Caro Tito, il 31 maggio 2003 pomeriggio ho conosciuto l’ingegnere nucleare Felice Vinci quando è venuto ad Agnone per presentare (nell’Aula Magna del locale Liceo Scientifico) la quarta edizione del suo interessante libro “OMERO NEL BALTICO” (edito da Palombi di Roma, www.palombieditori.it, la sesta edizione 2016 è in offerta speciale a 21,25 euro, pagine 704).
Ne ho scritto alle pagine 12-15 del quarto volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2005), quello con la copertina verde. L’ing. Vinci sostiene (in modo alquanto convincente ed innovativo) che le note vicende dell’Iliade e dell’Odissea si siano svolte nel Mare Baltico e immediati dintorni (cioè nel grande nord Europa) e non nel Mare Mediterraneo. Una rivoluzione culturale e storica, non soltanto geografica!… Le premesse e le promesse sono quindi assai allettanti!…
OMERO NEL BALTICO
Infatti, questa sua suggestiva argomentazione sta avendo grande fortuna nel mondo. “Omero nel Baltico” è stato tradotto in varie lingue ed è stato presentato dallo stesso audace e geniale Autore in numerosi Paesi, tra cui Estonia, Russia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania, Stati Uniti d’America, Grecia e, ovviamente, in tantissime parti d’Italia dove continua a conquistare nuovi “fans” e aderenti eccellenti. L’idea che Ulisse abbia combattuto nella Troia di Finlandia e che abbia peregrinato per il mare Baltico e le coste del “Grande Nord” ha affascinato ed ha sedotto a livelli internazionali persino personaggi di enorme cultura, studiosi, intellettuali, così come persone semplici, stimati Istituti di ricerca e prestigiose Università.
LUIGI CESETTI
Ad esempio, tra i suoi fans più fedeli e convinti, Felice Vinci può contare sul marchigiano Luigi Cesetti di Montegiorgio (provincia di Fermo) con il quale nel pomeriggio di ieri mi sono soffermato a parlare telefonicamente per quasi mezz’ora. Cesetti (nato nell’aprile 1950, quindi mio coetaneo), è così tanto entusiasta dell’ipotesi-certezza di “Omero nel Baltico” che ha realizzato addirittura un apposito sito internet (http://edenbaltico.com/) con il quale sostiene, avvalora e anzi arricchisce la tesi dell’ing. Vinci.
RIPRENDO IL DIALOGO CON FELICE VINCI
Dopo circa 15 anni dal 2003 (anno in cui i contatti sono stati più frequenti), ieri nel tardo pomeriggio ho richiamato al telefono lo stimatissimo Autore di “Omero nel Baltico” per informarlo del mio viaggio nelle Repubbliche Baltiche (Lituania, Lettonia, Estonia) e in Finlandia svoltosi tra il 22 e il 29 luglio scorso, in compagnia di mia moglie, ben organizzato da “Capit Molise” un’associazione presieduta da tanti anni da un nostro corregionale di Cosenza, l’ex ferroviere Roberto Passarella, con famiglia e residenza in Campobasso. Te ne scriverò più in là, trascorso il concitato mese di agosto; così come mi soffermerò con più dovizia di particolari sull’esaltante esperienza goduta nei Paesi di quel “Grande Nord” a me da sempre tanto caro ed evocativo (nell’agosto 1993 sono stato in Norvegia da Oslo a Capo Nord, con grande gioia ed utilità).
ORIGINI CALABRO SICILIANE DI VINCI
Intanto, è utile evidenziare l’origine calabro-siciliana dell’ing. Felice Vinci il quale però è nato a Roma nel 1946. Gli avi erano di Naro (Agrigento), ma il padre è nato a Palermo. Quando aveva 20 anni, il nonno materno, Bruno Càmpolo, in sèguito al terribile terremoto dello Stretto del 1908, ha trovato ospitalità a Roma, avendo avuto tutto distrutto. Bruno Campolo nei mesi dopo il disastroso terremoto è divenuto amico dell’ingegnere che ha ricostruito (in meno di due mesi) la stazione ferroviaria di Villa San Giovanni. A tale proposito segnalo la “Lettura parallela” n. 1 che riporta un’inedita fotografia di come si presentava tale stazione appena distrutta dal sisma che ha segnato terribilmente la Calabria e la Sicilia, in particolare le città di Reggio e Messina.
