Manzoni centocinquant’anni fa


 Manzoni morì il 22 maggio 1873; ed era nato il 7 marzo 1785. Una vita lunghissima, e tale da consentirgli di vedere ancora in vita il mondo antico e già il mondo moderno; e l’Italia unita, e la fine del potere temporale della Chiesa; e profondi mutamenti nella cultura e nella letteratura.

 Quando era ragazzo, trionfava il neoclassicismo, da cui in fondo egli non si allontanò mai del tutto, se leggiamo, nei versi se non nelle prose, un linguaggio montiano e una metrica settecentesca. Quando morì, il romanticismo, di cui era stato emblema, era una cosa da manuali scolastici. Quando nacque, Milano era un Ducato degli Asburgo; quando morì, Manzoni era senatore del Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II; ma aveva visto il re d’Italia Napoleone, eccetera.

 Mi si lasci dire che i quasi nove decenni di questa esistenza non furono né ricchi di avvenimenti né produttivi di lavoro letterario: i suoi scritti sono pochissimi se appena li confrontiamo, per numero, con l’imponente mole di quelli del Leopardi nella sua breve e disagiata vita dal 1798 al 1837. Lascia due tragedie; due Inni civili; il romanzo, che lo impegnò dal 1821 al 40; alcuni scritti minori e lettere.

 Avvenimenti, una famiglia di origine su cui è meglio stendere un velo: e per questo, si osserva, elevò alla famiglia, quasi un poema, i Promessi Sposi. Due matrimoni, il secondo dei quali molto grigio. Dalla prima moglie, nove figli, ma con cui ebbe un raro e infelice rapporto. A parte il viaggio a Parigi da cui avrebbe avuto inizio la “conversione”, visse chiuso in casa, con pochi amici. Era un caso di agorofobia, e ne abbiamo evidente testimonianza, a contrario, con le avventure coraggiose di Renzo in mezzo alla folla inferocita.

 Nostalgico di Napoleone e blandamente ostile agli Austriaci, non ne subì alcuna persecuzione. Nel 1848 doveva far parte della delegazione milanese in partenza per invocare Carlo Alberto a liberare Milano dall’Austria… e dai repubblicani di Cattaneo; ma l’altro grande indeciso, il Savoia, aveva già varcato il suo Rubicone, il Ticino. Senatore, andò una volta Torino per la proclamazione del Regno, e – ci torneremo – a Roma divenuta capitale.

 Avrebbe voluto il coraggio fisico dell’innominato, con cui a tratti s’identifica; mostrò tuttavia coraggio morale, pubblicando il 5 maggio, in un tempo in cui l’ordine era di far dimenticare Bonaparte; e nel 1870 riconoscendo Roma italiana, contro la posizione politica di papa Pio IX.

 Era un cattolico liberale; o, più esattamente, un liberale cattolico. Ecco cosa gli scappa di scrivere, quando viene aumentato il prezzo del pane: “I fornai respirarono, ma il popolo imbestialì”. È un classico atteggiamento delle presunte leggi economiche. Da liberale, era comunque convinto che la libertà di commercio avrebbe risolto tutti i problemi: i fatti lo smentiranno, anche nel 2023!

 Si convertì nel senso di lasciare l’ateismo di fatto, spacciato per deismo, del Settecento; e abbracciando in pieno e senza riserve il cattolicesimo. Attraversò, è vero, un periodo di approssimativo giansenismo, e lo mostra con evidenza la morte di don Rodrigo dannato nelle prime redazioni; per poi sospendere il giudizio nell’ultima, e affidare l’anima a padre Cristoforo e la sua sorte ai dubbi del lettore.

 Approdato al pieno cattolicesimo, Manzoni è perfettamente ortodosso. Che ci siano preti vigliacchi e monache discutibili… beh, ce lo spiega un altro più cattolico di lui, padre Dante. Che la Chiesa debba avere uno Stato, non si legge nei Vangeli. E forse nel 1929 egli in senato avrebbe votato contro i Patti Lateranensi, come fecero, in una molto provvisoria alleanza, Giovanni Gentile e Benedetto Croce; anche se non vennero presi in nessuna considerazione nessuno dei due… e il terzo in spirito.

 Ora parliamo dei Promessi Sposi.

 L’interesse per la storia e il bisogno di una forma d’arte che consentisse di raggiungere un pubblico più popolare, suggerirono al Manzoni di comporre un romanzo storico, che cioè intrecciasse ad aventi documentati degli eventi immaginari, ma comunque verisimili.

 Scelse per l’ambientazione il XVII secolo, un periodo di decadenza dell’Italia sottomessa agli Spagnoli ed economicamente assai impoverita. Il Seicento gli offre così l’occasione di studiare la fine del mondo aristocratico medioevale e i primi albori del mondo moderno borghese.

 Il Manzoni finge di aver ritrovato un manoscritto anonimo narrante una vicenda interessante, ma espressa in uno stile scorretto e pesante; e di aver deciso di riscriverlo. La finzione serve al Manzoni per dare una patina di storicità anche agli avvenimenti immaginari; per esprimere dei giudizi con una veste di oggettività; per fornire un esempio della lingua che propone all’Italia.

 Il matrimonio di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella viene impedito dal signorotto don Rodrigo, che fa minacciare dai “bravi” il parroco don Abbondio. Su consiglio di Agnese, Renzo si rivolge all’avvocato Azzeccagarbugli, che risulta legato a don Rodrigo. Lucia chiede l’intervento del cappuccino padre Cristoforo, che tenta invano di piegare con la parola don Rodrigo.

