Per il fu Acquario, qualunque cosa è meglio che niente


 Erano i tempi manciniani di Ibiza dell’Est, Rimini del Sud e Taormina del Nord, e alberghi di lussissimissimo: funeste illusioni senza alcun fondamento nel vero, e quando i sogni venivano spacciati per realtà, “trattando l’ombre come cosa salda”. Poteva mancare un Acquario, in una tale Perla dello Ionio? “Tu non sai a Genova…” dicevano, “Tu non sai a Montecarlo”. E hai voglia di far notare che a Montecarlo, a parte squali e compagni, c’è appeso al soffitto un calamaro gigante secco più lungo del nostro poi defunto Acquario; e che Genova era una Repubblica Marinara un millenniuccio fa… Niente fermava la frottola di “Tu non sai quanti turisti verranno a vedere i pesci”. Ed ecco la megagiornata galattica di inaugurazione solenne, con ogni genere di autorità e politicanti.

 Il giorno dopo, i pochi e banalissimi pescetti iniziarono un sonno mai disturbato né da migliaia di turisti né da milioni di scolaresche, anzi da nessunissimo nessuno.

 Ma si parla di 5.000 paganti in un anno: ebbene, fuori le carte, e controlliamo. Quelli di Mancini erano i tempi in cui un misterioso assessore proclamò “centodiecimila persone sul Lungomare”, cioè, allora, cento persone per metro lineare, ahahahahah; quindi consentitemi di nutrire tutti i dubbi possibili, sui manciniani numeri. Fuori le carte.

Finché una triste sera piovve, e, caso unico nella storia umana, i pesci morirono affogati. E tanti saluti all’Acquario. Come morirono affogati? Perché nessun progettista da Nobel s’informò che Soverato è sotto il livello del mare; lo stesso per il Teatro, il cui sotterraneo è inutilizzabile per allagamento continuo. Tra un pochino ci sarà bisogno di manutenzione, e giù nuove spese.

 Dell’Acquario, al Comune di Soverato resta una spesa. A proposito: è stata pagata? la stiamo pagando?

 L’edificio, ancora chiamato Acquario ma senza nemmeno una bavosa (vulgo, “vavusu”), è stato poi, meno male, surrettiziamente adoperato per tutto tranne che per far concorrenza a Montecarlo e a Genova; anzi, nemmeno a una vasca di pesci rossi.

  Rifare l’Acquario con i pesci? Beh, ragazzi, errare sarà pure umano, ma perseverare è peggio che diabolico: è autolesionistica ostinazione. Ben altra cosa è un acquario vero, che poche vasche con pesci anonimi. E ci vogliono animali, e ci vogliono macchinari, e ci vogliono ittiologi. Ittiologi veri, voglio dire, non appassionati di mare.

 Se io potessi, avrei idee, a cominciare da dove mettere la Biblioteca comunale, e gli Archivi storici che io so; e varie utilizzazioni di pubblico interesse. 

È noto però che il Comune non ha i fondi, e non è proprio il caso di nuovi debiti; senza scordare gli intoppi legali e burocratici che immagino gravino sulla destinazione d’uso dell’edificio.

 Se poi il recovery ci fa arrivare denaro, il Comune, se non ha ancora pagato, paghi e divenga proprietario. Ma non certo un acquario, né l’illusione cittadina dell’Acquario che fu… anzi, non fu.

 Se non si può fare niente di meglio, che almeno la città ci guadagni qualcosa.

 Da quello che filtra, avremmo l’ipotesi della vecchia talassoterapia… e già, le Terme che gli anziani ricordiamo, e furono un altro fallimento di sogni di gloria e soldi sprecati, che l’onda spazzò via in una notte. A proposito, così vi passano a tutti le fantasie di porto, in uno Ionio che nel II secolo a. C. Polibio chiamava “alimenos”, cioè senza porti, a causa della natura. Soverato venne dichiarata porto nel 1811… ma nel senso di attracco al largo e trasbordo con le “varcazze”; e chi si avvicinò alla battigia, spesso la pagò cara. Il molo del Quarzo, è da decenni sotto la sabbia. Soverato è Soverato, non il Paese dei balocchi; e sarei felice se facesse turismo di famiglia e terza età e salute e cultura per sei mesi, invece di quindici giorni di grammofoni ad alto volume spacciati per discoteca. A questo punto, si faccia anche turismo di salute, e se la talassoterapia si può fare senza spese per il Comune, anzi con un certo cespite, e talassoterapia sia. Se poi gli affittuari futuri lasciano gentilmente un poco di spazio, ripeto che ci farei la Biblioteca e l’Archivio. Insomma, tutto, tranne che lasciare le cose come malamente sono.

Ulderico Nisticò