SOSTENITORE DA SEMPRE DELL’UNITA’ DEI POPOLI
Caro Tito, sai bene come e quanto, fin dai primi anni sessanta (da adolescente), mi sia infervorato all’idea dell’Europa Unita, tanto da fondare nella primavera 1967 (assieme ad alcuni amici d’infanzia) il gruppo musicale “Euro 4” poi divenuto nel 1968 “Euro Universal” (seguendo la mia vocazione europeista ed universalista). Nel mio piccolo, tante sono state le iniziative che ho realizzate per sostenere l’unione dei Popoli e degli Stati dell’Europa. Così come, durante le scuole elementari e medie, ho sostenuto con entusiasmo l’Unità d’Italia. In tale prospettiva di unità sociale, politica, culturale (oltre che economica), nel marzo 1974 (all’età di 24 anni), visitando la Sardegna, ho completato almeno una conoscenza minima di tutte indistintamente le 20 regioni italiane nel segno dell’unità nazionale.
Altresì, da europeista convinto, è stata sempre mia intenzione avere perlomeno un’idea di tutti i Paesi europei. Nelle mie modeste possibilità, ho cercato di effettuare viaggi (quasi tutti organizzati), ad esclusione della Svizzera, visitata per sei volte, in varie occasioni, da solo o in compagnia di parenti o amici (1965, 1967, 1977, febbraio 1987, luglio 1987, 1988), della Francia (1967, agosto 1997, settembre 1997), di San Marino (1974) e ovviamente del Vaticano (basilica di San Pietro). Così, nel maggio 1984 è stata la volta della Russia (Leningrado oggi San Pietroburgo e di Mosca), nel 1992 Grecia da nord a sud, nel settembre 1998 Spagna orientale, nel giugno 1999 Portogallo da sud a nord, nel 2012 Austria e Repubblica Ceca, nel dicembre 2017 Germania (Monaco di Baviera e dintorni), nel maggio 2018 Croazia.
Quindi, da “mediterraneista” consapevole, all’Università di Roma ho studiato la civiltà dell’Islam (inventando e realizzando musicalmente nel 1971-78 il genere musicale Pop-Islam) ed iniziato, nel settembre 1991, la visita di Paesi del Mediterraneo, cominciando con la vicina Tunisia. Fosse nelle mie possibilità, farei il “viaggiatore permanente” pure per contribuire a conoscere e ad armonizzare Popoli e Comunità. E finora, per quanto mi è stato possibile, nel 1994 ho visitato il Canada orientale (Ontario e Quebec) per 22 giorni ed il Sud Australia nel settembre 1995 per tre settimane, anche per portare affetto agli emigrati italiani incontrati. Mentre nel novembre 1977 ho trascorso una meravigliosa settimana in Thailandia.
Per uno del profondo popolo e del profondo Sud Italia come me, ritengo che tutto ciò (viaggi ed iniziative per “un mondo migliore”) non sia stato sufficiente ma, comunque, resta un segno o segnale, un simbolo, un paradigma forte e convinto che si può e si deve fare di più per fecondare d’amicizia e d’amore i popoli, specialmente quelli più prossimi a noi e quelli con cui condividiamo storia, cultura e valori fondanti.
PERCHE’ IL VIAGGIO NEL BALTICO
Ieri pomeriggio, ricontattandolo telefonicamente, ho detto all’ing. Felice Vinci più o meno ciò che sto dicendo a te. Come e perché il viaggio nel Baltico?… Un viaggio veloce (soltanto 8 giorni e 7 notti) per avere un’idea e un contatto visivo ed umano con la Finlandia e con le cosiddette tre Repubbliche Baltiche (Lituania con capitale Vilnius, Lettonia con capitale Riga ed Estonia con capitale Tallin). Un periodo significativo, in quanto queste tre Repubbliche celebrano proprio in questo 2018 i cento anni della loro indipendenza.
