Per una storia della Calabria industriale


 Calmatevi tutti: non sono diventato improvvisamente pinoaprilato da inventarmi ricchezze che mai furono e mai saranno; non leggerete qui di primati di sbucciapatate atomici e altre fandonie… Esporrò, come io uso fare, la purissima verità.

 Fino al XVIII secolo, la Calabria era industrializzata secondo il XVIII secolo, con mulini, frantoi, gualchiere (“vottanderi”), filande di lino, canapa, lana, seta. Per mandare avanti opifici, occorre energia, e la Calabria, secondo il XVIII secolo, ne aveva tantissima: l’acqua, opportunamente incanalata; tutto il nostro paesaggio è costellato di impianti idraulici; in alternativa, si usava forza animale e umana. C’è, o spero ci sia ancora, una ben documentata mostra dell’Università di Reggio, prof.ssa Cagliostro, che io proposi al Comune di Soverato, sindaco Gianni Calabretta, e gestii per un mese e mezzo assieme a Tonino Fiorita e al compianto Franco Grisafi presidente dell’Uniter (mi diedero, miracolosamente, un Encomio); e feci poi trasferire a Santa Severina, dove andai a presentarla. Tornata a Reggio, chissà la Mostra che fine ha fatto? Sarebbe opportuna una pubblicazione.

 Tutto vero, ma vero secondo il XVIII secolo, e con scarso o nessuno ammodernamento di macchine a vapore, quando le cose cambiarono nel mondo. I tentativi di industria tecnologicamente avanzata secondo il XIX secolo, quindi a vapore, come Mongiana e Razzona di Cardinale, non ebbero molta fortuna.

 Veniamo all’industria moderna, quella del XX secolo, e più esattamente degli anni 1930-40. Iniziati un po’ prima, vennero subito portati a termine i Laghi Silani, con possente produzione di energia elettrica, che veniva anche esportata (ricordate i piloni sullo Stretto?) e utilizzata in Calabria per gli opifici, in particolare del grande nucleo industriale di Crotone, alimentato dalla Centrale di Cotronei; e di quello di Vibo: entrambi ora malinconico ricordo, e sostituiti con due insignificanti e dannose province dove tanti si aspettavano assunzioni di massa: ahahahah.

 Ogni volta che vado nel Crotonese, anche l’altro ieri, mi succede un guaio alle gomme causa buche sulle strade provinciali.

 Attenti a questa lezioncina di sociopolitica. Città industriali, Crotone e Vibo erano anche ricche di vita politica e sindacale, con una sinistra non edonistica e ideologica da romanzo borghese, ma da vere oneste lotte operaie; e vi ferveva la cultura reale. Oggi, stendo non un velo ma un sudario funebre anche sulla cultura e sulla politica.

 Nel 1936 terminò l’immane bonifica di Sant’Eufemia, e la terra redenta venne assegnata a lotti (previo un censo: il gratis serve solo a corrompere e autorizzare pigrizia!), e destinata in gran parte alla barbabietola; ed ecco il possente zuccherificio, oggi pericoloso rudere. Lo stesso per Strongoli e altri opifici del genere.

 Ferveva l’industria boschiva. Ricordiamo la SOFOME ai piedi della Presila del Marchesato. Ormai in degrado Catanzaro, fiorivano moderni opifici di seta a Villa San Giovanni.

 Resta un mistero storico la fine dell’industria di Locri che produceva la famosa motocicletta e altro. Sulle cause del fallimento si è detto di tutto e contraddittoriamente, e tutto si può dire tranne che l’iniziativa non sia stata sostenuta dallo Stato. Ad aprire la sfilata del 9 maggio 1936 per la proclamazione dell’Impero erano reparti militari che montavano la moto calabrese; e furono prodotti a Locri tutti i bulloni d’acciaio necessari al gigantesco transatlantico Rex di 50.000 tonnellate e 250 metri di lunghezza. Un mistero, quella vicenda, e credo sia tardi per scoprirlo.

 Molto diffusa era quella che dovrebbe essere la sola e fondamentale attività in Calabria: l’industria piccola e media. Prendiamo ad esempio la sola Soverato, con il “Quarzo”, come ancora diciamo noi vecchi, che lavorava i prodotti minerari di Davoli per spedirli in tutta Italia; e l’affiancavano solide falegnamerie…

…e tantissimo altro, che ho documentato con una mostra da me voluta e curata, e pagata (non cercate di capire male: pagate le spese di stampa!) dal Comune, poi abbandonata in un locale che, dopo un certo assurdo recente incidente, non nomino nemmeno, e temo siano oggi in pessime mani, e incontrollate.

 Peccato che non ci sia un’opposizione nel Consiglio comunale di Soverato: beh, ci dovrò pensare io, e mica solo per quel locale e per la mostra. Ne ho di argomenti da criticare! E se ho chiuso non entrambi ma almeno un occhio, ora è il momento di castigare l’ingratitudine. Lo faccio da insegnante, per educare.

 Ci fu dunque una Calabria operosa. Poi finì a posto fisso, e professionisti di mediocre qualità e pochissimo e niente aggiornati al 2024, inclusi moltissimi mediocri insegnanti. Ci spieghiamo meglio una prossima volta.

Ulderico Nisticò