Ancora sul lavoro


 Attività della Regione (assessore Calabrese) e dei Centri per l’impiego al Comune di Soverato; coinvolte le scuole. Detto in modo sommario, mi è parsa un’iniziativa concreta, a differenza di tanti diluvi di chiacchiere degli anni scorsi.

 Non abbiamo sentito, infatti, la solfa del “creiamo lavoro”: è con la fasulla creazione di lavoro che la Calabria, durante la nefasta Prima repubblica [ammesso sia diversa la cd Seconda], dilagò la demagogia demosocialcomunista, con assunzioni a valanghe di bidelli, uscieri e passacarte; e scuole di dubbia qualità e molto personale; e l’assistenzialismo indiretto di false industrie tipo SIR, Saline, Isotta eccetera. Gli assunti abbandonarono i campi e le pecore e le botteghe artigiane; e oggi siamo senza artigianato, senza pecore, senza campi… e da almeno trent’anni senza manco più assunzioni.

 È ora d’invertire la trista tendenza. Il lavoro non si crea; ma è la produzione che richiede lavoro. La Calabria deve dunque inventarsi una produzione: agricoltura e allevamento del 2024, e non più “u pezzicerhu d’a terra”, il glorioso petzì dell’Impero Romano d’Oriente che per secoli assicurò la sussistenza e la difesa militare… ma oggi fa solo spendere soldi e tempo; e turismo serio, non la balneazione di due settimane; e cultura attiva, eccetera.

 Per fare questo, non serve più il factotum, ovvero “m’azziccu a tutt’i parti”, ma occorrono specializzati e capaci di tecnologia, inclusa l’intelligenza artificiale. Per esempio, se volete cultura classica grecolatina del 2024, non potete più scrivere la versione di greco alla lavagna come dovetti copiare io agli esami del 1968, ma bisogna usare il computer, eccetera: ne è passata da allora acqua sotto i ponti del Tevere e dell’Eurota! Lo stesso per qualsiasi scienza e mestiere.

 Urge dunque una rivoluzione, che, come tutte le rivoluzioni, troverà sempre non l’opposizione ma la remora e il borbottio e la protesta dei passatisti e nostalgici dei bei tempi inventati che furono. Erano tempi belli, senza dubbio, ma proprio per il contrario di quello che sognano i nostalgici del sogno: perché erano tempi duri e precari e avventurosi e burrascosi e da poesia, ma tutto tranne che comodi!

 Mi fermo qui, augurando… buon lavoro! Buon lavoro del 2024, s’intende.

Ulderico Nisticò