Ci sono tre “perché” o tre motivi alla base di questo breve viaggio nel Baltico. Primo, per completare il più possibile la visita di tutti i Popoli e gli Stati d’Europa, come da antico mio programma. Secondo, perché, dopo la lettura nel 2003 del libro di Vinci “Omero nel Baltico” ero molto curioso ed interessato a vedere almeno parte di quei luoghi “omerici” del “Grande Nord” dopo aver visitato i luoghi omerici del “Grande Sud” mediterraneo. E cercare di capire. Ma anche saggiare quanto sia penetrata l’idea di Felice Vinci lungo il mio itinerario delle sole capitali Vilnius, Riga, Tallin, Helsinki e immediati dintorni. Il terzo motivo è dovuto all’invito (che ho colto al balzo) dell’Agenzia Viaggi “Capit Molise” dell’amico calabrese Roberto Passarella, che ringrazio assai anche qui per questa bellissima esperienza.
RALLY E GEMELLAGGIO TRA CAPO NORD E CAPO SUD EUROPA
Esperienza stupenda che ti vorrei, almeno in parte, partecipare pure a beneficio di un “Gemellaggio tra il Mare Baltico e il Mare Mediterraneo” che vorrei almeno avviare, avendo al centro (per quanto possibile) in nostro Capo Sud Italia 3 e l’intero tridente mediterraneo (Capo Sud Spagna 1 e Capo Sud Grecia 2), con il gemellaggio parallelo tra lo Stretto di Messina, lo Stretto di Gibilterra e lo Stretto del Bosforo (tre aree mitiche da valorizzare insieme).
Nell’autunno 1993, di ritorno dal viaggio in Norvegia e Capo Nord, ho lanciato l’idea di un “Rally d’Europa” proprio da Capo Nord a Capo Sud (Italia, Spagna e Grecia) e da Est (monti Urali) all’estremo punto continentale ovest (sito nei pressi di Lisbona, in Portogallo). Tale idea è stata pubblicata (assieme ad un disegno geografico indicativo) dal settimanale “Corriere del Molise” e dal mensile “L’Eco dell’Alto Molise”. Da questa esperienza, qualche anno più tardi, nell’estate 1999, è nata l’idea di “Capo Sud Italia” (per valorizzare l’intera provincia di Reggio Calabria e l’Area dello Stretto di Messina) come contraltare di “Capo Nord Norvegia” con cui gemellarsi.
SENSIBILIZZARE LE GUIDE TURISTICHE
Nelle Repubbliche Baltiche e in Finlandia, durante i veloci spostamenti da una capitale all’altra e da un luogo all’altro, cosa avrei potuto fare se non parlare di “Omero nel Baltico” almeno con le guide che hanno accompagnato il nostro gruppo (composto da 23 persone, provenienti prevalentemente da Campobasso e dintorni, tutte professioniste, quasi tutte in pensione)?!… Così, caro Tito, mi sono fornito di dieci fotocopie di quanto da me scritto (4 pagine) su “Omero nel Baltico” (citando Felice Vinci) nel 2003 per il quarto volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (pagine 12-15).
LA PRIMA GUIDA: MARE (Maria) LIGI-BARRY
La prima fotocopia ho dato alla guida permanente (la estone Mare Ligi-Barry) che ci ha accompagnato in tutto il percorso (dall’aeroporto lituano di Kaunas all’aeroporto finlandese di Helsinki). Costei (assai preparata, straordinariamente disponibile e gentile), mi ha detto di aver saputo di tale teoria di Felice Vinci, pure perché di tali temi aveva scritto il suo connazionale, il compianto Lennart Meri (1929-2006, già Presidente della Repubblica di Estonia dal 1992 al 2001), il quale, tra tanto altro, aveva scritto due libri “Hobevalge” (Argento bianco – 1976) e “Tacituse tahtel” (La volontà della resistenza – 2000), sull’antica civiltà baltica e i suoi stretti e reciproci buoni rapporti con i popoli del Mediterraneo (specialmente durante l’Impero romano). Come ho scritto alla pagina 13 del testo fotocopiato per le guide “… un Omero nel Baltico dimostrerebbe, comunque, che l’Unione Europea di oggi ha solide basi, anche culturali, nel più lontano passato!”.
