Giudici, e Montesquieu chi era costui


Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu (1689-1755), è noto per aver teorizzato i tre poteri dello Stato: governo parlamento giudici. La nozione è ormai universalmente accettata, almeno a parole. E sarebbe anche una buona idea, se il governo facesse solo il governo, quindi governasse; il parlamento solo il parlamento, quindi scrivesse le leggi; e i giudici solo i giudici. E invece, in Italia, è sotto gli occhi di tutti che governo e parlamento confusamente coincidono, sia perché il governo fa i decreti, sia perché al governo e in parlamento si trovano le stesse persone, e, peggio, gli stessi partiti. In pratica, se il governo fa un decreto e il parlamento non lo approva, il governo cade; e perciò il parlamento, con qualche raro malumore, approva.

 Attenti a non fingere di essere caduti dal pero: ciò avviene dal 1946, non dal 2022.

 Il terzo potere, quello dei giudici, dovrebbe applicare le leggi, e non farle. E invece la confusione è innanzitutto nelle leggi stesse, che sono troppe e troppo lunghe e troppo vaghe: e non parliamo di certi documenti internazionali firmati negli anni per scena, e che ogni tanto qualcuno tira fuori da mucchi di polvere.

 Leggi approvate dal parlamento, è vero, ma scritte da chissà chi, in un quadro culturale in cui dilagano opinioni spesso giornalistiche e di “influencer” e canzonettisti e romanzieri, e nell’assenza di seri giurisperiti, anzi giuristi detto in generale.

 In questa confusione normativa, il potere dei giudici (che io chiamo dicastocrazia) è andato crescendo man mano che cresceva il disordine politico, con i circa 70 governi e governicchi delle cronache italiane dal 1943. In politica, i vuoti si riempiono.

 L’opinione pubblica venne colpita, come è naturale, da alcuni ben noti episodi di uccisioni di valenti magistrati; e ne derivò, non sempre legittimamente, una sorta di consacrazione della figura del giudice in quanto tale. Vero, ma la stessa identica opinione pubblica è quella che ogni giorno lamenta insopportabile lentezza dei procedimenti, soprattutto nel civile; e procedimenti penali di cui sentiamo solennemente annunziare l’inizio e molto spesso non ci si annunzia la fine, o semplicemente non vanno avanti. Grazie ai giornali, l’accusa diventa condanna in prima pagina.

 Che il sistema giudiziario vada riformato, è palese; che i giudici, detto in generale, si oppongono a ogni riforma, è altrettanto palese: come tutti si oppongono a qualsiasi riforma. Ebbene, se la riforma passa, si raccolgano 500.000 firme, e si chieda un referendum abrogativo. Che ci vuole?

 Sempre che il governo non faccia come la Roccella, che prima ha detto di essere d’accordo con gli scalmanati, poi è anche scappata. Presenti la riforma al parlamento, e il parlamento la discuta e l’approvi o respinga. Così insegnerebbe Montesquieu. 

Ulderico Nisticò