“La mattina del 20 settembre scorso dovetti come militare eseguire senza discutere gli ordini che mi erano stati dati. Fui ferito e chissà che la Beata Vergine non mi abbia salvato concedendomi il privilegio di inginocchiarmi ai piedi di Vostra santità”. A scrivere queste righe fu il sottotenente d’artiglieria Carlo Amirante di Soverato, 18 anni, il primo dell’assediante esercito italiano ad aprire il fuoco sulle mura di Porta Pia. Quella mattina si preannunciava come una giornata calda, anche dal punto di vista climatico. Come con ironia ed anzi sarcasmo è riportato nel diario dell’Osservatorio meteorologico del Collegio Romano: “20 settembre. Bello. Cannonate al mattino, furfanterie fino a sera. Nord e sud – ovest leggero. Cresce poco il barometro. Magneti poco regolari”. Alle 6,30 i primi colpi di cannone investono le mura della Città eterna, alle 10 si apre la prima breccia, pochi minuti dopo parte l’ordine di capitolazione, la bandiera bianca viene issata su Castel Sant’Angelo e sulla torre del Quirinale. Lo scontro, durato poco perché il Papa aveva ordinato una resistenza solo simbolica, lascia sul terreno 13 ufficiali, 43 soldati e 141 feriti da parte italiana; 20 morti e 49 feriti tra i papalini. Anche il sottotenente Amirante rimane gravemente ferito alla gola da una scheggia e viene ricoverato a Villa Torlonia, dove – dopo qualche giorno- é intervistato da Edmondo De Amicis, inviato di guerra di un giornale piemontese. Il poeta e scrittore del famoso libro “Cuore” rimane profondamente colpito dalle dichiarazioni del sottotenente che è profondamente turbato per avere dovuto sparare contro il Papa e per la scomunica che lo sovrasta. Una volta guarito, l’ufficiale subisce una metamorfosi totale, una crisi di coscienza che lo porta a chiedere ad un amico romano una “raccomandazione” per ottenere un’udienza dal papa, da quel Pio IX che egli aveva preso a cannonate. L’amico consiglia ad Amirante di scrivere una supplica col breve racconto della sua vita: nato a Soverato nel 1852, laureato in ingegneria e lettere, aveva frequentato anche la scuola della Nunziatella a Napoli, per poi arruolarsi nell’esercito piemontese. Il Papa Mastai, quello che l’eroe dei due mondi – al secolo Garibaldi Giuseppe- aveva definito “un metro cubo di letame”, fa convocare l’ufficiale e lo riceve in udienza privata, senza testimoni. Dopo il colloquio col pontefice, Amirante decide di lasciare l’esercito (aveva già i gradi di capitano in tasca) e decide di entrare in seminario. Ordinato sacerdote nel 1877, va a vivere a Napoli dove praticamente spenderà l’intera sua vita dedicandosi ad ogni opera di bene e opponendosi fieramente e con ogni mezzo a quanto e a chi osteggi il Papa e il cattolicesimo. Oltre a dedicarsi ad opere di carità e beneficenza, si interessa di matematica, musica (capace di suonare tutti gli strumenti musicali) e lettere, annoverando tra le proprie allieve la scrittrice Matilde Serao. Il 19 giugno 1980 viene aperta la sua causa di beatificazione e quello che era stato il primo artefice a porre fine al potere temporale della Chiesa, quello che gli anticlericali e mangiapreti alla garibaldese ritengono simbolo primo del loro viscerale odio contro la Chiesa, diventa suo estremo difensore.
Adriano V. Pirillo