Ho poi visto su “google.it” che la versione italiana di “Hobevalge” è stata pubblicata nel 2016 dall’editore Gangemi di Roma (originario di Reggio Calabria, forse non a caso) con il titolo “Hobevalge. Sulla rotta del vento, del fuoco e dell’Ultima Thule” (pagine 272 – prezzo del cartaceo euro 25,00 – ebook 20,00). Tale testo è stato tradotto in italiano e adattato da Daniele Monticelli, semiologo dell’Università di Tallin, per merito del progetto curato da Gianni Glinni e realizzato dalla “Lennart Meri Euroopa Sihtasutus” in collaborazione con l’Associazione Italia-Estonia e, naturalmente, di Gangemi Editore (https://www.gangemieditore.com/dettaglio/hobevalge/7057/7). Nella foto Mare Ligi-Barry (con maglia viola) è accanto alla più giovane Ludovica Pedersoli (maglia azzurro-verde chiaro).
LUDOVICA PEDERSOLI
Originaria della Val Camonica (pre-Alpi della provincia di Brescia) e laureata in “Conservazione dei Beni Culturali”, la simpatica e volenterosa Ludovica Pedersoli (38 anni) è l’esempio dei giovani italiani che sono emigrati per poter lavorare (anche in un ruolo poco o affatto cònsono alla vocazione o alla professionalità acquisita) e poter così sopravvivere in una società implacabile ed impietosa quale è l’attuale capitalismo globalizzato che (ormai abbiamo ben capito) odia tutte le generazioni “normali” (dai bambini ai vecchi), meno quelle rampanti formate a suo uso e consumo.
Ludovica (sempre assai sorridente, cordiale e amichevole, persino affettuosa) ci ha accompagnati per il centro storico di Vilnius e al vicino castello di Trakài, cittadina dove da secoli è operante la più antica e folta “comunità karaìta” d’Europa. I Karaìti sono un popolo di ceppo e lingua turchi, affine ai tartari, che, originario della Crimea e aderente all’ebraismo karaìta, professa appunto una particolare religione ebraico-islamica. Ludovica non era informata sulla teoria di “Omero nel Baltico” ma l’ha accolta con grande interesse ed entusiasmo, impegnandosi ad approfondirla sia come cultura personale e sia come guida turistica. Mi ha dato i suoi recapiti e rimarremo in contatto per questo utile sodalizio socio-culturale.
GUIDA DEL CASTELLO DI RUNDALE
Parlava soltanto inglese ed andava troppo di fretta la guida che il nostro gruppo ha avuto, in Lettonia, durante la veloce, troppo affollata e confusa visita al palazzo-castello barocco di Rundale (costruito dall’architetto italiano Bartalomeo Rastrelli e somigliante, in piccolo, anche nel vasto giardino alla francese, un po’ alla reggia borbonica di Caserta, un po’ alla reggia sabauda di Venaria Reale, un po’ al palazzo d’inverno di San Pietroburgo). Non era il caso di parlarle (seppure con l’aiuto alla traduzione di Mare Ligi-Barry) di “Omero nel Baltico”.
IL TURISMO SOSTENIBILE
Il turismo di massa, ne sono convinto, non fa bene ad alcuni luoghi fragili, delicati e troppo importanti per la sostenibilità e, anche per questo, andrebbero fatti utilizzare a “numero chiuso” per il bene del patrimonio e per la migliore consapevolezza dei visitatori i quali, altrimenti, sembrano soltanto “pecore” portate in giro soltanto per poterne lucrare, senza alcun loro vero vantaggio culturale. Questo aspetto è tanto importante e strategico che te ne scriverò a parte, proponendo, tra tanto altro, di regolamentare (pure a pagamento) l’ingresso a zone e luoghi particolarmente da preservare, come, ad esempio, il villaggio di Chianalea di Scilla (RC), mentre sulla necessità di cautelare Capri e Venezia ti ho già scritto più volte.
