La fine della Grande Guerra


Premessa indispensabile. L’Intesa di Francia, Gran Bretagna e Italia (la Russia nel 1917 entrò in rivoluzione e guerra civile), era cresciuta con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, i quali contribuivano con grandissime quantità di materiali, ma non disponevano di un esercito, e non prevedevano di averne uno prima del 1919. L’Intesa aveva dunque cambiato i suoi piani: resistere agli Austrotedeschi fino all’arrivo in massa degli Americani.
Al contrario, gli Imperi Centrali miravano a vincere in Francia e in Italia prima del concretizzarsi della minaccia USA. Da questo, per quanto di riguarda, l’offensiva di Caporetto dell’ottobre 1917, valorosamente arrestata sul Piave.

Nell’estate del 1918, venne tentata l’ultima offensiva, che sulle prime stava sfondando il centro italiano; ma sia il Grappa sia la foce del Piace ressero all’urto, e l’attacco nemico fallì. Il generalissimo, il napoletano Armando Diaz, si preparò alla controffensiva, che culminerà poi con la battaglia di Vittorio Veneto.
Falliva anche l’ultima offensiva germanica in Francia.
Tali i fatti bellici. Divampavano però fondamentali fatti politici. In Germania si ruppe l’alleanza tra il Reich e i socialdemocratici, il che mise in crisi lo stesso Impero, con l’abdicazione di Guglielmo II il 29 ottobre.

La crisi austroungarica ebbe carattere nazionale prima che politico. Dal 1867 era in atto una ristrutturazione dei domini degli Asburgo in Impero d’Austria (attuali Austria, Alto Adige, Trentino, Trieste, Dalmazia, Slovenia, Rep. Ceca e Polonia Meridionale) e Regno d’Ungheria (Ungheria, Croazia, Fiume, Transilvania, Slovacchia, Rutenia), e, dal 1878, la Bosnia in comune. Era una costruzione complessa e delicata, e la sconfitta imminente la volse in crisi irreversibile, che divampò nell’ottobre del 1918. In breve:

– La Polonia, dal XVIII secolo divisa tra Russia, Prussia e Austria, divenne una repubblica indipendente;
– Gli Slavi danubiani formarono una Cecoslovacchia, organismo male assortito e destinato a cadere una prima volta nel 1938, e definitivamente nel 1992 (oggi, Repubblica Ceca e Slovacchia, indipendenti).
– L’Ungheria si ridusse ai confini attuali; e si proclamò regno, ma i vincitori vietarono che Carlo d’Asburgo sedesse sul trono, che rimase vacante.
– Gli Slavi del Sud, sostenuti da Francia e Gran Bretagna, cui si aggiunse il presidente USA Wilson, decisero (o qualcuno decise per tutti) la formazione di uno Stato monarchico detto Iugoslavia (attuali Croazia, Slovenia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Macedonia).

L’Italia, pur combattendo e vincendo sul campo, mostrò una desolante incapacità politica, del resto iniziata nell’aprile del 1915 con il Patto di Londra.
Questo trattato (uguagliato per autolesionistica stupidità solo dai recenti accordi di Dublino!) impegnava l’Italia ad entrare in guerra contro la sola Austria; e le prometteva, in caso di vittoria, i territori austriaci di lingua italiana. L’Italia dunque entrava in una guerra a morte (in caso di sconfitta, era in pericolo la stessa unità nazionale!), con la speranza di ottenere, ma quasi per concessione altrui, niente di più di quello che, vincendo, avrebbe comunque conquistato e occupato; e nemmeno Fiume. Non solo, ma la nascitura Iugoslavia già pretendeva alcuni dei territori in questione.

Carlo d’Asburgo, in un supremo anelito di vendetta, cedette alla Iugoslavia la Marina austroungarica. La Marina italiana, senza pensarci su, attaccò e affondò le più potenti navi austriache: Wien, Viribus Unitis, Santo Stefano… Si illustrò in queste operazioni il messinese Luigi Rizzo, già comandante del MAS su cui d’Annunzio aveva violato la baia di Buccari.
Diaz mosse le truppe verso oriente, battendo i resti del nemico a Vittorio Veneto. Il 3 novembre, venne chiesto l’armistizio, che entrò in vigore il 4.
Un armistizio, si badi bene, è un atto militare, e non politico; sancisce solo che le ostilità debbano essere sospese. Diaz, come comandante operativo, non poteva e non doveva fare altro.

Politicamente, l’armistizio fu un atto sbagliatissimo, che privò l’Italia della gloria e del prestigio di occupare il territorio nemico, e la stessa Vienna, coronando così una storia iniziata nel 1848, e trascinata alla meglio (o alla peggio) nel 1859 e nel 1866. Un ingresso solenne nella capitale del nemico storico avrebbe concesso al risorgimento quei fulgori che negli episodi bellici suddetti mica tanto c’erano stati!
L’Italia avrebbe dovuto almeno occupare Salisburgo, e da lì entrare in Germania, che era ancora in guerra, e si arrenderà solo l’11. Sarebbero stati eventi di poca attività militare, ma di importanza politica epocale. E l’Italia non si sarebbe presentata malamente, come fece a Parigi durante le trattative di pace, quando il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, scoppiò a piangere!
E per amor di patria non vi racconto il commento di Clemenceau.

Alla fine, l’Italia ebbe Alto Adige, Trentino, Venezia Giulia, Trieste, Istria e la Dalmazia; ma Giolitti, brevemente tornato al potere, la cedette alla Iugoslavia, mantenendo solo Zara; Fiume, nel 1919 strappata all’Intesa da d’Annunzio, venne eretta a cachettica Città Libera. Nel 1924, Mussolini la annesse all’Italia; e pretese e ottenne, in applicazione del Patto del 1915, l’Oltregiuba, territorio somalo del Kenya inglese; Rodi e il Dodecaneso; vantaggi ai confini della Libia con Egitto e Fezzan francese; e la partecipazione al governo della città internazionale di Tangeri. I rapporti con la Iugoslavia furono, fino al 1941, tranquilli, e questo consentì all’Italia mano libera nel Mediterraneo, frustrando le intenzioni francesi di creare all’Italia un nuovo nemico orientale al posto dell’Austria.

Nel complesso, diciamo che era andata bene; ma, nel confuso ottobre del 1918, si potevano porre le basi perché andasse molto meglio. I nazionalisti e i combattenti ne furono delusi, e ciò pose le basi per l’ascesa del fascismo. Soldati, operai e contadini patirono una pesante crisi, di cui non seppero approfittare i socialisti; mentre si mostravano fallimentari i liberali, che, dal 1919 al 22, resteranno spettatori della politica.

Chiudiamo rendendo onore ai combattenti, ai 700.000 morti, 20.000 dei quali calabresi. La Calabria contribuì in proporzione al numero dei suoi abitanti, e fu una retrovia importante per la produzione agricola e boschiva; vennero utilizzati anche dei prigionieri di guerra austroungarici. Fu notevole anche l’apporto delle donne, come in tutta Italia.

Ulderico Nisticò


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *