Dopo Crotone in RAI


 Da calabrese classico e non barocco, io non oscillo tra depressione ed esaltazione, e sto con i piedi per terra. La trasmissione RAI da Crotone è andata il meglio possibile. Non è “finalmente inizia la rinascita della Calabria”, ma Crotone è comparsa come una città banale, normale, accettabile; e dopo anni in cui occupa l’ultimo posto per qualità della vita.

 Se qualcuno ha speso soldi, sono soldi per spesi; e mille volte meglio di quando la Regione rispediva i denari a Bruxelles senza manco sfiorarli. Meglio sperperare in coriandoli che nascondere i soldi sotto il mattone. I soldi servono per essere spesi: lo insegna, sulla scorta di Aristotele, non un bieco capitalista, ma san Tommaso d’Aquino: usus pecuniae est in emissione.

 Emettiamo dunque i soldi, anche in valorizzazione dell’immagine della Calabria. Certo i piagnoni ci saranno restati male, che migliaia di persone abbiano cantato invece di sfilare in gramaglie con palloncini a forma di coniglio, e dopo aver ascoltato lacrimazioni… I professionisti della legalità, che non sia successo niente di male… Peggio per loro: la serata è andata in modo normale.

 Lo stesso dicasi per i calabromani, i quali si aspettano quella notte stessa il ritorno della Calabria alla Magna Grecia: una roba di cui non sanno quasi nulla, però doveva essere importante e con il Pitagora delle tabelline. E per loro è come il nonno barone: tutti i morti di fame, in Calabria, hanno un nonno barone; e la bisnonna baronessa è la Magna Grecia; all’università di Catanzaro, dove hanno studiato, Graecia, in latino. A Megàle Hellàs non ci sono arrivati, ma aspettiamo la mitica Facoltà di Lettere. Cucù.

 La RAI ha fatto vedere, di sfuggita, un poco di Calabria; Catanzaro, quasi niente, Soverato non pervenuta, Perla dello Ionio. Per dirla in calabrese genuino, e non il dialetto fasullo dei film superpremiati a spese mie, “u sula scarfa a cu’ vida”, e “palumbu muto non pota esseri servutu”. Vorrei sapere cosa hanno fatto i sindaci di Catanzaro e Soverato per chiedere prima, e che faranno per protestare oggi.

 Fatte le dovute critiche, possiamo essere, come Calabresi, abbastanza soddisfatti. Per le felicità garantita e obbligatoria, aspettiamo qualche altro secolo. Per il XXI, approfittiamo intelligentemente dell’occasione?

 Come? Io lo so: chiedetemelo, e a pagamento. L’altra sera ho imparato, in vecchiaia, che il lavoro intellettuale si paga; cinque euro (€ 5), ma si paga. E invece hanno fatto così:

caru cumpari, si voi ma t’invitu,
porta la carni che iu mettu lu spitu…

Ulderico Nisticò