IEVA TRILLO
La Trillo (signora dalla caratteristica bellezza e compostezza nordica, fascinosa e assai giovanile, pur vicina alla pensione, a suo incredibile dire) è stata, nella capitale lèttone Riga, una guida tipica di ciò che pensiamo noi dei popoli centro-nord europei in genere: troppo seri, alquanto rigidi (pure nel portamento elegante e aggraziato), senza mai un vero sorriso, senza far trasparire emozioni, però assai professionali e fortemente preparati nella loro materia. Non una parola fuori posto o superflua, dotata di autocontrollo per sua natura, “Eva” (come la chiamavamo, ma è “ieva”) non si è lasciata affatto coinvolgere o contaminare dall’affabilità e dall’esuberanza italiana del nostro gruppo. Abbiamo visto in lei la grande professionalità, meno la sua umanità o la sua disponibilità ad andare oltre le sue rigide regole. Ho dato anche a lei le pagine fotocopiate su “Omero nel Baltico”. Ha soltanto pronunciato un timido ed esile “interessante” ma non mi ha dato i suoi contatti come le altre guide (però lei dovrebbe avere i miei, se ha ancora conservato il foglio). Peccato, poiché sono sicuro che la signora Trillo (pure perché amante della sua Lettonia) potrebbe dare un validissimo contributo alla conoscenza di un tema che va a vantaggio maggiormente proprio della cultura e del turismo baltico. Pur dubitando molto, spero, comunque, di ricevere un suo messaggio a riguardo, teso a contribuire alla migliore conoscenza e valorizzazione di “Omero nel Baltico”.
PAOLA VERNIZZI
In Estonia (Tallin e immediati dintorni) la guida è stata la nostra accompagnatrice fissa, la saggia, infaticabile, onnipresente e stakanovista signora Mare Ligi-Barry la quale ha potuto almeno dormire due notti nel suo letto coniugale nella sua meravigliosa città-capitale estone. Dove il nostro gruppo si è imbattuto, tra l’altro, nel ristorante “Ehe Maitse” (ehemaitse@gmail.com) gestito da due italiani, il signor Rocco, originario della Svizzera Italiana, e il giovane aitante Domenico Aiello (nativo del rione Bellavista di Catanzaro Città). Te ne scriverò a parte, poiché tutto ciò merita una lettera a sé. “Ehe Maitse” dovrebbe significare letteralmente “Gusto prezioso” o “Massimo gusto”.
Giunto per nave ad Helsinki, sabato mattina 28 luglio, il nostro gruppo è stato accolto molto garbatamente ma italianamente dalla dottoressa milanese Paola Vernizzi-Krause, la quale è stata immediatamente informata dall’attivissima Mare Ligi-Barry sulla mia attività di diffusione della tesi di Felice Vinci “Omero nel Baltico”. Tema che non le era del tutto nuovo e, da persona assai acuta ed energica, mi ha detto che avrebbe voluto conoscere meglio ed approfondire l’argomento, acquistando copia del libro di Felice Vinci (via internet o di ritorno nella sua Milano, in ottobre).
Non solo, Paola si è mostrata anche molto sensibile e pronta alla possibilità di redigere un progetto di valorizzazione turistico-culturale da presentare all’Unione Europea per essere considerato e, magari, pure finanziato per la Finlandia e gli altri Paesi che sono bagnati da questo mare nordico. Di conseguenza mi ha dato tutti i suoi recapiti per tenerci in contatto, augurandoci i migliori sviluppi possibili. Speriamo bene! Caro Tito, in caso di novità sarai il primo a saperle, assieme – ovviamente – all’ing. Vinci e agli amici che (come il suddetto Luigi Cesetti, assai simpatico e motivato) sono impegnati alla valorizzazione europea ed extra-europea di “Omero nel Baltico” e nell’auspicabile “Gemellaggio Baltico-Mediterraneo” come lo stesso ing. Felice Vinci desidera si possa e si voglia realizzare (nell’allegato suo scritto autobiografico sul mito di Scilla e Cariddi – vedi, sotto, la “Lettura parallela” n. 1).