 Questi macchina il rapimento di Lucia, mentre i due promessi provano a celebrare il matrimonio cogliendo di sorpresa il parroco. La confusione che ne deriva li salva dai bravi, ed essi trovano riparo da padre Cristoforo. Questi avvia Lucia a Monza da una suora di nobile famiglia, che però, costretta alla monacazione dal padre, si era abbandonata alla corruzione.

 Renzo, inviato a Milano, capita nel mezzo del tumulto popolare scatenato dalla carestia. Messosi in luce, viene arrestato come ribelle; riesce a salvarsi, e corre a Bergamo, territorio di Venezia.

 Don Rodrigo si rivolge all’innominato, un potente fuorilegge, che, per mezzo di Egidio, amante della monaca di Monza, riesce a rapire Lucia. Questa fa voto di non sposarsi se verrà salvata.

 La vista della fanciulla turba il vecchio signore, che, dopo un colloquio con l’arcivescovo di Milano cardinale Federico Borromeo, si converte. Lucia viene affidata alla bisbetica donna Prassede.

 Il ducato milanese viene invaso dai lanzichenecchi imperiali, che portano la peste. La città piomba nelle disperazione e nell’anarchia. Renzo decide di tornare a cercare Lucia, e la trova al Lazzaretto. Padre Cristoforo scioglie Lucia dal voto. Tra gli appestati, c’è anche don Rodrigo, che padre Cristoforo assiste negli ultimi istanti.

 Celebrato il matrimonio, Renzo e Lucia passano a Bergamo, dove da lì a poco acquistano un filatoio; e diventano gli iniziatori dell’industria lombarda. Questo aspetto del romanzo è generalmente ignorato; e lo stesso Manzoni ne accenna senza approfondire la narrazione.

 Il romanzo espone dunque questi significati:

• RELIGIOSO: L’azione della Provvidenza divina nel mondo. Il bene può trionfare anche nella vita terrena. L’ordine politico e sociale è voluto da Dio.

• MORALE: I personaggi sono positivi (Lucia, padre Cristoforo, il cardinale…) o negativi (don Rodrigo, don Abbondio, i bravi…). Renzo: il buon giovane cristiano; Lucia: la fanciulla e poi madre ideale; padre Cristoforo: il perfetto religioso regolare; il cardinale: il perfetto religioso secolare. In don Abbondio e nella monaca Manzoni ammette la corruzione degli ecclesiastici nei secoli precedenti, spiegandola tuttavia con la mancanza di vocazione (don Abbondio) o con la costrizione (la monaca).

• PATRIOTTICO: L’Italia sottomessa agli Spagnoli è figura dell’Italia ottocentesca soggetta agli Austriaci. Vero che il Manzoni non si era rivelato altrettanto sensibile, quando l’Italia era in mano ai Francesi!

• POLITICO: La critica profonda ai governi secenteschi si fonda sulle premesse del cattolicesimo liberale del Manzoni, e implicitamente propone istituzioni razionali e moderne.

• LETTERARIO-LINGUISTICO: Il romanzo è uno strumento di comunicazione con un pubblico vasto, e perciò assolve ad una funzione religiosa e patriottica. Pertanto la lingua e lo stile debbono essere discorsivi e piani, senza lenocini letterari.

    le tre redazioni

 Il poeta compose una prima bozza dal titolo Fermo e Lucia, che divenne poi Gli sposi promessi, infine I promessi sposi. Tra le prime due reazioni e la definitiva si evidenziano queste differenze:

TEOLOGICA: Don Rodrigo muore disperato, e, giansenisticamente, è destinato all’Inferno. Nella definitiva, si lascia sospeso il giudizio sul destino ultraterreno del signorotto, che dunque potrebbe anche salvarsi.

LETTERARIA: Le prime redazioni contenevano digressioni troppo vaste, e alcuni episodi di gusto troppo romantico (morte di don Rodrigo sopra un cavallo impazzito…). La definitiva è improntata a lucido equilibrio di episodi e situazioni.

LINGUISTICA : Manzoni modella l’opera secondo le sue teorie. Osserva che l’Italia, pur avendo un’elegantissima lingua letteraria, è priva di una lingua veramente parlata simile alla francese. Per fornire alla nazione unità linguistica, necessaria cementare quella politica, assume come modello “il fiorentino delle persone colte”; o almeno il fiorentino che le persone colte usavano quando era presente lui.

 Manzoni divenne un’icona dell’Italia; la sua lingua venne assunta come ufficiosa dell’Italia burocratica. I Promessi Sposi erano parte fondamentale del V Ginnasio e del suo durissimo esame. Ne so qualcosa! Chissà ora…

 Si opposero al Manzoni, per vari motivi, i cattolici tradizionalisti, gli italianisti e i classicisti. Il Carducci deride “il manzonismo degli stenterelli”. Con tutto questo e altro, non si può fare a meno del Manzoni.

 Traiamo dal Marzo 1821 questo intento di unità nazionale:

una d’arme, di lingua, d’altare,

di memorie, di sangue, di cor.

 E dall’Adelchi l’invito agli Italiani di non aspettarsi aiuti da stranieri, da nessuno straniero.

Ulderico Nisticò