Magliette rosse


Le tv hanno mostrato le manifestazioni in magliette, ma in campo corto, cortissimo: vecchio trucco registico per non farsi accorgere che i partecipanti erano, nel caso migliore, qualche centinaio. Alcune oneste foto postate sui social ne hanno mostrati a gruppi di una ventina scarsi. Per compensare lo scarso numero, hanno provato con i nomi. Alcuni, come la Boldrini, erano scontati; altri, come la Bindi, tutti abbiamo ricordato che il suo partito, il PD, non l’ha ricandidata nemmeno. Altri, come alcuni famosi cuochi (“chef”, pare meglio!) sono credibili in fatto di bistecche e sughi, ma molto poco come politica estera e interna. Lo stesso per attori di telenovele e commediole all’italiana.

Se le manifestazioni si fossero svolte, per esempio, a Ventimiglia, protestando sia contro Salvini sia contro Macron, magari qualcuno le avrebbe prese sul serio; che fossero solo in Italia e contro il Governo, ne fa un’operazione di partito. E questo senza negare la buona fede di qualcuno.

E di quale partito? Di un PD che, dall’alto delle sue continue sconfitte elettorali, è anche frantumato in contese che ormai sono nemmeno politiche, sono personali, a livello di insulti? Di LeU, che ha recuperato qualche deputato per sbaglio? A proposito, che fine ha fatto Grasso, di cui non si sente manco più parlare?

E già: poca logica, affermare che gli Italiani sono scesi in piazza a milioni, quando milioni di Italiani, il 4 marzo, hanno votato molto chiaramente anche a proposito dei cosiddetti migranti, dicendo esplicitamente di no. Non solo non risulta che nel frattempo abbiano cambiato idea, bensì è accaduto che la sinistra abbia buscato ulteriori legnate persino a Siena, Pisa eccetera.
Non risponde al vero che i morti siano una responsabilità del Governo Conte; se ne contano, di accertati, un migliaio dall’inizio dell’anno; e fino a giugno, il presidente del Consiglio era Gentiloni del PD, mica Conte. E non abbiamo mai visto magliette rosse, contro il PD.

È verissimo che le ONG vengono tenute lontane dall’Italia; ma lo scopo esplicito, spiega il ministro Toninelli, è tenerle lontane dalle coste libiche. Se infatti gli scafisti e mercanti di uomini sanno che, appena partiti, i gommoni verranno “salvati”, sarà ovvio che li metteranno in condizione di essere “salvati”, cioè di affondare: ed ecco le cause dei morti in mare.

E il trattato di Dublino? L’Italia lo ha criminalmente e stupidamente sottoscritto; ma esso prevede anche che gli sbarcati vengano distribuiti: e invece molti Stati europei, tra cui la Francia, sbarrano le frontiere con la forza, e, se è il caso, con la violenza. Ce n’è a sufficienza per ritenere annullato il patto.
I magliette rosse sono buoni, e io invece sono cattivo, ed è cattivo Toninelli, è malvagio Salvini? Beh, fosse così semplice, basterebbe affidare il mondo ai buoni, e tutto andrebbe a meraviglia. Dite, lettori, in caso di aereo in difficoltà, voi preferireste un pilota buono d’animo e incapace, o uno d’animo duro e freddo, però bravo? Rispondetemi, qualcuno, vi prego.

Qui c’è un problema che non si risolve sbarcando dei poveracci in Italia, per spedirli in posti più o meno adeguati, lasciarli lì a poltrire, oppure a farsi sfruttare tipo Gioia Tauro, o a chiedere l’elemosina. L’Africa conta un miliardo di persone, e se anche un decimo si trasferisse in Europa, l’Europa affronterebbe un problema enorme, anzi senza soluzione; e l’Africa si svuoterebbe di energie.
E già, di energie! A proposito di poveracci, non se la beve più nessuno che sbarchino “minori e donne incinte”, quando le immagini (eh, registi incapaci!) mostrano, a ogni sbarco, una nettissima maggioranza di uomini giovani e sanissimi. Fuggono dalla guerra, dite: e hanno lasciato in prima linea le mogli e le nonne?
Né dimentichiamo che le cronache mostrano ogni giorno uno scandalo legato all’accoglienza: l’ultimo, Palizzi, tra migranti e uova di tartarughe.

E mica trascuro che la grandissima parte dei migranti sono musulmani, senza nessunissima intenzione di convertirsi; e senza alcuna capacità della Chiesa di convertirli.
Non sono dunque i porti aperti, la soluzione, ma urge una politica europea per l’Africa, da condurre in Africa, con la corretta utilizzazione delle risorse e occasioni di lavoro.
Una politica africana che abbia come scopo un’economia africana, secondo tradizioni africane e per la natura delle cose. Non è minimamente vero che il modello N. York o Milano sia esportabile in ogni altro canto del Pianeta. Non è il mundialismo che può salvarci, è proprio il contrario: sono le identità culturali ed economiche, molto diverse da popolo a popolo.

Per una politica europea in Africa, serve un’Europa che non sia quattro burocrati superpagati e inetti, ma un luogo politico e con menti politiche, dotate di serio realismo.
In conclusione, però, lasciatemi dire che mi sta incuriosendo non poco, questo ritorno della passione politica dopo anni di “in fondo condividiamo… ”; soprattutto perché io non condivido un bel niente, né in fondo né in superficie, con nessuno: nulla con la sinistra, e anche poco con gli altri.

Ulderico Nisticò


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