4 e 11 novembre 1918, inizio di una tregua


Onore a tutti i Caduti e combattenti di ogni esercito della Grande guerra europea. Lo storico però, che dev’essere “sine ira et studio”, cioè freddo, deve giudicare i fatti come si sono generati e svolti; e soprattutto gli esiti del conflitto. E deve concludere che quanto accadrà nel 1939, la Seconda guerra mondiale, è inevitabile conseguenza della pessima conduzioni degli affari europei nel 1918 e ’19; e non colpi di testa di pazzi o altre amenità da comizietto.
Premessa, come già abbiamo scritto: il Comando dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna, Italia; la Russia era ormai fuori gioco) aveva fatto i suoi piani in previsione di un intervento massiccio degli Stati Uniti, che però si attendeva solo nell’estate del 1919. Il crollo degli Imperi, dovuto più a cause interne che alle vittorie sul campo dei loro nemici, trovò del tutto impreparati sia i Comandi sia i Governi.

Il presidente USA, Wilson, che era, diciamo così, un idealista, aveva affermato i 18 punti, la cui sintesi era l’indipendenza e autonomia statale di tutti i popoli europei in regimi democratici. Clemenceau, il ministro francese che gestì la pace, usò i principi di Wilson per affermare sull’Europa Centrale e Orientale l’influenza ed egemonia della Francia. L’ingenuità americana e la furbizia francese, e l’estrema debolezza dell’Italia, causarono un quadro politico internazionale che non poteva che crollare, e crollò.

La Polonia, che dal 1772 era divisa tra Russia, Prussia e Austria, divenne una Repubblica, e, come se due secoli e mezzo non fossero passati, decise di riconquistare l’Ucraina, e magari la Crimea. Entrati a Kiev, i Polacchi ne furono subito cacciati dall’Armata Rossa, a sua volta sconfitta alle porte di Varsavia. Una raffazzonata Pace di Praga lasciò alla Polonia vastissimi territori abitati da Russi; in aggiunta a tali minoranze tedesche, che sui trenta milioni di abitanti, la Polonia ne contava dieci di allogeni. Se non bastasse, si prese arbitrariamente la capitale della Lituania, Vilnius in lituano, Vilna in polacco: vedete voi.

La chicca fu la Cecoslovacchia, uno Stato senza alcuna radice storica se non nel vago legame slavo tra tre dei suoi molti popoli. Ne derivò un’arlecchinata di tre milioni di Boemi e Moravi, due di Slovacchi, uno di Ungheresi, mezzo di Russi, e, suprema idiozia, quattro milioni di Tedeschi dei Sudeti. La costituzione cecoslovacca era democraticissima, ma di fatto assicurava il predominio della Boemia, con grande fastidio degli Slovacchi. Caduta al primo scossone, nel 1938, rimessa a forza assieme da Stalin, nel 1992 l’artificiosa costruzione si dissolse da sola, e oggi sono due Stati, entrambi nell’UE (e in Visegrad!), ma ognuno per conto suo.

L’Ungheria perse due terzi del territorio, e ne rimasero fuori gli Ungheresi di Transilvania, Banato e Slovacchia. Rischiò di diventare comunista, e si proclamò Regno; ma i vincitori le impedirono di eleggere Carlo d’Asburgo, e la questione istituzionale rimase in sospeso.
La Romania, la cui corrottissima classe politica era legata ai politicanti e affaristi francesi, si vide raddoppiata di territorio, e precipitò in continui conflitti politici.

Sotto la regia francese e inglese, e nell’incapacità più squallida dell’Italia, nacque un Regno di Iugoslavia, di fatto sotto il controllo dei Serbi sugli altri Slavi. Il dibattito tra partiti si risolse… a pistolettate in pieno parlamento (storico!). Disfatta nel 1941 dall’attacco italotedesco, la Iugoslavia si è disfatta da sola nel 1991, con le orrende conseguenze che abbiamo visto in diretta.
Vi risparmio altri particolari europei, che pure ebbero il loro peso. Leggete il mio “Abele e Caino. Storie della guerra mondiale 1814-2001 Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002”.
Insomma, la Seconda guerra mondiale era già pronta nel 1918; e i vent’anni seguenti furono solo una tregua.

Ulderico Nisticò


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