La Parabola dei talenti


 Riassunto. Un padrone ricco, ed evidentemente molto accorto, affida cinque talenti (una bella cifra) a un servo da lui ritenuto abile e intraprendente; e quello li mette a frutto, e ne guadagna altri cinque: il 100%, e attenti, il 100% di cinque; un altro, meno bravo, riceve due talenti, e comunque ne guadagna altri due: il 100% di due, ma è qualcosa. Un terzo, cui il padrone ritiene di assegnare appena un talento, e che è inetto, che fa? Piglia il talento e lo nasconde. Il padrone esalta il primo; approva il secondo; punisce giustamente il pigro che non ha lavorato.

 Corollario ovvio: i due che hanno investito i soldi hanno anche creato economia e lavoro, assumendo personale eccetera. Hanno guadagnato per il padrone e per se stessi, però anche per tutta la comunità. Corollario molto importante: hanno diminuito il numero dei poveri, facendoli lavorare; e togliendo loro la mentalità da poveri e accattoni. La sola giustizia sociale possibile è produrre e correttamente distribuire.

 Importante considerazione: uno vale cinque, un altro vale due… e va bene così; il Cinque avrà di più, e più doveri; il Due, di meno, e doveri adeguati alle sue più modeste capacità; l’altro, non merita niente, ed è profondamente sbagliato fargli credere che conti qualcosa.

 La Parabola non si trova in un truce testo liberista del XVIII secolo, o nella crudele Favola delle api; fa bella mostra di sé nei Santi Vangeli, che, ricordo a me stesso, non sono affatto giansenistici e spiritualistici, ma messaggi validissimi per l’anima e per il corpo; e per le comunità, quindi per la politica rettamente intesa.

 Per farsi capire, Cristo parla di soldi. I talenti però sono anche quelli mentali, morali. Chi ha ricevuto qualità intellettuali, le deve mettere a disposizione della sua comunità, e non chiudersi in un cupa solitudine. E non mi fate parlare con nomi e cognomi: vi dico solo che questo vizio calabresissimo è segnalato già dagli scrittori e poeti del XVI secolo, che lamentano le potenzialità inespresse.

 Attenti qui. Se il padrone, invece di giudicare con freddezza, avesse agito a colpi di “quello è amico mio” e raccomandazioni varie, avrebbe dato cinque talenti a chi valeva Uno, e uno a Cinque. Conclusione, è ora di affermare il merito.

Ulderico Nisticò