Premessa di sociolinguistica. I dialetti meridionali sono barocci ed enfatici; per esempio, se uno dice “staju morendu”, al massimo accusa un forte mal di testa; però se passa un sociologo con tre lauree, traduce “sto morendo”, e scrive che la mortalità è altissima, e qualcuno ci crede. Lo stesso per “ni scialamu”, detto di un simpatico momento di quieta festa, mentre in italiano scialo ha ben altro e carnale significato.
È così che molti meridionali, anche plurilaureati e professoroni accademici, che parlano italiano ma pensano barocco, o lamentano millenaria fame e miseria, o vantano paperonesche ricchezze. Qual è la verità?
Intanto, quella della metà Ottocento in tutto il mondo occidentale, ben testimoniata non solo dalla storiografia ma ancora più e meglio dalla letteratura. Le condizioni delle periferie (70%!) di Parigi e Londra come si leggono in Hugo e Dickens erano decisamente peggiori di quelle della coeva Soverato, allora quasi solo l’attuale Superiore. Ovvio: in città, senza soldi non si mangia, letteralmente non si mangia; nei piccoli paesi, bene o male qualcosa si trova. E vale anche questo per tutto l’Occidente. Per le condizioni dei contadini e operai del Piemonte industrializzato, basta studiare la vita e le nobili opere di don Bosco a favore dei lavoratori sfruttati e in degrado morale.
Sola eccezione, la Germania, dove i rapporti di lavoro erano, e saranno ancora, sempre regolati da benefiche e severe consuetudini medioevali.
Come intuite, è del tutto insensato misurare l’economia di metà Ottocento con i criteri di oggi, per altro secondo me essi stessi dubbi. Il “reddito pro capite” di quei tempi è misurabile solo per gli abbienti in denaro e che pagavano le tasse dirette. Esempio: nel 1861 votavano in Italia 400.000 benestanti, nel senso di un reddito di 40 lire. Il reddito pro capite di chi campava di sussistenza, cioè quasi tutti, non è misurabile.
Le stesse zone industriali, dove c’erano, erano ai primordi. Ancora fino a metà di quel secolo, gli operai inglesi venivano pagati secondo la “legge bronzea dei salari”, cioè il minimo per campare, e anche di meno; quelli francesi erano nelle mani dei padroni in base al Codice Napoleonico scritto a favore dei borghesi.
Una parentesi per le donne. Secolo delle donne era stato il Settecento, e non solo di grandi sovrane, ma di attiva presenza nella vita sociale: vedi Mirandolina. Il suddetto Codice le ridusse ad emarginate, coccolate, protette e dominate; donde una letteratura di frustrate come madame Bovary.
E in tutto questo, il RDS? Intanto, chiariamo che il RDS non nasce ai tempi di Milone e Nosside, ma l’8 dicembre 1816; e con l’annessione bruta a Napoli della Sicilia, che si ribellerà in armi nel 1820, nel 1848-9 e infine nel 1860. Alla siciliana, con un miscuglio di umori popolari e interessi aristocratici, ma tutti uniti nell’odio verso Napoli. Leggete il Gattopardo. L’unico che sperava in una soluzione era stato Carlo Filangieri nel 1849, ma Ferdinando II, sempre sospettoso, non lo sostenne; come non lo sosterrà Francesco II nel pieno della crisi del 1859.
La Sicilia, o più esattamente i Siciliani ricchi, erano molto ricchi, con alcune produzioni di qualità come vini e agricoltura specializzata; e altre più dozzinali come lo zolfo. Molto attivi i commerci con l’estero, donde l’interesse anche culturale degli Europei per la Sicilia.
La parte continentale (Regno di Napoli prima del 1816) era in condizioni disomogenee. C’erano zone industriali vere e proprie attorno alla capitale, nel Salernitano, nei cantieri navali, e in Calabria il distretto siderurgico da Mongiana a Razzona di Cardinale. Erano aree scarsamente connesse tra loro, e con intorno scarso indotto di altre attività. Lento anche il progresso, come accade sempre ad attività troppo protette dallo Stato. In cambio, gli operai non subivano l’orrendo sfruttamento inglese e francese, e le case operaie di Mongiana – andate a vedere con gli occhi, non leggete libercoli – avrebbero fatto schiattare d’invidia anche i medio borghesi europei.
