Il 20 settembre e via Amirante


Il 20 settembre 1870 un esagerato spiegamento di forze, al comando del generale Cadorna, attaccò Roma, difesa, per ordine di Pio IX, dal generale Kanzler e dagli zuavi pontifici. Era l’epilogo di una lunga storia, che qui molto brevemente riassumiamo:

– Con l’affievolirsi del potere dell’esarca romeo di Ravenna, i papi assunsero in Roma anche potere politico;
– Il re Liutprando, conquistata Ravenna, donò al papa Sutri; confermò la donazione Pipino; infine Carlo Magno, di diritto o di fatto, assegnò al papa tutto il cessato dominio romeo, inclusa Ravenna;
– Un dominio politico si ritenne indispensabile a garantire la “libertas Ecclesiae”; ma solo con Cesare Borgia e con Giulio II, nel XVI secolo, lo Stato della Chiesa assunse compattezza territoriale sugli attuali Lazio, Umbria, Marche, Romagna, Bologna e Ferrara;
– Nel 1797, Roma fu occupata dai “giacobini” francesi; ma alla richiesta di cedere il Patrimonio, Pio VI rispose con le celebri parole “Non possumus, non volumus, non debemus”; il non possumus era giuridicamente fondato sul principio che il papa non è padrone ma solo custode del Patrimonio, e perciò non può cederlo; tuttavia sotto Napoleone Roma fu una città della Francia;
– Ricostituito lo Stato nel 1814, rimase alla Chiesa fino al 1859, ma con la sanguinosa vicenda della Repubblica del 1849, schiacciata dai Francesi di Luigi Bonaparte, poi Napoleone III;
– Dopo la conquista di Napoli, Garibaldi intendeva proseguire contro Roma, il che indusse Napoleone III a spingere all’intervento l’esercito del Regno di Sardegna, che, per via, s’impadronì di Marche e Umbria;
– Il Regno d’Italia, appena proclamato, dichiarò sua capitale Roma, tuttavia occupata da truppe francesi;
– Nel 1864, una Convenzione sancì la rinuncia italiana all’uso della forza, e il trasferimento della capitale da Torino provvisoriamente a Firenze; nel ’67 Garibaldi tentò l’invasione, stroncata dalle truppe papali a Mentana e Monterotondo;
– Nel 1870 Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia, e ne venne subito battuto e fatto prigioniero. L’Italia si ritenne sciolta da ogni impegno, e la Repubblica francese, presa da ben altri guai, ritirò le truppe da Roma. Era dunque possibile risolvere la questione con le armi.

La resistenza pontificia era inutile ma necessaria, o, secondo le convenzioni diplomatiche del XIX secolo, il governo italiano avrebbe sostenuto che la Chiesa rinunciava volontariamente al Patrimonio. Si svolsero perciò veri combattimenti, con 22 Caduti dell’esercito papale, e circa altrettanti italiani.
Tra i numerosi feriti, il tenente di artiglieria Carlo Amirante, nato… eh, si fa presto a dirlo! Ecco un bel caso in cui i famosi “documenti di archivio” non solo non aiutano a niente, ma ingarbugliano le idee. Secondo l’atto del Comune, Carlo nasce a Soverato, o almeno così dichiara il padre Saverio; secondo quello della Parrocchia, nasce a Cardinale, e viene battezzato alla Razzona da Carlo Filangieri, per procura, e per mano del Vescovo di Squillace, Pasquini. L’uno e l’altro documento lasciano adito a dubbi.

In ogni caso, la questione è di lana caprina. Saverio Amirante, responsabile delle “magone” (fonderie) e della Razzona in genere, era napoletano, e così la moglie. Viveva a Razzona, ma possedeva, come già si usava, una casetta in Santa Maria di Poliporto, la futura Soverato Marina, credo presso la Torre.

Chiusa la fabbrica, Saverio lasciò la Calabria, e tutto il resto della vita del figlio Carlo si svolse a Napoli, senza alcun rapporto con Soverato o Cardinale. È francamente eccessivo che gli sia dedicata la più lunga e popolosa via di Soverato, quando a fra Giacomo e allo Zumpano restano due viuzze ignote.
Il 20 settembre 1870, il tenente Amirante colpì pure lui Porta Pia, consentendo l’entrata in Roma dei bersaglieri, del resto ormai sollecitata dallo stesso cardinale Antonelli, Segretario di Stato, per impedire l’anarchia in città. Carlo era stato seriamente ferito, e la convalescenza gli causò una crisi morale.

Attenzione qui, non giochiamo con la storia, reinventando il passato. Il papa beato Pio IX si dichiarò “prigioniero”, e non riconobbe mai, e così i suoi successori fino al Pio XI, l‘occupazione di Roma; e ruppe ogni rapporto con il Regno d’Italia, a sua volta governato, detto in generale, da liberali massoni anticlericali: leggete certi versi del Carducci contro Cristo e la Chiesa. Già nel 1861, per effetto del non expedit, i cattolici osservanti non avevano partecipato alle elezioni della Camera, e sui 400.000 aventi diritto (alla faccia della democrazia!!!) metà non votarono. Dal 1870, fu, in linea di principio, impossibile essere cattolici e patrioti. La massoneria fece del 20 settembre una specie di sua data sacra.

Qualche timido e imbarazzato passo si fece con il Patto Gentiloni (parente dell’attuale); ma la soluzione chiara e leale venne trovata con i Patti Lateranensi, o Conciliazione, firmati l’11 febbraio 1929 dal cardinale Gasparri e da Benito Mussolini: con il Concordato, regolavano i rapporti tra Stato e Chiesa; e con il Trattato, riconoscevano al papa la sua indipendenza e sovranità nella Città del Vaticano; e il papa, a sua volta, riconosceva diplomaticamente il Regno d’Italia. Sotto il profilo del diritto, alla Chiesa restava la sua “libertas”, cioè l’indipendenza politica; ma non c’era alcun diritto a un’estensione territoriale definita, salvo a non trasferire il Vaticano a Sutri!

Gli Italiani cattolici, e quelli atei di buon senso, esultarono in massa. Qualche residuo dell’Ottocento risorgimentalista protestò, anche Croce e Gentile in senato, una volta tanto d’accordo: ma Mussolini non se li filò proprio. Durante la guerra (per Roma, 1940-4) la Città del Vaticano venne rigorosamente rispettata da tutti i belligeranti.
Con atteggiamento che rasenta la follia, i Patti Lateranensi sono poi diventati un dettato costituzione nella vigente carta del 1948, addirittura, art. 7, uno dei “principi fondamentali”, il che, a parte l’essere assurdo sul piano del diritto costituzionale, farebbe di Mussolini uno dei cosiddetti padri fondatori, in quanto firmatario dei Patti suddetti! Però non se ne accorse nessuno; ed egli non avrebbe mai commesso una baggianata giuridica del genere. Lo Statuto Albertino del 1848, del resto, parlava, all’art. 1, di “religione cattolica”, non di Chiesa. Alla faccia dell’art. 7 “principio fondamentale”, poi Craxi rivide parzialmente gli accordi del ‘29.
Intanto Carlo Amirante, lasciato l’esercito, e chiesto perdono a Pio IX, aveva abbracciato lo stato ecclesiastico, dandosi a opere di pietà e di assistenza dei poveri. Morì il 20 gennaio 1934.
Una causa di beatificazione, svogliatamente promossa e seguita dall’Arcidiocesi di Napoli, è giunta solo fino al secondo dei quattro gradi: Servo di Dio. Non pare procedere.

Ulderico Nisticò


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