La resa di Gaeta, 13 febbraio; l’autonomia differenziata; la macroregione Ausonia


 Brutta cosa, essere dei Gemelli, e quindi doppio, e con il cuore provare sentimenti, e con la mente ragionare. Anche io ho inneggiato ai difensori di Gaeta, quando lì tenevamo i convegni, quelli veri, quelli di Silvio Vitale, Pino Tosca, Angelo Manna, Pietro Golia, Achille di Lorenzo, UN; e abbiamo lanciato corone di fiori in onore dei Caduti. E sì, ma anche allora io, che con la mente faccio lo storico, sapevo come fossero veramente andate le cose.

 Riassunto. Tra il 1859 e il ’60, e dopo la vittoria francopiemontese sull’Austria e varie complicazioni, il R. Sardo di annesse Milano, Parma, Modena, Bologna, la Romagna, la Toscana; e cedette alla Francia la Savoia e Nizza. A tutti questi eventi, il R. Due Sicilie rimase desolatamente estraneo, segnando così l’initium finis.

 Tutt’altro che di sorpresa perché lo sapeva l’Europa sana tranne il governo borbonico, Garibaldi sbarcò l’11 maggio a Marsala, e, per farla breve, il 7 settembre era a Napoli, abbandonata da Francesco II. Giunto con mille, aveva raccolto un esercito di sessantamila; aveva sconfitto al Volturno quanto restava dell’esercito borbonico; e minacciava palesemente di puntare a Roma contro il papa. Si paventava un intervento di Francia, Austria e Prussia, con rischio di un conflitto europeo. Si decise l’intervento dell’esercito sardo, che entrò nel RDS, piegando la scarsa resistenza di Francesco II al Garigliano.

 Responsabile di tutto ciò fu anche Napoleone III, che aveva suggerito a Francesco di lasciare Napoli, e ora di chiudersi in Gaeta, facendo credere in chissà quale aiuto. Non era nemmeno un inganno, era uno dei tanti tentennamenti della carriera di Luigi Bonaparte, e che dieci anni dopo lo condurranno alla caduta e prigonia sotto i colpi dei Prussiani.

 Il 13 febbraio 1861, dunque, si arrese Gaeta: ai soli fini militari, dopo aver resistito quanto prevedevano le regole di Vauban; in questo caso, tre mesi. Arretrata come tutte le cose del Sud allora e anche oggi, aveva vecchie muraglie e vecchie artiglierie, impari ai potenti e precisi cannoni rigati Cavalli, con cui i Sardi colpivano da Mola (oggi Formia) senza poter essere manco disturbati. Gaeta venne bombardata dal mare, dopo il ritiro delle navi francesi d’interposizione. Sparavano anche le navi ex borboniche, passate al nemico. Si era aggiunto il tifo.

 La resa di Gaeta è, per quel che qui ci riguarda, un fatto simbolico; e così venne inteso anche allora: solo il 17 marzo venne approvata la legge che intitolava re d’Italia Vittorio Emanuele II; anche se si erano già svolte le elezioni per la Camera. Tranquilli tutti: avevano diritto di voto quattrocentomila maschi abbienti; e metà non votarono per il divieto papale. Era così in tutto il mondo, però: in G. Bretagna votavano e votano pochissimi; in Francia, Napoleone III faceva arrivare le schede già votate; le donne hanno il voto dal 1970, in Svizzera.

 Perché simbolico, il fatto di Gaeta? Perché pose fine a ogni residuo di opinioni confederalistiche o federalistiche, e impose un centralismo di pretto stampo napoleonico: Stato centrale e diramazioni provinciali, senza alcuna autonomia locale.

