La rivoluzione francese?


Vi siete accorti che la Francia è in rivoluzione, e la stampa europea ha ricevuto l’ordine di non parlarne? E allora, per come posso, ve ne parlo io.
La storia d’Europa è fatta, in buona parte, di rivoluzioni francesi:

– 1789, quella chiamata rivoluzione per eccellenza; seguirono la dittatura di Napoleone e, prima e con lui, venticinque anni di guerre, perse in campo dalla Francia, ma che cambiarono il volto del continente;
– 1830, deposizione di Carlo X;
– 1848, deposizione di Luigi Filippo;
– 1870-71, la Comune di Parigi;
– il 1968.

Questi sono i fatti più evidenti; ma le cronache mostrano tanti episodi minori e non per questo lievi. Ve ne racconto uno che calza a pennello con il 2018: nel 1936 salì al potere con le elezioni – unico caso dell’Occidente – il Fronte socialcomunista di Blum; nel 1938, costui venne abbattuto da una raffica di scioperi degli operai, esattamente quelli che lo avevano votato due anni prima.
Calza, eccome. Fino alla settimana scorsa, Macron parlava e agiva e sorrideva come fosse l’uomo più tranquillo e sicuro del mondo, anzi il padrone dell’Europa assieme alla commarella tedesca; e ora la Francia è in sommossa contro di lui. A parte i sondaggi che lo vedono in caduta libera.

Ancora siamo alla sommossa. La rivoluzione, come disse Napoleone, “è un’idea che incontra delle baionette”, e qui, per quanto ne sappiamo, non ci sono baionette, e nemmeno un’idea: ma la Francia deve passarsela male, e non solo pagare cara la benzina, se il poco che trapela mostra vere battaglie per le strade.

Una classe dirigente seria, dei pensatori seri, dovrebbero fermarsi a chiedersi cosa stia succedendo in Francia, e cosa stia succedendo in Europa. E invece se la cavano con ingiurie generiche di “populismo”, o, di “ignoranza”, senza mai circostanziare le contumelie con qualche argomento. Io sono ignorante, e davvero istruiti sono, i nostri giornalisti, che mettono la Francia in decima pagina, trafiletto piccolo; e stamani una rete nazionale non la nominava nemmeno!

Per ora, riusciamo a capire che a muoversi è la “Francia profonda”, contadina, cattolica. E qui dovete sapere che la distinzione “citoyen – payisan” è tipicamente francese, di una Francia che è fatta in gran parte di Parigi giacobina e borghese, e che da sempre trascura e disprezza il contadino e il tradizionalista; e questo, ogni tanto, si fa sentire, e pesantemente.

Non è prevedibile, grazie all’omertà dei giornali, come andranno le cose. Certo è un altro, è l’ennesimo sintomo della crisi di un’Europa di passacarte e priva di ogni anima ideale e morale; e di ogni guida culturale e politica; e in mano a quattro burocrati del tutto privi di autorevolezza.

Ulderico Nisticò


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