Operazione “Dirty energy” su truffa e corruzione, sei indagati: coinvolto anche un pubblico ufficiale


È partita dalla denuncia di un imprenditore avellinese che lamentava di essere stato raggirato da una società del vibonese che, mediante la presentazione di una falsa garanzia, avrebbe ottenuto un’ingente fornitura di pannelli fotovoltaici senza provvedere al relativo pagamento, le indagini che hanno portato all’operazione “Dirty energy”. I militari del comando provinciale della guardia di finanza di Catanzaro, su disposizione della procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, hanno infatti ultimato le notifiche dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 6 persone, a vario titolo indagati per reati fiscali, di corruzione e truffa.

Il provvedimento, emesso all’esito di una vasta attività investigativa coordinata dal procuratore capo della Repubblica, Nicola Gratteri, dal procuratore aggiunto Giancarlo Novelli e dal sostituto procuratore Pasquale Mandolfino, è scaturita dalla denuncia per truffa presentata dall’imprenditore avellinese. Le attività investigative delegate ai finanzieri del gruppo di Catanzaro, oltre ad acclarare l’iniziale ipotesi di truffa, hanno evidenziato plurime condotte delittuose.

In particolare, è emerso che 3 persone, originari del vibonese avrebbero “avvicinato” il vice presidente del cda di un noto consorzio pubblico del catanzarese, operante nel settore ortofrutticolo, al fine di stipulare con lui il “pactum sceleris” teso a far ottenere, in cambio di denaro, l’appalto per la realizzazione di un impianto fotovoltaico del valore di circa 1.300.000 euro, a beneficio di una società amministrata, di fatto, da loro stessi.

La procedura successivamente adottata per la scelta dell’impresa realizzatrice, a seguito dell’accordo collusivo, è risultata totalmente difforme dalle disposizioni di legge vigenti in materia di appalti, in quanto mirata, esclusivamente, ad affidare la realizzazione dell’impianto all’impresa “controllata” dai medesimi corruttori. Il pubblico ufficiale riceveva, in cambio del suo apporto, la somma di 21.000 euro, celata dietro una presunta fittizia cessione di beni.  Successivamente, i pagamenti elargiti dal consorzio pubblico, quale corrispettivo per la realizzazione dell’impianto, finivano nelle tasche degli stessi corruttori, mediante un giro di fatture false tra imprese a loro riconducibili.