 E invece tutte le ipotesi erano stata molto diverse. Già nel 1815 la stessa Austria aveva proposto una confederazione italiana sul modello della vigente Confederazione Germanica. Circolarono le proposte federaliste del Gioberti, neoguelfa, e del Balbo, neoghibellina. Nel 1848 parve, per un momento, che nascesse uno schieramento militare italiano: Carlo Alberto, re di Sardegna, sconfisse più volte gli Austriaci; Ferdinando II inviò Guglielmo Pepe, che fu determinante per la vittoria sarda di Goito; mentre la flotta napoletana proteggeva Venezia; inviarono forze, a vario titolo, Toscana e Pio IX. Durò pochissimo, e, cessata la tempesta, gli Stati italiani (Sardegna, Parma, Modena, Toscana, Pontificio, Due Sicilie) smisero anche di avere rapporti tra loro; mentre Torino, con Cavour, conduceva un’attiva politica estera, con particolare crescente rapporto con la Francia, dal 1852 sotto l’imperatore Napoleone III dal liberismo autoritario. Donde la partecipazione all’alleanza francobritannica per la Guerra di Crimea, e il successo diplomatico di Cavour al Congresso di Parigi, il tutto nella sempre più totale passività delle Due Sicilie di Ferdinando II ormai ammalato: sarebbe morto il 22 maggio 1859, lasciando in Francesco II un successore palesemente impreparato, e che non aveva fatto nulla per preparare alla vita, e figuratevi al governo.

 Lo aveva affidato a Carlo Filangieri, principe di Satriano e duca di Cardinale, uomo di grande esperienza diplomatica e politica. Questi, divenuto capo del governo, tentò di ammodernare le sempre lentissime strutture del Meridione, mettendo persino mano alle ferrovie, nel 1860 quasi inesistenti; e iniziò colloqui con il papa e Torino per un’alleanza italiana: l’Umbria a Torino, le Marche a Napoli, Roma al papa. Non si giunse a nulla, e Filangieri, disgustato delle incertezze e degli scrupoli del re, rassegnò dimissioni che, tanto per cambiare, Francesco II né accettò né respinse!!! Partito per la Francia, Satriano [così si diceva nell’Ottocento, come si diceva Cavour e non Benso] tornerà solo a cose finite.

 Era l’ultima possibilità seria. Facciamo ora un giochino di ucronia [fantasia realistica sulla storia], immaginando che l’esercito delle DS, depurato dai vecchi imbecilli generali Castelcicala, Landi, Lanza tenuti in servizio con un’ostinazione da fare invidia alla Fornero… e affidato a Filangieri e almeno a qualche giovane ufficiale come Bosco, ottenesse una vittoria su Garibaldi, o almeno un pareggio, come parve inizialmente al Volturno.

 Con armi spianate e pronte a riprendere la guerra, si potevano aprire trattative per un’Italia confederale, che conservasse in buona parte l’autonomia anche finanziaria del Meridione: autonomia di sette secoli, e che persino Napoleone I aveva rispettata. Nemmeno tanto ucronia: la Toscana, annessa alla Sardegna poi Italia, mantenne fino al 1890 il suo Codice penale Leopoldino. Ma i liberali del Sud erano i soliti ignoranti con laurea di cui le nostre plaghe pullulano anche oggi, cioè magari bravi nella loro professione e solo in quella, però non leggono un giornale manco se glielo regalate, e votano per il cugino. La Camera del 1861 fu a maggioranza numerica meridionale: ma i deputati erano di quella pasta stantia; e in gran parte dialettofoni peggio di Sanremo.

 Oggi si vede che il centralismo piace a parecchi, che appaiono terrorizzati dell’autonomia differenziata. Beh, questione di opinioni. Io, anche per dovere di feudo e comparaggio, sto con Filangieri, e vorrei una bella macroregione Ausonia (Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), con larghe autonomie. Ma quando si tratta di soldi, i meridionalisti della domenica diventano improvvisamente più statalisti e centralisti di Luigi XIV, Napoleone I, Mazzini e Cavour messi assieme! Ahahahahahahahah!

 Onore agli sfortunati e mal comandati difensori di Gaeta, però.

Ulderico Nisticò