto 99 km tra Salerno e Capua: fine dei treni. Una curiosità: entrò in Napoli non su focoso cavallo ma su più comodo vagone il Garibaldi, che evidentemente pativa, come tutti i cavalleggeri, qualche problemino di seduta, e che lo accumunava a Napoleone: gli storici francesi si servono del malanno per giustificare le scoppola immane di Waterloo e farla passare per un pareggio fuori casa: è troppo crudele chiamarla… media inglese!

 Come mai non c’erano ferrovie nel Meridione e in Sicilia? Non per soldi, che (al netto della fandonie di ricchezze quanto Creso!) un tantino c’erano, e aspettavano solo di essere spesi invece di fare la muffa come quelli di Paperone; non per idee, che ogni tanto spuntavano: chiamarle progetti è palese dialetto barocco, perché progetto vuol dire ben altro; però almeno le idee circolavano. Come mai, niente treni?

 Intanto, perché nei millenni della storia meridionale c’è sempre una vicenda di edizioni uniche, tipo Archita, il tiranno e filosofo pitagorico di Taranto, che faceva volare delle macchine, però non per questo aprì una compagnia aerea Taranto – Grecia; e, morto lui, dei suoi giocattoli non volò più manco un areoplanino di carta.

 Ora leggiamo quello che scrive il De Cesare sui treni di Ferdinando II. Ogni tanto, il re annunziava l’idea di un treno tra, diciamo, Fontanasecca e Fontanaumida. Pensate voi che gli abitanti dei due borghi fossero felici? Macché: subito il sindaco di Fontanaumida, e per qualche comodo anche per far dispetto al cugino sindaco di Fontanasecca, partiva – a dorso di mulo causa scarsezza di rotabili – per Napoli, a supplicare il sovrano di cambiare il tracciato, sostenendo che la sua proposta era “meglio”. Ah, dimenticavo che a Sud tanti si scordano che l’ottimo è nemico del bene, e hanno sempre una cosa meglio. E siccome meglio è comparativo, al meglio, come al peggio, non c’è mai fine. Ed è all’inseguimento del meglio che tanti meridionali restano tutta la vita al guado.

 Pensate voi che io stia pensando alla Trasversale delle Serre? Pensate bene, amici: anche io ho dovuto combattere contro sindaci a caccia di svincoli, e ho dovuto a brutto muso far notare che di svincoli ci basta e ci avanza quello di Soriero ad Argusto!!!

 Ecco perché nel 1860 il Regno aveva molto meno treni della confinante Chiesa, e un decimo del Piemonte. Perché se il governo costituzionale di Torino decideva un tracciato, nessuno osava eccepire; mentre in Francia, Napoleone III, più spiccio, avrebbe inviato i tentennatori alla Cayenna. A Napoli, il re assoluto Ferdinando II stava a sentire tutti i capricci, e rinviava ai decenni, invece di sbattere entrambi i cugini sindaci nel più buio carcere del Reame.

 Cosa impediva i treni del 1860 e tenta d’impedire il ponte del 2024? Una radicata caratteristica del Meridione, che è il misoneismo, parola greca significante odio del nuovo. E, nella storia umana, nulla sconvolge di più di qualsiasi strada e simili. Immaginate quando, dal 1865 al 76, venne realizzata la ferrovia Bari – Reggio, come venne del tutto modificato, rivoluzionato un territorio dove da secoli c’erano pochissimi centri abitati, e il resto erano lande selvatiche. Sicuramente anche allora qualcuno pianse l’offesa alla natura; e qualcun altro temette sanguinosi incidenti e imprevedibili eversioni dell’ordine costituito, inclusa la mobilità delle cosche (offro un caffè a chi capisce a cosa sto accennando: ahahahahahahah); e, sempre racconta il De Cesare, qualcun altro ancora insinuò che la promiscuità dei sessi negli scompartimenti… non scherzo: lo dissero davvero!

 Insomma, a Sud c’è sempre qualche filosofo progressista che ha paura del nuovo! Ora spero in un giudice che sia, come io sono, un genuino modernista reazionario; e che, come Mosca dei Lamberti, concluda che “cosa fatta, capo ha”.

 Purché il ponte si faccia alla svelta. Voglio vedere la posa della prima pietra, e, per evitare un effetto Napoli – Portici, voglio vedere anche la posa della pietra ultima; e passare sopra il ponte prima che mi levino la patente per avanzata età.

Ulderico Nisticò