Progetto Calamedia a Soverato. I beni culturali nel cinema


Nella sala consiliare di Palazzo di Città di Soverato alle ore 18:30 succede qualcosa. Succede con mezz’ora di ritardo rispetto all’orario fissato sulla locandina. Succede l’evento Calamedia dedicato al cinema, arti visive e multimedialità. Succede che sono tutti lì per l’assegnazione del Premio Mario Gallo allo scenografo Marco Dentici. Succede che si dibatte sul cinema. Precisamente una Lectio Magistralis sulle prospettive del cinema nei beni culturali. Succede che il Presidente della Cineteca della Calabria Eugenio Attanasio e Davide Cosco per la Casa del cinema Catanzaro e il Professore Ulderico Nisticò e il regista Maurizio Paparazzo e il Direttore Cineteca della Calabria Giovanni Scarfò e lo scenografo Claudio Cosentino sono seduti dietro il lungo tavolo delle conferenze.

Succede che Attanasio modera il dibattito e porta nelle parole la bellezza di Klaus Maria Brandauer e il suo lavoro di attore e poi di regista e la collaborazione con il presente Mario Dentici. E porta nelle parole gli anni d’oro del cinema neorealista e la nostalgia dello scintillio del cinema italiano.

Succede che diventa padrone del microfono Ulderico Nisticò, <<l’imbucato nel mondo del cinema>>. Succede che travolge con la sua carica passionale chi sta lì fermo ad ascoltare. Succede che utilizza tutte quelle parole che inevitabilmente trascinano le orecchie e incantano la mente. Quelle che si possono non condividere, ma si devono necessariamente ascoltare. E porta nelle parole il cinema e il teatro come provocazioni culturali. E la differenza che esiste tra loro. Il teatro che si fonda sul patto tra autore e pubblico, un patto siglato dalla parola. Il cinema che rompe questo patto perché comporta la necessità del movimento. Il cinema che crea un mondo falso che sembri vero attraverso la scenografia. La scenografia che è magia del cinema nel ricostruire filologicamente un ambiente che non c’è più. E porta nelle parole il cinema nei beni culturali calabresi. Perché bisogna ricostruire l’immaginario collettivo e <<capire cosa sono ‘sti beni culturali in Calabria>>. Perché la memoria storica dei Calabresi è scarsa, se non nulla. Perché la Calabria può fornire occasioni disparate per girare dei film, senza essere forzatamente sottoposti alla realizzazione di un tema “politicamente corretto” che risponda alle esigenze del finanziatore. Perché nella realtà non abbiamo il buono che vince sul cattivo. E quindi l’arte è quando non si ha un tema, un tema dettato dal di fuori della creazione. Perché l’arte è provocazione che turba chi ne fruisce. Perché all’emozione in Calabria non ci siamo ancora arrivati. Siamo fermi alle idee. Che sono belle, ma non sono arte. Perché il teatro, come il cinema, si fa in due. Come l’amore. Chi sta sul palcoscenico e chi sta sotto. E come l’amore il film è dramma, conflitto, contrasto. Altrimenti è una predica.

Succede che prende la parola Giovanni Scarfò. E risponde a Nisticò. Risponde che 100 anni di buoni e cattivi hanno fatto vivere il cinema americano. Risponde che c’è una strada cinematografica da percorrere in Calabria. Perché “Anime nere” è stato girato in Calabria e ha partecipato alla mostra del cinema di Venezia. Perché al Festival di Rovereto si presentano film realizzati nelle zone archeologiche, tra cui quelle della Calabria. E porta nelle parole il rapporto pregnante tra cinema e architettura. L’architettura che non è uno sfondo, ma un personaggio che dialoga con gli altri personaggi. E porta nelle parole il rapporto tra cinema e beni culturali, perché per fare cinema in Calabria bisogna capire che alcuni siti vanno mantenuti senza modificarli. E porta nelle parole la funzione di esempio che il cinema svolge per i giovani. E il dibattito che si apre sulla questione. Fin dove il cinema può spingersi?

Succede che interviene Nisticò. E tutto si riduce ad una questione di punti di vista. Perché tragicamente negli anni 50 si è sparsa la voce che letteratura e cinema dicano la verità, ma non è così. Narrano una verità poetica, non di cronaca. Basta far capire la chiave di lettura, come fa l’Ariosto, il Manzoni. E poesia e letteratura e cinema diventano, lungo il discorso, il cantuccio dell’anima.
Succede che in maniera brevissima e concisa arriva il turno di Maurizio Paparazzo. E porta nelle parole la macchina da presa. Perché dietro la macchina da presa c’è sempre una questione morale. Perché è fondamentale raccontare l’individuo, anche calabrese, nel suo disagio sociale. Questa scelta è anche una scelta di scenografia. Perché l’unica Calabria che esiste agli occhi degli altri è quella del grottesco e della ‘ndrangheta. Ma il cinema può far vedere una Calabria moderna e bella dove la scenografia, una ricchissima scenografia, diventa la natura che stimola in tutti i sensi, con il mare, la collina, la montagna.
Succede che per ultimo tocca parlare a Marco Dentici. Il protagonista della manifestazione. E porta nelle parole il lunghissimo curriculum. Perché lui stesso rappresenta una memoria storica del cinema italiano con la sua esperienza quarantennale. E porta nelle parole il dissenso nei confronti dell’intervento di Nisticò. Perché si è discusso di certezze e dubbi che lasciano molti dubbi. E porta nelle parole la differenza fra cinema e teatro. Il teatro che è rappresentazione, il cinema che è riproduzione. Entrambi dell’universo. Senza dover parlare di bene o male, altrimenti non se ne esce più. E porta nelle parole la tristezza del cinema contemporaneo. Perché ormai le rivoluzioni si fanno sul piano personale, cercando di essere esempio per gli altri. Questa è la scintilla per accendere altri fuochi in altre persone. Perché ora c’è calma piatta e corsa al consenso, al successo facile. Perché sono le leggi di mercato a governare il cinema. E gli autori italiani hanno la parola censurata, perché non trovano consensi. E cinema e autori si avvitano su loro stessi. Sono i produttori che vogliono fare soldi. Perché ci vuole troppa fatica per far produrre un film fuori dal coro. Perché ormai il cinema è la fabbrica dei prototipi. Bisogna fare film che abbiano la pretesa di essere film d’arte. Non è importante il tema nell’opera d’arte, l’argomento deve servire a suscitare delle emozioni senza far mai rimanere passivo il pubblico. E porta nelle parole un nuovo modo di vivere la scenografia.

Un elemento drammaturgico che racconta gli obiettivi del film. E porta nelle parole la tv che ha assassinato il cinema. Quella tv che ha un potenziale enorme, ma uccide la sala cinematografica che continua ad esistere come luogo sacro.
Succede che conclude Attanasio. Perché abbiamo ascoltato, stasera, un distillato di verità.
Succede che Soverato deve esistere anche attraverso la vivacità culturale. E per qualche ora si è respirata vita.

Floriana Ciccaglioni


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