Lezioncina sull’anti1860


 I meridionalisti della domenica, che sanno pochissimo di come si fece l’unità politica del 1860 ssgg, ancora meno sanno dell’anti1860. Nominano i briganti, ma anche di loro sanno scarso e nulla, o, peggio, spacciano quegli eroici selvaggi per sindacalisti in cerca di posto fisso!

 E siccome oggi mi sono svegliato buono, li voglio aiutare, e, brevemente, vi narrerò tutto il possibile degli anti1860. Come sempre, racconterò la verità, quindi non aspettatevi gesta epiche, genocidi, massacri e stermini; bensì fu tutto molto più terra terra, più paesano. Procediamo.

 Il principe di Salina del Gattopardo, figura quanto mai verisimile, resta sentimentalmente borbonico, però vota sì al plebiscito per il banale fatto che non c’era altro da fare, e lo Stato unitario era il solo che poteva mantenere l’ordine. Ciccio Tumeo, borbonico grato e appassionato, vota no, però il sindaco voltagabbana Sedara, futuro deputato, gli farà dire sì a sua insaputa. Sarà successo a chissà quanti altri: Carlo Leopardi si rifiutò di votare per fedeltà al papa; e purtroppo non possiamo sapere cosa avrebbe fatto Giacomo, che era morto nel 1837, ma, leggendo qualcosa, ho dei sospetti.

 Il Meridione e la Sicilia votarono compatti sì. Ci saranno stati brogli, ma c’è che erano sempre stati monarchici indipendentemente dal re di turno; e voteranno in massa monarchia anche nel 1946. I potenziali no vennero intimiditi o tenuti fuori dal gioco. Tranquilli: pochi mesi prima, a Nizza, su 43.000 votanti, votarono per la Francia 43.000: ahahahahah. Napoleone III era maestro nell’arte di far votare… in anticipo, anche, anzi soprattutto in Francia.

 Quando il duca di Modena lasciò il trono, il suo piccolo esercito lo seguì in Austria, costituendo per qualche tempo una Brigata Estense. Si racconta che a Lissa la flotta asburgica, ufficialmente detta austroveneta, avrebbe gridato in coro “Viva san Marco”, quando saltò in aria la Re d’Italia. Nella Grande guerra molti soldati trentini combatterono per l’imperatore; mentre De Gasperi faceva il deputato a Vienna. Onore a Sauro, Oberdan, Filzi, Cesare Battisti [quello buono!]: ma non tutti la pensavano come loro.

 Non è del tutto vero che proprio in massa i soldati di Franceschiello si diedero alla fuga. A Mileto uccisero un generale fellone. Al Volturno, i pochi e depurati dai marmittoni, si batterono bene, anche se malissimo comandati da Ritucci e dal re. A Gaeta, quelli che c’erano fecero il loro dovere. Alcuni soldati, caduti prigionieri, si rifiutarono di entrare nell’esercito italiano, e vennero tenuti in detenzione: non state a sentire bufale! Del resto, nel 1866, quando Cialdini e Lamarmora fecero figuraccia, i soli a salvare l’onore furono l’onnipresente Garibaldi e l’ex borbonico Pianell.

 A proposito di Garibaldi, gli zuavi di Pio IX, in buona parte romani, inflissero una legnata all’eroe a Mentana nel 1867. A Porta Pia nel 1870 combatterono volontari cattolici europei, e anche romani fedeli al “papa re”. Il più o meno nostro Amirante era ufficiale dalla parte italiana.

 I Toscani accettarono, nel 1859, l’annessione, ma a patto di conservare il loro Codice Penale; e si ebbe così, fino al 1890, una specie di federalismo giudiziario, per cui ad Arezzo e a Gubbio c’erano leggi diverse per lo stesso reato. Ci fu, a lungo, una nostalgia della “Toscanina”.

 Nel 1864, la capitale venne trasferita provvisoriamente a Firenze. La città di Torino si ribellò, e ci furono dei morti di piazza. Insurrezioni repubblicane avvennero, verso il 1870, in Lombardia e in Calabria. Una particolarmente violenta fu, nel 1866, quella di Palermo, o “Del sette e mezzo”, mista di socialisti, repubblicani e borbonici.

 Torniamo a Sud, dove troviamo tracce di nostalgia. Un padrone di bastimento, certo a seguito di soffiata, venne arrestato, qui al largo di Soverato, perché in possesso di una bandiera borbonica. Interessante è la vicenda umana di Nicola Porretti, giovanissimo “aspirante” ufficiale a difesa di Gaeta; poi uomo di scuola, e che ha lasciato, in versi, memorie che mi piacerebbe pubblicare. Che ne dite?

 Rimetto le mani avanti, conoscendo i miei polli. Gli episodi che ho velocemente raccontato sono piccole cose. Altro discorso i briganti, ma, ripeto, a patto di non farne dei poveracci in cerca di impiego al comune. Ve la immaginate Michelina de Cesare da capo di banda ridotta a bidella?

 Molto più importante fu, nella seconda metà del XIX secolo, quanto avvenne nella cultura. Il verismo italiano, per quanto originato dal naturalismo francese, assume caratteri originali in due aspetti: il regionalismo; e una reazione evidente alla lingua media del manzonismo; attingendo mentalmente ai dialetti. I veristi, pur accettando la realtà politica come senza alternative, criticarono l’ottimismo ufficiale dello Stato, e misero in evidenza le cattive condizioni di gran parte della popolazione, e non solo meridionale. Così canta mastro Bruno: “Simu taliani, gridammi lu Sessanta: mo senti comu canta, la cicala”; mentre Domenico Mauro, già nemico mortale dei Borbone, li rimpiange… quando deve pagare le tasse al nuovo governo. Critiche e borbottii si trovano in tutta Italia.

 Vengono recuperati i dialetti, per quanto eleganti e comprensibili. Esplode una cultura napoletana alta, in un bellissimo dialetto di spessore mondiale, quello di O sole mie (1899): erano lontani i tempi di Sanremo! La poesia dialettale ha un suo spazio dovunque.

 Su un versante del tutto diverso ma concomitante, il classicismo grecolatino e l’invettiva carducciana, prima repubblicana, poi nazionalista; il nazionalismo eroico del d’Annunzio; il nazionalismo nazionalpopolare del Pascoli; la poesia e l’arte eversive dei futuristi. Tutti contro l’italietta dei liberali e borghesi.

Ulderico Nisticò