La nordica maestra di Africo


Sono sicurissimo che il film di Calopresti sarà un capolavoro, e riceverà un mare di premi dalla critica. Alleluia. Lo stesso per il libro da cui è tratto. Alleluia.
Entrambi, libro e film, dichiarano onestamente trattarsi di opere di fantasia. La letteratura è piena di cavalli alati sulla Luna e poeti innamorati all’Aldilà, perciò non mi stupisco che s’inventi una storia di pura immaginazione, ambientata in Calabria come potrebbe essere in Alaska e a N. York.

Del resto, quel vero gran film che fu “La scuola della violenza” di James Clavell e con Sidney Poitier è ambientato in una periferia di Londra. Torneremo su questo.
Libera fantasia, e forse sarebbe stato meglio evitare di fare il nome di Africo, e usare l’astuzia del Manzoni, che, pur attento a tutti i particolari, non identifica il paesello di Renzo e Lucia.
Siccome però lo spettatore e lettore sprovveduto, e gli intellettuali in genere, sanno poco distinguere tra realtà e sogno, e siccome io, per diletto, faccio lo storico, statemi a sentire.

Africo era un secolare centro aspromontano. Nulla a che vedere con l’Africa, ma piuttosto con daphne-daphna > laphna > lafra > l’afra; e noi in Calabria chiamiamo l’alloro con parola greca lafra o afra, e con parola latina lauru.
Era un posto attenzionato per il suo isolamento, che, se nei secoli aveva avuto una funzione, non l’aveva più. Una devastante alluvione del 1951 accelerò gli eventi, e decise la sorte di Africo, e con essa quella di Casalnuovo, che si vuole fosse in origine insediamento albanese; e venne costruito l’abitato attuale di Africo Nuovo. Questo, come quasi tutti gli insediamenti del dopoguerra in Calabria, è la negazione di ogni concetto di urbanistica: ma sorvoliamo. Comunque, gli abitanti di Africo e quelli di Casalnuovo, spinti dal disastro, passarono ad Africo Nuovo.

La strada del libro e film è dunque una fantasia.
E veniamo alla maestra. A questo proposito, di creatività ce ne vuole un oceano, per sognare che una diplomata del Magistrale, che so, di Milano, vada a insegnare ad Africo Vecchia; quando sono decenni che i diplomati e laureati meridionali vanno a lavorare, anche a scuola, a Milano. Ma i poeti sono liberi di immaginare.

Lo storico però teme che lo spettatore pensi alla necessità di importare milanesi per mancanza di indigeni. Vi faccio perciò edotti, gentili lettori, che, dagli anni 1930, il territorio ionico era dotato, oltre che di Licei Classici e Scientifici e di Tecnici, del Magistrale Statale di Reggio e di uno privato a Siderno; e così, poco lontano, di Istituti vari a Palmi, Polistena, Vibo V., Nicastro, Catanzaro; e a Soverato operavano da trent’anni i Salesiani, e stava iniziando il Magistrale delle Suore. Insomma, tutto ci mancava, tranne che diplomati… o, secondo la riforma Gentile, abilitati magistrali.
Perché poi a incivilire da una parte e far ribellare dall’altra sia una maestra nordica, è quell’autorazzismo calabrese che circola da secoli fra tutti i colonizzati calabri.

Ciò premesso per l’esattezza della narrazione storica, tutti sono liberi di inventare quello che vogliono e ambientarlo a Londra come a Soverato. Basta che alla fine non si scordino la famosa scritta “Ogni riferimento a persone o fatti è puramente immaginario”, così siamo tutti amici, anzi più amici di prima.

Mi piacerebbe un film calabrese ambientato in Calabria e ispirato o alla storia calabrese vera, o alla cronaca vera. Vedete, ragazzi: anche io, con quest’ultima frase, ho fatto il mio lavoretto di fantasia, velut aegri somnia; e non succederà mai.

Ulderico Nisticò


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