Ce li chiede l’Europa, i conti


L’Europa, che per tutto il resto (esteri, clandestini… ) è un ente inutile, quando si tratta di soldi le si drizzano le orecchie come ai cani da caccia. Ed ecco che il vicepresidente, un giovane bello dalla faccia cattiva, dichiara senza biribimboli e giri di frasi, che:

– I conti pubblici italiani non vanno bene;
– La politica deve dire agli Italiani la verità.

Ha proclamato proprio così, informando il mondo che la politica, invece, agli Italiani la verità non la dice, anzi cerca di abbindolarli con annunci che va tutto alla grande, e in seguito andrà anche meglio. L’Europa invece replica che i conti pubblici non tornano, e che il governo mente sapendo di mentire.
I conti pubblici italiani sono in rosso da sempre. Il Regno di Sardegna era indebitato per gli investimenti di Cavour in ferrovie e infrastrutture, e per le spese militari e delle guerre; e lasciò i debiti al Regno d’Italia. Sia detto per inciso, il Regno delle Due Sicilie era in attivo, ma perché teneva i soldi a fare la muffa, il che è uguale a non averli.

Una politica liberale di “economie fino all’osso” e di tasse anche sul pane non bastò. Fece molto meglio il fascismo, che non lasciò debiti. E qui vi dico, con la morte nel cuore, quanto segue: la Repubblica Sociale, che, come è noto, era praticamente limitata al Nord, lasciò un attivo di 20 miliardi, 20 miliardi veri anteguerra, di quando mio padre, ufficiale della Muti, percepiva 400 lire mensili! Mi duole dirlo, ma andò così.
La Repubblica attuale praticò a mani basse la più palese politica di indebitamento interno ed estero, quest’ultimo favorito dalla situazione internazionale e dall’indulgenza di Americani e Tedeschi. E si fece un uso ciclopico dell’inflazione, che, detto in altri termini, era stampare carta moneta fasulla per creare altrettanto fasulla ricchezza. Andreotti, Craxi e Ciampi andavano e venivano da una tipografia sotto casa, portando camion carichi di cartacce. Verso gli anni 1980, le cifre di milioni andavano alle stelle; ed era un allegro inseguimento a chi saliva di più, se i prezzi o gli stipendi! La demagogia demosocialista, sostenuta non tanto occultamente dal PCI, aveva bisogno di carta per pagare il benessere, e, nel Sud, eserciti di inutili e improduttivi posti fissi. Poi i Tedeschi abbatterono il Muro; e crollò l’Unione Sovietica: fine dell’indulgenza all’Italia.

Con la pistola alla tempia dell’euro, i politicanti trovarono una sola soluzione, quella dei disperati: limitare le spese e bloccare le assunzioni, rinviando il pensionamento alla vigilia del camposanto dei lavoratori!
Nessuno si sogna di pensare e attuare un intervento radicale e strutturale. La ricchezza e il benessere, e quella cosa che li rappresenta, cioè i soldi, non li porta la cicogna e non si trovano sotto i cavoli: ci sono se si producono. Il problema non è la distribuzione, come credono demagoghi e benefattori utopistici, il problema è che non si può distribuire quello che non c’è.

Quando un paese del Sud – non faccio nome per l’ipocrisia dell’affetto – era un tempo famoso centro di produzione di agricoltura e allevamento e artigianato, e poi i politicanti convinsero la popolazione a farsi tutti bidelli e uscieri e avvocati e professori, oggi il paese è senza “posti” e senza vacche e fagioli e patate. Ecco come fu che in Italia, e nel Meridione, ahimè, di più, lo Stato spende (non si svena, ma spende) e non guadagna. E quando uno non guadagna ma spende, i conti vanno in rosso come il pavimento dell’Inferno.
Eccetera: strade che crollano, e bisogna rifarle; e aggiungete un mangia mangia spaventoso di burocrati e politicanti eccetera. Per ogni “scandalo” che conquista le pagine dei giornali, ce ne saranno cento che non compaiono.
Nessun governo dal 1945 al 1994; e tanto meno dal 1994 al 2017, ha mai assunto provvedimenti risolutivi, ma solo pezze a colore e toppe; e tutto all’insegna del provvisorio e del precario.
Una delle soluzioni è, come nel 1861, mettere mano alle tasse; non tanto alle dirette, che pochi pagano, quanto alle indirette e mascherate. Non ce ne accorgiamo, ma quando compriamo le caramelle, il 21% è IVA, cioè una caramella su cinque se la succhia lo Stato. E ci sono casi peggiori.

La soluzione è invece produrre ricchezza, il che avviene solo attraverso il lavoro. Lavoro, ovverosia fatica; ovvero, un dirigente e cinquanta contadini, e non cinquanta dirigenti passacarte e un contadino magari esonerato! Assistiti? Solo i malati gravi veri.
Il Sud deve produrre; e non venitemi più a cianciare di interventi straordinari e altre manovre volte solo a creare masse di mantenuti e smidollati; e ad elevare al cielo la corruzione.

Ulderico Nisticò


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