Ultima d’Italia, e Poi vediamo


 Recentissimi dati ISTAT: la Calabria è anche quest’anno l’ultima d’Italia, e dal 13 passa al 20% di indigenti: indigenti vuol dire bisognosi di tutto. Non ci possiamo più permettere il tranquillizzante “poi vidimu”.

 Poi vediamo non è la traduzione italiana di “poi vidimu”. In italiano, poi vediamo vuol dire che una cosa non si fa subitissimo, però si fa, e presto; mentre il dialettale calabrese “poi vidimu” si traduce rinviare sperando che la cosa si faccia da sola. È un autoinganno psicologico, anzi psicanalitico ai limiti della psichiatria, per non prendere decisioni, e pensarci sopra per un periodo indefinito, comunque lungo, lunghissimo. Un Cristoforo Colombo calabrese non sarebbe partito mai, e avrebbe trascorso anni a studiare la mappa per trovare una rotta migliore. Migliore di qualsiasi cosa c’è sempre una qualsiasi cosa, e intanto Cristoforo sarebbe moro vecchio e senza scoprire un bel niente: partì, invece.

  L’atteggiamento mentale del “poi vidimu”, che ci accompagna da millenni, è tra le cause della debolezza politica, economica, tecnologica della Calabria; la quale, vi ricordo, è anche agli ultimissimi posti della graduatoria tra le circa 320 regioni europee. Una delle cause è che il calabrese pensa, e, mentre pensa e magari pensa di aver trovato la soluzione del problema, il problema è cambiato, è vecchio. Ed ecco che il mio dotto collega sta ancora imparando il computer, e gli pare una pericolosa e ardita cosa moderna, mentre il mondo ormai usa l’intelligenza artificiale anche per le tabelline pitagoriche: e il mio collega continua con “poi vidimu”.

 E invece alla Calabria serve un rapidissimo tuffo nel 2024 ormai declinante verso il 2025; e una mentalità di sano e veloce pragmatismo.

 La prima operazione mentale è distinguere la Tradizione dal passato. Il passato passa, la Tradizione è eterna proprio perché non è soggetta al tempo. In Calabria, di Tradizione non c’è molto, ma ci si lascia dominare dal passato, un passato quasi sempre spacciato per bellissimo e perso per colpa, ovviamente, di altri, mai nostra. Iniziamo dunque a chiarire che il nonno NON era barone; e nemmeno era frittole e fave quella specie di NONNA BARONESSA di tutti quanti che fu la Magna Grecia, per conoscere la quale bisogna prima di tutto conoscere la lingua greca classica sul serio (caso rarissimo!), e poi scoprire che i Magnogreci amavano moltissimo scannarsi a vicenda, e Pitagora spedì Crotone a distruggere Sibari!!! Del resto, ogni paesello calabro odia a morte i paeselli vicini, e ne viene ricambiato di pieno cuore.

 La seconda è smettere con ogni forma di assistenza, tranne che ai malati inguaribili. Non è vero, non è utile che “i poveri vanno aiutati”, come sentiamo oggi 9 maggio in Rai Calabria con il solito (e inutile) comizietto contro il governo, e quindi che i poveri vadano lasciati poveri, però con distribuzione di cibo; i poveri devono essere messi in condizione di lavorare in un’economia robusta e attiva; quindi finire di essere poveri, e divenire liberi dell’unica libertà possibile, che è “io mangio del mio”, e non devo dire grazie a nessuno. 

 A proposito, la Calabria è ultimissima oggi, quando l’autonomia differenziata non c’è; quindi è sofistico insinuare che i guai della Calabria di oggi siano dovuti ad un’autonomia che forse ci sarà domani, ma certo oggi non c’è, e nemmeno negli ultimi tre millenni. Spero ci sia, così non voteremo più per i cugini e per gli avvocati falliti.

 E bisogna smetterla con certe lettere studiate a scuola, le quali fanno credere ai giovani calabresi che il lavoro è una sventura; ed è invece l’affermazione della volontà di potenza; e l’operaio è un soldato politico, non un disgraziato che preferirebbe dormire invece di faticare; e piangere invece di esaltare la tracotante gioia di vivere.

 Serve una rivoluzione morale, in Calabria, e l’inizio è proprio abolire per legge il “poi vidimu”. Vediamo subito qualunque cosa dobbiamo fare: e cosa fatta capo ha! O, come diceva Napoleone, “si attacca, e si vede”: in quest’ordine, prima fare, poi pensarci. A dire la verità, pensare è compito dei filosofi e degli storici, i quali pensano… un secolo dopo, e vanno dicendo che ci avevano pensato un secolo prima.

 Per la rivoluzione morale, urge quella culturale, con divieto assoluto di piagnistei e lamenti piccolissimo borghesi gabellati per nobiltà d’animo. Urgono film e teatro e libri di tutt’altro e più energico tenore, e con attori sani e bravi e in italiano normalmente parlato. In alternativa, tenetevi la Calabria morta di fame e in cerca di elemosina.

 E niente utopie di Bengodi che mai furono e mai saranno, ma piedi realisticamente per terra.

Ulderico Nisticò