Tripoli, bel suol d’amore… e non solo


Trump non usa giri di parole, e non c’è alcuna speranza che si possa interpretare diversamente da quello che ha detto a Conte: l’Italia sta agendo benissimo sulla questione dell’immigrazione, cioè fa bene a chiudere i porti; e l’Europa dovrebbe seguire l’esempio italiano.
Per chi non lo sapesse, Trump non è il sindaco dell’isoletta spagnola di Maiorca, ma il presidente degli Stati Uniti.

Conte e Trump hanno concordato una politica mediterranea, e non solo a proposito di migranti: hanno concordato, dunque, quello che oggi manca completamente all’Europa, la quale non ha una politica estera. E ve l’immaginate la bella statuina Mogherini, che fa politica estera? Renzi l’ha spedita in Europa per levarsela dai piedi dall’Italia: tutto qui.
Che c’entrano gli Americani con la Libia? Beh, ammettiamolo pure: quando l’Italia non c’era, e quando la Libia non si chiamava Libia, furono gli Americani i primi a fare politica da quelle parti, nel lontanissimo 1811, per una spedizione punitiva contro i pirati. Nell’inno dei marines si canta così: From the Halls of Montezuma, To the shores of Tripoli; We fight our country’s battles In the air, on land, and sea… Allora l’aria ancora non c’entrava, ma già allora gli USA mostravano la loro ben nota politica d’intervento dovunque.

Cento anni dopo, nel 1911, l’Italia, dichiarata guerra alla Turchia, s’impadroniva delle coste che, con voce classicistica, chiamò Libia, da Libya e Λιβύη.
Era un’occupazione quasi simbolica, che divenne effettiva con Mussolini, che inviò Badoglio e Graziani, non senza qualche episodio di mano pesante contro i ribelli Senussi. La popolazione della colonia, detto in generale, fu invece favorevole all’Italia. Nel 1938 la zona costiera venne annesse direttamente al Regno, e ai Libici venne concessa una cittadinanza particolare, ma che ne assicurava i diritti. Il governato Italo Balbo attirò l’immigrazione italiana, e già due anni dopo delle fattorie producevano, in terre strappate al deserto, del grano. Un’avveniristica strada, detta romanamente la Balbia, percorreva la lunghissima linea costiera.

Occupata la Libia nel 1942, dopo la guerra gli Angloamericani ne fecero un Regno per un Senusso, che tuttavia rispettò gli Italiani. Cambiarono in peggio le cose con la rivoluzione di Gheddafi del 1969; e occorsero anni perché l’Italia, soprattutto con Berlusconi, recuperasse buoni rapporti con la Libia, anche e soprattutto sulla questione dell’immigrazione, che era quasi cessata.
Venne l’ora delle Primavere arabe, che, come si vide subito, di primaverile non avevano nulla, e di arabo ben poco, anzi sapevano a fiuto di quella “esportazione della democrazia” che distrusse l’Iraq, e con esso la civiltà cristiana della Mesopotamia; e voleva fare la stessa cosa in Siria, solo che non ci sono riusciti grazie ad Assad e Putin.

La Libia venne assalita da Sarkozy, Cameron e Omaba Nobel per la pace. Berlusconi, l’amico di Gheddafi, si adeguò all’eterno 8 settembre italiano; che speriamo sia finito con Conte. I tre comparucci devastarono la Libia, uccisero Gheddafi e se ne andarono. Crollata la Libia, tornò l’immigrazione di massa: e dove, se non in Italia? Con immensa gioia di ONG e benefattori, alcuni in buona fede, i più invece ne dubito.
La Libia attuale non esiste; è un mucchio di tribù, generali e partiti. Serve un intervento serio e intelligente, ma autorevole. Se Trump dà una mano, ben venga; ma la guida politica la deve avere l’Italia.
Macron, tra un guaio interno e l’altro, ogni tanto tenta di mettere lo zampino in Libia. Vediamo di tenerlo fuori.

Ulderico Nisticò


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