Turismo delle radici: potrebbe essere un’idea, a patto che…


 Sperando non sia una moda passeggera, leggo con un certo interesse che si fa strada l’idea del TURISMO DELLE RADICI: rivolgersi ai discendenti dei Calabresi emigrati, e che abbiano curiosità di conoscere la terra dei loro nonni e bisnonni; e trisnonni e quadrisnonni, ormai. Il fenomeno dell’emigrazione è, infatti, antico, iniziando verso il 1840 dal Veneto e Piemonte e Romagna (c’è una struggente poesia del Pascoli), cui si aggiunse, tra fine XIX e inizi XX secolo, il Meridione. Ognuno degli Italiani ha sentito parlare di qualche parente che partì; io di due fratelli di mio nonno Ulderico, entrambi farmacisti, passati uno in Brasile e l’altro in Argentina, e se ne persero i contatti. Emigranti di fama, La Guardia e Cuomo a N. York, Macrì detto Macri in Argentina, e oggi si sa degli avi del papa. Altri non erano emigranti ma solo lavoratori intenzionati a tornare: i cosiddetti “Mericani”.

 Ci sono molti discendenti di Calabresi nelle Americhe, in Australia, e anche in Francia e Germania. Molti di loro vorrebbero sapere della terra d’origine, e magari tornarci in vacanza. Se ci sappiamo fare, può essere un’occasione.

 Va fatta conoscere la Calabria, e dico la Calabria vera, senza i piagnistei d’ordinanza, ma anche senza la caccia alla favoletta tipo Giardini delle Esperidi e i sette otto sbarchi di Ulisse, due dei quali in alta montagna (non scherzo: Tiriolo e Nardodipace). Ne abbiamo aree archeologiche e musei e monumenti e borghi… tutta roba genuina. Basta conoscerla, e saper farla conoscere.

 A proposito di roba genuina, gli eredi degli emigranti verrebbero in Calabria per mangiare calabrese: cibo amerikano, lo mangiano già in America; e se rifileranno loro roba industriale in agriturismo fasullo, il turista se ne accorgerà subito.

 Insomma, si può fare, questo TURISMO DELLE RADICI, purché serio, quindi affidato a professionisti. La mia paura è che dilaghi quel vizio millenario della Calabria che è il dilettantismo: storici pataccari, lidi arrangiati, alberghi per un mese, e cucina “internazionale”.

 Professionisti, ci vogliono.

Ulderico Nisticò