La stranezza: un film di metateatro


 Chi si diletta di teatro, e a qualsiasi titolo calca un palcoscenico, sa che il pubblico è un attore, e anche imprevedibile e bizzarro e di carattere mutevole. Può dunque capitare che la prima di una pietra miliare del teatro mondiale quale “Sei personaggi in cerca d’autore” riceva non applausi ma fischi e improperi; e che a non stupirsene più di tanto sia proprio Luigi Pirandello. Una sorte, del resto, patita da Euripide, pochissimo premiato; da Terenzio, giudicato noioso; dalla Norma e varie opere liriche.

 Nato nel 1867 a Girgenti (Agrigento), in una località detta in siciliano Càvusu, e che interpretò, quasi un presagio, come Caos, vissuto a Roma e altrove, Nobel nel 1934, Pirandello rimase legato alla Sicilia, da cui trasse un’ispirazione non scontata e verista ma metastorica e non senza influenze metafisiche e di una sua personale religiosità. Bene ha fatto Roberto Andò ad ambientare il suo film nelle contraddizioni, ora grottesche ora seriose, di un paesino siciliano, dove si esibisce, come può, una compagnia di dilettanti, che inventa il testo… e, come ai dilettanti spesso capita, lo stravolge o se lo dimentica recitando a soggetto: e qui il pubblico, molto composito in tutti i sensi, rivela la sua natura di attore. Ecco cos’è il metateatro: un’operazione di cultura e spettacolo che s’immerge nel complicato ambiente della preparazione di un lavoro di rappresentazione.

 Come nasce un soggetto teatrale? Pirandello, capitato per un dovere di esequie, s’incuriosisce dei dilettanti, e, sperato ma non atteso, si nasconde quasi tra gli spettatori, e concepisce lì la sua idea che i “personaggi” di una commedia o tragedia non nascono bell’e fatti dalla mente di un autore, ma prendono man mano vita, a volte in modo inaspettato, e non sono solo figure in mano ad attori con un copione obbligato, ma diventano qualcosa di vivo e autonomo. E chi a che fare con il teatro, sa per esperienza quante realtà che appaiono ben preparate sono invece esigenze per i motivi più vari, che impongono quella improvvisazione che è davvero bravura.

 Magistrale l’interpretazione di Servillo, che mostra un Pirandello introverso e quasi muto, tra passioni e riflessioni; e con due spalle, Ficarra e Picone, che mostrano, in una parte secondaria che li fa invece quasi i veri protagonisti, i pirandelliani “maschera e volto”; e come tutti, anche chi scrive e chi legge, siamo sia quello che mostriamo a noi stessi e agli altri, sia quello che, sapendolo o ignorandolo, intimamente siamo; e perciò la vita stessa è un grande teatro, e un metateatro.

 Ottima la scenografia, che in un film è importantissima. Credo che stiamo assistendo a una rinascita del cinema colto, che ha il coraggio di non assecondare i veri o presunti “gusti del pubblico” mettendo in scena pupazzetti bellini e atoni e scollacciati, e invece si affida a buoni soggetti, buone sceneggiature, e attori di qualità.

 Chissà se mai vedremo un film di soggetto calabrese… ovviamente senza i soliti stantii luoghi comuni e predicozzi? Argomento… per gli antichi, Gioacchino o Campanella o Mattia Preti… per i recenti, Alvaro o Michele Bianchi… eccetera. Ci proviamo?

Ulderico Nisticò