CURIOSITA’
• In Lituania (al confine nord con la Lettonia), vicino alla cosiddetta “Collina delle Croci” (visitata da Papa Giovanni Paolo II il 7 settembre 1993), c’è la località di JONISKIS, nome che tanto ha un’assonanza con il nostro mare “Jonio”.
• E’ una vera meraviglia ed una grande soddisfazione passare le ex-frontiere senza fermarsi ad ogni confine (esibendo documenti, affrontando controlli o subendo perquisizioni alla persona e ai bagagli)! Così come è diventato molto più facile riconoscersi in una moneta comune, come l’euro, indipendentemente dal differente costo della vita comunque esistente nei vari Stati (spesso il triplo o addirittura il quadruplo tra Lituania e Finlandia, la più cara).
• Ho detto alle guide (prima a Mare Ligi-Barry e poi alle altre) che sento fratelli i popoli baltici delle tre Repubbliche (indipendenti soltanto da 100 anni, 1918-2018) proprio perché, come il Sud Italia, sono nazioni e territori che hanno subìto sempre, nel corso della loro Storia, le invasioni e le lunghe dominazioni di popoli vicini più forti ed aggressivi (Svedesi, Danesi, Russi, Polacchi, Tedeschi, ecc.).
• A tale riguardo, è ben visibile e percepibile che gli abitanti delle tre Repubbliche Baltiche (uscite traumatizzate nel 1991-92 dalla dominazione sovietica), non si sentono ancora sicuri del confinante gigante (orso) russo, pur essendo entrati a far parte dell’Unione Europea, nell’area Euro e nella NATO. Resta a noi persone sensibili, popoli coraggiosi e istituzioni lungimiranti dell’Europa libera sostenere in ogni modo le tre Repubbliche Baltiche. Ed uno dei modi per mantenere, rafforzare la pace e la libera convivenza, è quello di dialogare il più possibile e diventare affettuosi amici dei popoli baltici, specialmente attraverso la cultura ed il turismo. Uno dei temi d’unione è proprio quell’Ulisse che io sento come “unificatore” universale tra popoli e civiltà e che naviga ancora nel mare Baltico così come nel mare Mediterraneo. Un gemellaggio è, quindi, quanto mai urgente!
LETTURE PARALLELE
Caro Tito, non vorrei concludere questo primo sguardo su “OMERO NEL BALTICO” senza evidenziare, come lettura parallela, i testi scritti da un noto personaggio della Cultura, quale lo scrittore e commentatore televisivo Antonio Socci, e dallo stesso Felice Vinci che ci racconta un episodio autobiografico, di quanto andò a Civitavecchia a mangiare la zuppa di pesce con il reggino nonno materno Bruno Campolo e con il cugino di questi, l’eroico deputato socialista calabrese Francesco Geràci, descrivendo, nella prima parte, il terremoto del 1908 e poi la sua vocazione e missione omerica. Seguono pure il prezioso promemoria (con numerosi link) della diffusione del libro “Omero nel Baltico” per chi volesse saperne di più. Chi, tra i nostri lettori, volesse comunicare con Felice Vinci, può benissimo scrivere a me che poi girerò i messaggi a questo geniale Autore, ma persona gentile ed umile, disponibile al dialogo e alle nuove conoscenza sui temi omerici a lui tanto cari. Quindi, scrivetemi pure al seguente indirizzo mail: “mimmolanciano@gmail.com”.
LETTERA PARALLELA n. 1
Felice Vinci – TRA SCILLA E CARIDDI: UN TERREMOTO, UN MITO, UNA STORIA
Mio nonno Bruno Campolo mi parlava spesso di una domenica di tanto tempo fa – allora aveva vent’anni – che rappresentò l’ultimo giorno prima dello spartiacque, così lo chiamava, che spaccò letteralmente in due la sua vita. Quella domenica, 27 dicembre, nel clima di festività del Natale che si respirava in ogni angolo della sua Reggio Calabria, favorito da un calendario che quell’anno regalava tre giorni di festa consecutivi, la sera lui se ne andò in giro con i suoi amici per i caffè più alla moda; poi, sazio e forse anche un po’ brillo dopo le libagioni natalizie, verso mezzanotte tornò a casa, salì nella sua stanza e si mise tranquillamente a dormire.