Il RDS difettava gravemente di infrastrutture. Dopo la sparata della prima ferrovia d’Italia, 7 km, nel 1860 c’era solo la Salerno-Capua, 99 km. Per la cronaca, ne contava 900 il Piemonte, e, curiosamente, gli stessi 99 il Ducato di Parma; e 150 persino la Chiesa. Il RDS era zeppo di progetti – in realtà, solo eleganti disegnini – e aveva i soldi; ma si andava a rinvii, tra ricerca dell’ottimo che è nemico del bene, e capricci di sindaci che volevano – ridete, ridete!!! – gli svincoli e le stazioni sotto casa della zia. La prima ferrovia, attenti alle date, è la Bari – Reggio, iniziata nel 1865, a RDS caduto: nel 1876, udite udite, i due tronconi s’incontrarono a Soverato! Per caso, ma anche questa è storia.
Lo stesso per le strade. Era migliore la navigazione, anche se la massima parte dei legni era di piccolo cabotaggio.
L’agricoltura mostrava alcune aree di qualità come Terra di lavoro; il più era agricoltura estensiva, con produzione di cereali, ma scarsa resa per ettaro; e olio quasi solo da ardere (“ojjiu d’a lampa”); e mosto più che vino. Si erano formati i latifondi dal Settecento a Murat, spacciati poi per feudi delle Crociate. Ma i proprietari erano quasi tutti ex amministratori di baroni ciuchi.
La debolezza del RDS non era economica. Il protezionismo comportava accumulo di denaro nelle casse dello Stato, che però non veniva speso, ed era come non ci fosse.
La debolezza del Meridione era, come è nel 2024, politica. Una classe dirigente era emersa sotto Carlo e Ferdinando IV/III; e una classe diplomatica militare seria sotto Murat: i Pepe, Filangieri, Arcovito, Ambrosio… e anche di parte borbonica come Mirabelli, il duca della Foresta e Vito Nunziante. Nessuno ebbe eredi, e ministri e generali del 1860 erano men che mediocri persone. Lo stesso Ferdinando II, attivissimo e benefico nei primi vent’anni di regno, iniziò una lenta decadenza, che lo portò a cachessia e morte. Aveva malissimo educato il figlio, come si vide. La Marina aveva buone navi e inetti marinai; l’Esercito versava in cattive condizioni morali ed era in mano a vecchi rimbambiti.
Il RDS dal 1850 si chiuse, non partecipando a niente e quasi ignorando i fatti europei e italiani: Guerra di Crimea, Congresso di Parigi, accordi di Napoleone III e Cavour sotto gli occhi di tutti i giornali d’Europa, Guerra contro l’Austria del 1859, annessioni e cessioni… Anche lo sbarco di Garibaldi, annunziato in tutti i modi dalla partenza da Genova, colse il RDS nella più muta passività. Non serve inventarsi congiure e tradimenti: per battere Landi e Lanza bastavano molto meno di mille; mentre Ghio a Soveria Mannelli non sparò un colpo. Per buon peso, il re abbandonò la capitale, dove Garibaldi entrò non su eroico cavallo ma su comodo treno, l’unico che c’era. Tardiva la battaglia del Volturno, mal condotta dai buonisti re e Ritucci; simbolico l’assedio di Gaeta.
Non furono affatto migliori gli antiborbonici, che non seppero trattare con Cavour come avevano fatto e ottenuto i liberali toscani; e si lasciarono pecorescamente annettere. Il primo parlamento italiano era in maggioranza di deputati meridionali: erano però poveracci dialettofoni e quegli ignoranti con laurea di cui tuttora pullula il Meridione, e non fecero un bel nulla.
Ecco la verità, senza piagnistei e senza fantasticherie di ricchezze che mai furono e mai saranno. Il Sud dovrebbe tranne una lezione.
Ulderico Nisticò