Sino a due secoli fa, era difficile anche scrivere la storia delle donne, non avendo esse lasciato, e certo non per colpa loro, che lievi e flebili tracce nei secoli trascorsi a fianco dell’uomo, ma del tutto trascurate dallo Stato, come nell’età classica, dove erano volutamente ignorate anche durante i censimenti, al pari degli schiavi e dei fanciulli, perché non godevano dello status di cittadino. A Roma, ad esempio, erano contate unicamente le donne ricche e le ereditiere, e solamente nel III secolo dopo Cristo l’imperatore Diocleziano ordinò che ne fosse fatto il computo, seppure per motivi fiscali. Le donne, del resto, non avevano una vita pubblica ma, relegate in casa, erano costrette a passare il loro tempo tra l’allevare i figli e la cura dell’oikìa: non avevano alcuna possibilità di socializzare, di andare nell’agorà, al ginnasium, in teatro o ai banchetti; spesso velata, la madre di famiglia, la donna onesta – non l’etèra, sollazzo degli uomini in feste e banchetti – era quasi sconosciuta alla vita collettiva; della donna perbene, diceva Orazio, “si vede soltanto la figura”. Pensare quindi ad un’istruzione al femminile, a delle donne che potessero studiare, disputare con Socrate o i Sofisti, era inconcepibile; non balenava a nessuno l’idea che la donna potesse vivere lontana dal suo specchio, dalla casa e dai figli, essendo la sua esistenza “tollerata” solo perché “adibita” alla procreazione: gli altri piaceri, i barbuti e “coturnati achei” preferivano trovarli nei giovani efebi. La prima istruzione scolastica ad indirizzo femminile fu quella eolica nell’isola di Lesbo (VIII secolo avanti Cristo), dove le donne imparavano la musica, il canto, la danza, la poesia sotto la guida di Saffo, forse la più grande poetessa di tutti i tempi. Nel suo “tiaso”, scuola o confraternita che dir si voglia, questa donna “dai capelli viola, veneranda e dal dolce sorriso”, come la definì il poeta Alceo, insegnava anche l’amore, la grazia, il modo di vestirsi, il buon comportamento, l’eleganza, la poesia, a parte ciò che occorreva sapere per mantenere la cura dell’oikìa. Delle donne neppure gli storici parlano molto, sia quelli greci, che ignorano completamente le vittime femminili della guerra, massa indistinta assieme a bambini, vecchi e schiavi, sia i cronisti medievali, che ricordano volentieri solo donne e regine quali ornamento di feste e parate di cavalieri o “strumento” per matrimoni, che possono renderle importanti e dare loro il potere. Ad oltre duemila anni di distanza, le cose non erano molto cambiate se, nel XVIII secolo, Rousseau scriveva che le uniche cose in cui istruire Sophie, la donna destinata ad Emile, libro V, erano il saper piacere agli uomini, essere loro utile, consolarli, rendere la loro vita piacevole e dolce. Nell’età romantica le donne invadono la vita dell’uomo e fanno quasi da motore d’equilibrio della società ma, alla fine del XIX secolo, l’età del positivismo le esclude dalla storia; questa, infatti, si volge ad indagare il terreno politico e sociale, e la sua scrittura è mestiere degli uomini, non è cosa per donne; non sono queste che fanno la storia i cui attori e protagonisti universali restano solo gli uomini; le donne e le loro stupide frivolezze, i loro pietosi e lacrimevoli racconti rappresentano materia marginale, buona per autori mediocri dediti a narrare la vita miserevole di tutti i giorni, storielle religiose, aneddoti piccanti. Alle donne, insomma, si addiceva più il “saper fare” che il “sapere”, il quale era comunque limitato al “leggere, scrivere e far di conto” anche quando nei secoli XVII e XVIII era cominciato un inarrestabile processo d’alfabetizzazione che, fermo restando la priorità d’una preparazione domestica rispetto alla lettura, porterà “le iniziate” anche allo studio del latino: molto merito ebbe in ciò Erasmo e la riforma luterana. Durante il Concilio di Trento, la Chiesa Cattolica reagisce prontamente alla nuova situazione ed inizia una vasta opera d’alfabetizzazione cristiana della donna, comprendente almeno l’insegnamento del catechismo e della lettura; nascono diversi istituti pubblici, per le meno abbienti, e costose pensioni private dove sono educate ed istruite le fanciulle più ricche. La cultura “maschilista” assume un atteggiamento di sufficienza e cerca di ridicolizzare quella femminile, aprendo una sorta di “questione” con favorevoli e contrari, femministi ed antifemministi, se accogliere o rifiutare a priori qualunque scritto femminile; alla fine tuttavia, soprattutto per merito dell’abate di Saint Pierre e al suo “Projet pour perfectionner l’éducation des filles”, il problema dell’educazione femminile coinvolse positivamente tutte le coscienze illuminate che concordarono sulla necessità, ormai irrinunciabile, della formazione ed istruzione femminile. Così, nonostante gli alti e bassi, il processo d’alfabetizzazione delle donne continuò, anche se rimase netta la separazione nell’istruzione tra uomini e donne, sia perché a queste ultime si negava l’accesso alla scuola oltre quell’elementare, sia perché il contenuto culturale insegnato non era lo stesso per entrambi i sessi; si temeva, in pratica, che la donna troppo istruita potesse diventare un pericolo per la famiglia, abbandonare la sua vocazione domestica o diventare meno adatta al ruolo della procreazione; a tutto ciò si univa anche il timore che le donne potessero insidiare il primato maschile nel mondo del lavoro, onde s’inculcava loro, già da bambine, l’ideale del matrimonio e dei figli; da qui, ancora oggi in molte regioni, l’inutilità d’investire troppo nella cultura per le donne, ritenendo sufficiente per loro il diploma di maestra, d’infermiere, di geometra, anziché la laurea in lettere, medicina, ingegneria, eccetera. Di cultura femminile si cominciò a parlare effettivamente poco meno di mezzo secolo fa, quando fu riscoperta la famiglia e considerata il motore propulsore della società, e specialmente dopo il ’68, allorché la riflessione politica generale portò alla ribalta il problema delle minoranze, delle culture oppresse, degli emarginati, e il movimento femminile cominciò ad interrogarsi già nelle università, sulla loro origine, sul presente, sul futuro.
Adriano V. Pirillo