Assessore alla cultura, o i Lévy Strauss della domenica


In mezzo a sette Altissimi Profili, Oliverio non ha trovato un assessore alla cultura. Beh, meglio così: tutti gli altri hanno scelto sempre uno di scarto da levarsi di torno, e per distribuire piccole somme alle sagre della frittata e alla festa del santo, e nessun assessore alla cultura della misera storia regionale ha mai fatto niente di culturale.
Ora dice Oliverio che nominerà una commissione. A questo punto, quasi quasi è meglio; tuttavia mi sorge qualche legittimo e fondatissimo dubbio, sempre per via della festa del santo e della sagra della frittata.
In Calabria, infatti, dev’essere successo che qualcuno, per sbaglio o per caso, ebbe notizia dell’esistenza al mondo di Claude Lévi Strauss (1908 – 2009), il grande antropologo ed etnologo che, già negli anni 1930, ridicolizzò il mito di Rousseau del buon selvaggio, però rivalutò anche il concetto di cultura come espressione di un popolo secondo le circostanze in cui vive. Popolo che vive ai tropici (“tristi”, per lui, non da cartolina) e deve superare terribili difficoltà, svilupperà una cultura diversa da quella di un popolo che vive nel Sahara e di uno che abita l’Europa; e lo studioso lo deve capire senza esprimere superficiali giudizi.
Anche in Calabria qualcuno (secondo me, per un esame universitario a forza) deve aver sentito parlare di Lévy Strauss, però lo hanno subito fatto alla ‘ndujia, alla sardella, alle frittole, della domenica; e con la scusa che tutto è cultura, via i finanziamenti per la rassegna dei poeti dei matrimoni (“chissà vinu è bell’e finu, brindisi fazzu a Rosarinu”, e giù premi letterari e fama e corone d’alloro), e per la sagra delle frittelle di fiore preceduta da conferenza del dotto paesano, otto relatori e quattro spettatori tutti stretti parenti.
Poi ci sono, pochi e sparuti ma ci sono, i superspecialisti megagalattici di una cosa sola, docenti di solo quella e basta, i distinti signori che, se chiamati a parlare, si portano dietro trenta fogli e li leggono, e tutti con lo stesso biascicato tono, e intanto il pubblico o dorme o è al bar.
Ecco la mia duplice paura, quando sento parlare di una commissione.
Una premessa: per me, vecchio reazionario, cultura sono le seguenti cose: italiano, latino, greco (classico), storia, filosofia, matematica, fisica, scienze, storia dell’arte, estimo, computisteria, geografia, antropologia, etnologia, scienza medica, astronomia… E tante altre cose, però a un’ovvia e banale condizione, che sia cultura e non chiacchiere a ruota libera tipo scopritori di Templari e Pitagora, e sbarcatori in ogni dove di Odisseo.
Esempio che mi concerne: se uno vuole parlare di Iliade, Ulisse, Magna Grecia, Grecia classica e roba del genere, come minimo deve conoscere profondamente e seriamente il greco classico. Non è obbligatorio per essere un onesto cittadino e andare in Paradiso, certo, ma se uno non conosce il greco classico, con che cavolo di fonti si confronta, per parlare di Ellade? Lo stesso vale per estimo e astronomia…
Tanto meno per cultura io intendo quella antimafia segue cena, un vero hobby quando non mestiere. Non aggiungo altro, tanto è evidente.
Ma nemmeno in una commissione è utile si trovi chi, per ragioni professionali, sappia come mai in Catullo si trovi fecerīmus invece del solito fecerĭmus: roba da latinisti professionisti, che, esclusi i presenti, non importa a nessuno; anzi, se pigliamo “importa” alla lettera, nemmeno a me che lo so, e non per questo mi sento felice.
Una commissione non produce cultura, organizza la cultura degli altri; e anche la propria, se serve. Infatti, nella lunga storia della Calabria, appare che questa nostra terra è stata ricca di filosofi, scarsa di grandi poeti, ma popolata da stuoli di eruditi di ogni materia. Uno notevole l’ho commemorato domenica scorsa a Zagarise, Paolo Emilio Tulelli, però credo sia quasi sconosciuto dai Calabri. Segno che mancò e manca proprio l’organizzazione della cultura: ognuno per conto suo, e ogni cosa in edizione unica. Siamo un po’ tutti come quel poeta cinese che scriveva i suoi versi e poi li abbandonava al vento.
Come si organizza, la cultura? Beh, da una parte fornendo occasioni e visibilità: e spero nella nuova gestione del TG3 Calabria, dopo la presente fatta di Varapodio, Corbelli e libri degli amici di Cosenza; dall’altra, stabilendo precisi criteri e chiare gerarchie di reali valori.
C’è spazio, per la cultura, in Calabria: quattromila anni di storia, aree archeologiche di ogni epoca, tradizioni, studio serio dei dialetti, figure illustri, ricorrenze di guerre e paci e santi e mascalzoni di fama… Insomma, quello che fanno tutti dovunque tranne che in Calabria.
Ora sono curioso di leggere i nomi della commissione.

Ulderico Nisticò


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