A che serve studiare la storia politica delle Due Sicilie


Perché potrebbe essere utile al presente studiare la nostra storia del passato? Cosa può insegnare al 2017 un libro sul disastro del 1860? Beh, secondo l’autore, a qualcosa serve. Vediamo:

– Il Regno delle Due Sicilie (RDS) mancò di una classe dirigente qualsiasi, fosse borbonica o fosse liberale: scarsa cultura, tranne isolati filosofi e giuristi, e comunque cultura erudita e astratta e mai problematica; pessimi generali, degli stipendiati senza alcuno spirito militare; nessuna sede politica dove discutere problemi e proporre soluzioni; burocrazia vischiosa; fiducia esagerata nel re Ferdinando II, venuta meno per la morte; attesa di qualche benefattore esterno che in qualche modo o aiutasse i Borbone a mantenersi, o aiutasse i liberali a disfarsene. Oggi, più o meno la stessa cosa: miracolismo diffuso (l’Europa, il governo X o il governo Y, il turismo, il porto di Gioia Tauro… ) e pigra attività spontanea; burocrazia vischiosa e certamente più corrotta del 1860; nessun partito o movimento seri che pongano problemi concreti e li risolvano; istruzione con nessuna problematicità, e intellettuali sempre in preda a qualche ideologia fumosa e di breve durata; classe politica di devastante incapacità. I Landi, i Lanza, i Ghio eccetera, oggi sarebbero presidenti di una Regione del Sud: e ho detto tutto!
– Il Meridione del 1860 non era privo di potenzialità economiche: esportava derrate agricole e qualche prodotto industriale; accumulava denaro non speso; mancava di un ceto medio di commercianti e piccoli imprenditori. Oggi quel poco che c’è è, come nel 1860, cattedrali nel deserto, attorno alle quali non si sviluppa alcun indotto.
– Gli interventi statali borbonici non mancavano, ma erano lentissimi e impacciati: leggete, a p. 219, e capirete perché ci vollero 13 anni per far arrivare una statua, e perché, dopo la sparata della Napoli – Portici, non si fecero le ferrovie. Se a qualcuno vengono a mente la Trasversale, la 106 eccetera… ebbene, è proprio così.
– Nessuno, nel 1860, moriva di fame; e nessuno muore di fame nemmeno oggi, nel Sud. In qualche modo, si campa. Oggi, come nel 1860, campare e vivere non sono affatto sinonimi.

Insomma, dal 1860 non è che sia cambiato molto, direi quasi niente. Vale la pena, dunque, di leggere un libro di storia… come fosse cronaca attuale.

Ulderico Nisticò


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