Facciamo chiarezza sulle ferrovie borboniche e dintorni


ferrovieanticheIl mondo moderno si distingue nettamente da quello antico per la tecnologia, che i classici, con tutta la loro sapienza e cultura e poesia e statue, lasciarono a livello quasi neolitico. Ci lasciarono però anche l’infondata leggenda dell’inventore (heuretès), e invece le cose andarono, da Bacone in poi, in maniera collettiva, per progressive innovazioni. Dal gettone telefonico al cellulare, per capirci.
Verso la fine del XVIII una miniera britannica bandì un concorso per una locomotiva a vapore, teoricamente già nota ma ancora non realizzata; ai primi decenni del seguente secolo, spuffavano in Inghilterra i primi treni. Lo fecero poi tutti gli altri, chi prima chi dopo.
Nel 1839 Ferdinando II re del Regno delle Due Sicilie viaggiò, primo in Italia, da Napoli alla reggia di Portici. Ragazzi, che primato! Filo filo, perché pochi mesi dopo un’austriacante vaporiera si recò dalla reggia di Milano a quella di Monza del Regno Lombardo-Veneto. Almeno una volta, li abbiamo surclassati. In entrambi i casi, non era la Transiberiana né Coast to coast americano, ma si trattava di pochissimi chilometri, quasi un percorso sperimentale. Meglio che niente…
Solo dieci anni dopo il Piemonte e la Liguria – che arretrati, che barbari! – ebbero il loro giocattolo da Torino a non so quale reggia vicinissima. Nel 1852 andò al potere Cavour, e il territorio in un amen si coprì di strade ferrate, utilissime al commercio, e, sotto sotto, pensate anche per la guerra: infatti nel 1859 (Seconda guerra d’indipendenza) le contrade piemontesi assistettero al primo esempio della storia di operazioni militari condotte per ferrovia. Nota: Tutto a debito, come faceva Cavour, però c’erano, le ferrovie, pacifiche e bellicose che fossero.
E noi? Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie vantava una linea da Salerno a Napoli e Capua, per un totale di chilometri 99 manco 100; meno di tutti, meno dello Stato della Chiesa! Una curiosità: Garibaldi, che amava i comodi e i piaceri della vita (e delle donne) entrò a Napoli non a cavallo come un eroe, ma in treno come un borghese, da Torre Annunziata. Chissà non avesse un guaio in comune con Napoleone!
Pensano i maligni, non c’erano soldi, a Napoli. Macché, il Regno ne teneva nelle sue casse, a fare la muffa, più di tutti gli altri Stati italiani messi assieme; e Ferdinando II li aveva stanziati, pronti e disponibili.
Mancavano i progetti? Non sia mai: ce n’erano di meravigliosi, e sono arrivati fino a noi i disegnini di una Napoli – Pescara; una Napoli – Bari; una Bari – Reggio. Che splendore, i progetti! Mi sembra di vedere la Superstrada delle Serre!
Risultato, manco un metro al di là dei 99 km di cui sopra. Come mai? Ce lo racconta il De Cesare a proposito della Napoli – Bari: un giorno arrivava il sindaco di qualche posto a chiedere lo spostamento del tracciato; un giorno il barone di qualcun’altra landa selvatica a sollecitare il passaggio sotto casa: tipo l’autostrada in mano a Giacomo Mancini, per capirci, sotto casa. Il bieco tiranno Ferdinando II pensate voi che li facesse subito impiccare come avrei fatto io? Ma no, li stava a sentire, gli offriva il caffè…
Stava partendo un appalto (sulla carta, sulla carta), quando scoppiò un bel contenzioso giudiziario, con ricorso di una ditta francese. Sapete di cosa sono capaci giudici e avvocati del Meridione fin dai tempi del re Italo!
Insomma, nel 1860 non c’erano le ferrovie, e, con quanto sopra, non ci sarebbero state neanche se oggi, nel 2015, fossimo all’anno 281 della dinastia borbonica, 2001 delle Due Sicilie.
I borbonici della domenica strillano che lo sviluppo delle ferrovie venne impedito dai crudeli Italiani. Ahimè, tutto il contrario: il famoso progetto della Bari – Reggio venne realizzato al volo, e, nel 1875, la linea che tracciavano dalla Puglia e quella che partiva da Reggio s’incontrarono. E volete sapere dove s’incontrarono? Ovvio, lo indovinate tutti: a Soverato Marina, ancora Santa Maria di Poliporto.
Ovvio che i prefetti piemontesi, se arrivava un barone o un sindaco a chiedere spostamenti, li sbattevano subito nel più buio carcere dell’ormai unita Italia.
Questa è la deludente verità: niente trucchi, niente violenze, niente piani segreti per affamare il Meridione; solo la nostra sorridente incapacità di agire nella vita pratica, il nostro eccesso d’intelligenza e difetto di energia: che governino i Borbone o i Savoia o Renzi, cambia poco, e non cambia la natura dell’uomo meridionale.

Ulderico Nisticò


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