Numeri consolanti, ed esportazioni calabresi oggi e nel passato


Dubito alquanto delle statistiche in percentuale, e sarei più contento di leggere numeri in assoluto; ma ci dicono che, dall’ex provincia, oggi città metropolitana di Reggio si esporta per una somma, mi pare, aumentata da 90 a 130 milioni di euro. Il dato si riferisce, mi pare, a prodotti agricoli di qualità.

La notizia è una boccata d’ossigeno sulla decennale asfissia e depressione. Vuol dire che anche la Calabria, volendo, può fare bene e vivere di lavoro. Lavoro, non posto, e non sussidi!!!

Mi viene in mente la storia dei millenni che furono, quando la nostra terra esportava, sia pure con maggiore o minore vantaggio secondo i tempi e gli acquirenti.
Sibari esportava vini fino alla lontana Mileto d’Asia. Si dice che il vino di Cremissa (Cirò) piacesse molto agli olimpionici. Sofocle chiama Bacco il dio che regna sull’Italia (a quel tempo, la Calabria).
Locri esportava ceramiche in Oriente, e tra queste le celebri tavolette (pinakes).

Era ricercata la “pece bruzia”, assieme alla resina; e, in generale, il legname. Papa san Gregorio Magno si preoccupa di fare venire alberi silani per la basilica antica di S. Pietro. Ma l’eccessivo disboscamento causò dissesto e paludi.
Notevole l’allevamento della pecora da lana, dei bovini e della pregiata “razza regia” dei cavalli. Il Tassoni, nel XVII secolo, canta la “chinea di Bisignano”.

Dall’età normanna, la Calabria vantò la produzione della seta. Gran parte della terra venne coltivata a gelsi, necessari al baco. La semilavorazione domestica era presente dovunque, e veniva convogliata in centri industriali, soprattutto a Catanzaro. La seta calabrese ebbe mercato europeo, ma non fu pari però la commercializzazione, spesso in mano a forestieri.
La Francia fu meta importante di uve e mosti, acquistati per irrobustire i deboli vini d’oltralpe. Li portavano navi di Amantea, Pizzo, Tropea, Parghelia, Nicotera… I profumieri francesi compravano bergamotto e gelsomino, produzioni di nicchia ed esclusive di alcune zone del Reggino.
È segnalata, fin dal XVI secolo, l’esportazione del tonno conservato. Di tonnare è ricca tutta la costa tirrenica.

A prodotti di qualità erano destinati i giardini, vasti appezzamenti di agricoltura integrata, con prodotti appetiti altrove, come il miele.
Clienti del Marchesato di Crotone furono i Veneziani, in lotta con i Genovesi per la presenza commerciale in Calabria. Più di un evento politico, come la rivolta del 1459, venne influenzato da queste concorrenze e ostilità.

L’olio veniva acquistato da navi inglesi e olandesi a Gioia Tauro, dove si ammirano grandi depositi non senza pregio artistico; era però destinato alla nascente industria, e non si badava quindi alla qualità, che per molto tempo rimase classificata “lampante”.
Abbiamo citato alcuni luoghi di esportazione. Aggiungiamo Cosenza, una delle sette fiere del Regno istituite da Federico II. Mercati di muratura si trovano a Roseto C. Spulico, Cirò Marina, Crotone, Mesoraca, e molto importante la Fiera Vecchia di S. Severina.

Un’occhiata alle miniere, già presenti nel I dell’Odissea a Temesa; si ricordano l’argento di Longobucco e il ferro di Bivongi, Pazzano, Agnana, che però non si esportava, anzi era destinato per legge a industrie di Stato come Mongiana.
Il quarzo di Davoli, semilavorato a Soverato, era richiesto a Pisa e altrove. Le aree industriali di Crotone e Vibo erano servite da porti.

Dai Laghi Silani, artificiali, la Calabria esportava energia elettrica, alimentando la Sicilia. Chi non ricorda il Pilone di Scilla? Per qualche non tanto misteriosa ragione, questa attività non si pratica più come prima.
Anche oggi, vantano una certa affermazione, fuori Calabria e anche all’estero, alcune acque e derivati, delle conserve di tonno, delle industrie grafiche… Si può fare molto di più, migliorando i trasporti e con intelligenti interventi finanziari.

Una forma di esportazione è il turismo: si esportano l’immagine e l’offerta, per attirare forestieri. Ma il turismo in Calabria è ancora gravemente sottoutilizzato rispetto alle enormi potenzialità, con scarsezza di turismo culturale e delle stagioni intermedie.

Dobbiamo qui accennare all’esportazione di persone, l’emigrazione dei primi, e poi della metà del XX secolo; e quella attuale. Ma ne parleremo in altra occasione.
Quanto abbiamo così velocemente narrato dimostra che la Calabria esportò, e può esportare. Coraggio, così magari smettiamo di essere, come siamo ancora, l’ultima regione d’Europa!

Ulderico Nisticò


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