L’autonomia differenziata


 L’idea di unità italiana nacque federale, cioè politica e non burocratica. L’Italia del 1847 era così divisa: Regno di Sardegna (Savoia, Nizza, Aosta, Piemonte, Liguria, Sardegna); Principato di Monaco; Regno Lombardo-Veneto di fatto austriaco; Trento, Bolzano, Trieste, Venezia Giulia, Istria, Dalmazia austriaci anche di diritto; Isole Ionie, di fatto britanniche; Malta, possedimento britannico; Ducato di Parma; Ducato di Modena che nel 1829 aveva annesso Massa; San Marino; Granducato di Toscana, che si annetteva Lucca; Stato della Chiesa, con Ferrara Bologna Romagna, Marche, Umbria, Roma, Lazio; Regno delle Due Sicilie, con Napoli e l’annessione, rivelatasi infelicissima, della Sicilia isola nel 1816.

 Quasi tutti dunque non pensavano a unificare l’Italia con una qualsiasi forma di centralismo, ma di assicurare la “libertas”, cioè l’indipendenza politica; e una certa unità, che non significa unificazione. I fatti convulsi del 1848 parvero fornire l’occasione. Napoli, Torino, Firenze e Pio IX concessero costituzioni liberali; Milano e Venezia insorsero contro l’Austria; intervenne Carlo Alberto, che inizialmente ottenne diverse vittorie; Ferdinando II, che doveva però affrontare la rivolta della Sicilia, inviò truppe con Guglielmo Pepe, e la flotta a difendere Venezia; si mossero anche Toscana e il papa.

 Pareva occasione, ma non lo era. Mancava una direzione politica e militare; sotto Peschiera conquistata, le truppe piemontesi si misero a gridare “Viva il re d’Italia”: Ferdinando, che già aveva in Sicilia i suoi guai, si trovò una del tutto immotivata rivolta liberale a Napoli, stroncata dall’esercito e dal popolo, e ritirò le truppe dal Nord; Pepe se ne andò a Venezia, assumendone il comando: donde il fatto che è più ricordato a Venezia che a Squillace! Sconfitto a Custoza, Carlo Alberto dovette cedere. Fu l’ora dei mazziniani, che, cacciato Pio IX, proclamarono una Repubblica Romana, poi stroncata… dalla Repubblica Francese di Luigi Bonaparte, futuro Napoleone III. Intanto Carlo Filangieri riconquistava la Sicilia; ma i suoi futuri tentativi di risolvere intelligentemente politicamente il problema siciliano non vennero sostenuti da Ferdinando II e da un assurdo centralismo napoletano.

 Da tutto questo, il 1860. Cavour, ottenuto rinnovato prestigio militare con la Guerra di Crimea, e partecipando con onore e abilità al Congresso di Parigi, si accordò con l’ormai Napoleone III. La vittoria della Seconda guerra d’indipendenza e i convulsi fatti seguenti portarono ad annettere alla Sardegna la Lombardia senza Mantova; Parma; Modena; Ferrara, Bologna, Romagna; la Toscana; e alla cessione di Savoia e Nizza. Mentre così si modificava radicalmente l’assetto dell’Italia e dell’Europa, Ferdinando II, che del resto era rimasto inattivo, moriva, e il suo successore Francesco II non assumeva alcuna iniziativa politica, e tanto meno militare. Filangieri, tornato al governo, provò a trattare con Torino, ma l’intera situazione di Napoli e della corte borbonica piombò in una confusione che avrebbe richiesto ben altre energie della mitezza di Francesco. Si scatenarono tutte le sette, inclusi matrigna e zii del re, e tutti i partiti, tranne il partito borbonico, che non esisteva in quanto tale, nonostante la fedeltà di gran parte del popolo e dei soldati.

 La facile avanzata di Garibaldi contro un esercito borbonico numeroso ma inefficiente per generali e ufficiali, e la minaccia su Roma e rischio di gravi complicazioni europee, indusse Napoleone III a suggerire a Cavour una spedizione militare. Le truppe sarde nemmeno trovarono un movimento qualsiasi liberale meridionale che discutesse l’annessione a certe condizioni (come fecero i liberali toscani), ma uno squallido sbracamento spacciato per patriottismo unitario. L’Italia risultò uno Stato centralista, quale ancora giuridicamente è, dismesse ogni ipotesi di federazione.

 Solo nel 1970 vennero istituite le Regioni, che avrebbero dovuto garantire, appunto, delle autonomie; ma si rivelarono burocrazie peggiori di quelle statali. Pessima, dal 1970 al 2022, la gestione della Calabria, per due terzi di sinistra o centrosinistra, per un terzo di centro(destra), e comunque in mano ai passacarte. Valanghe di soldi sono arrivati in Calabria da Roma e da Bruxelles, e, fino al 2022, i denari non sono stati spesi.

 Ecco a cosa serve l’autonomia, cioè dover amministrare e utilizzare il proprio denaro: a saper scegliere meglio la classe dirigente sia politica sia burocratica sia culturale. Non ci servono più i piagnoni retribuiti!

 Può fare questo, la Calabria, con il suo scarso milione e mezzo di anime? Molto meglio se pensiamo a quella che io chiamo la Regione Ausonia, con gli attuali Molise Puglia Basilicata Campania Calabria: dodici milioni, e valorizzazione potenzialità finora poco espresse.

 Mi piacerebbe si aprisse una discussione seria su questi argomenti. Seria, però, senza invenzioni di felicità che mai furono e mai saranno (tranquilli, non si è mai vista, la felicità, nemmeno nella mitica Atene del V secolo; e non parliamo della vita privata di ognuno di noi); senza parolone roboanti; e senza un giorno proclamare l’identità e l’altro giorno aspettarsi più centralismo di Napoleone e Mazzini.

 Con il centralismo, il Meridione non si trova bene: proviamo con l’autonomia?

Ulderico Nisticò