“Bisogna che gli scandali avvengano”, sta scritto nei Vangeli: ovvero, nel nostro caso, non sta scritto che la Francia – come da secoli – possa fare il suo comodo senza che nessuno osi protestare. E siccome a questo mondo esiste solo ciò che ha una parola detta, ormai è stato detto da Di Maio, e nessuno può far finta di non aver sentito. Di Maio è vicepresidente del Consiglio, mica un ricco romanziere o un cantante qualsiasi. Potete anche negare che sia giusto quello che dice, ma non potete negare sia il vicepresidente del Consiglio in carica.
E qualcuno si deve pur chiedere da dove vengono i migranti, e perché, almeno alcuni, migrino. E qualcuno si è accorto che moltissimi vengono da Paesi che prima erano colonie francesi, e oggi sono ancora sotto pesante influenza francese. E tutti sappiamo che la Francia ha una specie di moneta coloniale, con la quale controlla l’economia di gran parte dell’Africa.
Ripasso di storia. Al momento della massima espansione, la Francia possedeva Tunisia, Algeria, Marocco, Senegal, Mali, Niger, Ciad, Centrafrica, Camerun, Gabon, Congo, Madagascar; e Madagascar e Indocina. Alla faccia. Il sistema coloniale francese era che ogni terra producesse una e una sola cosa, e che tutto confluisse in Francia o venisse controllato dalla Francia. Il Senegal, doveva produrre le noccioline da olio, e solo nocciolini; l’Indocina, il riso, e solo il riso… Pareva quasi un’ideona, finché il sistema della monocultura non impoverì il terreno; e impedì la formazione di un’economia differenziata e naturale.
In compenso, la Francia si aprì a un’immigrazione senza alcuna regola, e che sta producendo oggi tanti di quei problemi, che Macron, mentre a parole predica porti aperti degli altri, sta bloccando ferocemente le sue frontiere.
A parte che la Francia ha già tantissimi guai suoi, come ben fanno notare i Gilets Jaunes, per andarsene a prendere quelli degli altri.
Insomma, bisogna intervenire in Africa, e deve farlo l’Europa; e se la Francia va per i fatti suoi, e perciò di fatto contro l’Europa, è necessario farlo notare con le brutte.
Ed è il momento di farlo sapere a molti lettori, che, purtroppo per loro, sono anche lettori di testi di storia in uso delle scuole: la Francia non è la “Grande Nation”, come ci spacciano da secoli; non è che se a saccheggiare erano i pirati arabi, era saccheggio; se invece, come nel 1798-8, erano i soldati francesi, quella era “liberazione”, e lo stesso per i marocchini di Cassino. La Francia, nella sua storia, ha fatto cose buone e ha fatto porcherie esattamente come ogni altra Nazione, e, politicamente, ogni Stato.
Bisogna dirlo che il marchese De Sade era un valente scrittore con la penna, e per tutto il resto un maiale; e che Prevert non fu un novello Alighieri, ma solo un canzonettista, e pure deprimente. E diciamolo pure che a Waterloo la Francia buscò una scoppola immane, e non fu una specie di pareggio fuori casa come fa credere, con fiumi di parole vaghe, Hugo; a parte che Napoleone manco ad Austerlitz aveva una stilla di sangue francese a spremerlo come un limone, e fu solo un trucco dello ius soli; e non è sicuro!
Conclusione, non ci sono europei più europei degli altri; e la Francia, se vuole stare in Europa, deve starci alla pari dell’Italia e dell’Estonia.
Tra un paio di giorni due politicanti in precipitosa decadenza, Macron e la Merkel, firmeranno un trattato di quasi alleanza. Lo firmeranno ad Aquisgrana, presunta capitale di Carlo Magno. Vogliono rifare il Sacro Romano Impero? Bene, l’Italia rifaccia l’Impero Romano, mettendosi alla testa del Mediterraneo.
Solo che l’Impero Romano, contando l’espansione della Repubblica, durò nove secoli; e altri dieci secoli se contiamo, come dobbiamo, l’Impero d’Oriente. Già, quello che, secondo Voltaire, era abitato da malati e corrotti e teologi, e invece campò benissimo e sanissimo dal 395 al 1453; mentre Carlo Magno, incoronato nell’800, morì nell’814, e pochi decenni dopo il suo dominio si era già bell’e sfasciato; e ne restò traccia solo nelle leggende cavalleresche, Aspromonte incluso. Via, non è un esempio molto incoraggiante, il vecchio Carlo.
Ulderico Nisticò