Bruno era un ragazzo di bell’aspetto, intraprendente con le donne, che a Reggio lo adoravano per lo charme e per lo stile (ai modi da gentiluomo aggiungeva infatti un pizzico di quell’ironica ribalderia che spesso riesce a far breccia anche nei cuori femminili più riottosi). Inoltre era abile, capace e ambizioso sul lavoro: non a caso, nonostante la sua giovane età, in quel lontano 1908 era già a pieno titolo il capocantiere dell’avviata ditta di costruzioni di suo padre Consolato – nome chiaramente ispirato alla Madonna della Consolazione, a cui i reggini erano e sono tuttora devotissimi – il quale riponeva in lui una grandissima fiducia e tante speranze per un avvenire che invece era sul punto di spezzarsi.
Dunque in quella fatale nottata tra la domenica e il lunedì Bruno già da qualche ora placidamente dormiva nel suo letto di ragazzo, addossato alla parete su cui campeggiava il grande arazzo con l’immagine rassicurante e protettiva di San Giuseppe e del Bambino Gesù (dall’altro lato della parete si apriva la camera matrimoniale dove riposava suo padre, da poco rimasto vedovo, ignaro di ciò che il destino gli stava apprestando). Era ancora notte fonda quando all’improvviso lo svegliò un rombo terrificante, indescrivibile, facendolo precipitare nell’incubo: il terremoto! Quasi come se un enorme maglio di ferro avesse colpito la sua casa, questa tremò e sussultò paurosamente, per molti terribili interminabili secondi, poi sembrò quasi accartocciarsi su se stessa mentre tutt’attorno i muri crollavano sotto una pioggia di detriti e di calcinacci. Lui si salvò soltanto perché la parete a cui il letto era addossato aveva retto miracolosamente all’urto: lo aveva salvato, diceva, quell’immagine di San Giuseppe, a cui mio nonno – peraltro uno spirito scanzonato e ribelle (e forse anche un po’ libertino) – sarebbe rimasto devoto, anzi devotissimo, per tutto il resto della sua vita (e guai se qualcuno osava per questo accusarlo di superstizione!).
Invece nella stanza accanto, sepolto sotto un cumulo di macerie, giaceva suo padre, con il capo fracassato da una trave. A proposito della sua tragica fine, mio nonno era convinto che il buon Dio lo avesse gratificato di quella morte, pressoché istantanea e presumibilmente indolore, per compensarlo del fatto che si trattava di “un giusto”! A riprova di ciò, ricordava il fatto che il padre sovente la sera si recava in incognito con i suoi confratelli massoni a visitare le famiglie bisognose dei quartieri più poveri di Reggio, aiutandole con offerte in denaro, cibo e vesti.
A questo punto mi sento di dire che, nella mia immaginazione di bambino, i ricordi calabresi di nonno Bruno erano configurabili nella dimensione del “mito”: ma invero cosa vi può essere di più “mitico”, nel senso strettamente etimologico del termine, della memoria di un mondo perduto, così come riviveva nelle sue parole? Nella sua rievocazione esse vibravano di tutte le emozioni che possono essere evocate dalla nostalgia del “tempo che fu”, legata ai ricordi di chi in gioventù si era sentito sfiorato dalla Morte e ne era scampato grazie ad un Caso percepito come un intervento soprannaturale.
Ecco allora che nei racconti del “suo” terremoto io avvertivo i sentimenti più variegati: primo fra tutti veniva l’orrore per lo sconvolgente spettacolo del mare che poco dopo la terribile scossa si ritrasse per un lungo tratto, lasciando scoperto il fondo dello Stretto, e poi si trasformò repentinamente in una gigantesca onda di maremoto (all’epoca il termine tsunami non era ancora in uso), che avanzò minacciosa, sotto gli occhi sbigottiti dei sopravvissuti, e dilagò per il lungomare e le vie della città, seminando ancora morte e distruzione. Ma vi era anche la riconoscenza verso i marinai dell’incrociatore russo che per primi riuscirono a sbarcare e ad organizzare i soccorsi tra le macerie della città distrutta, gratificandolo persino di un insperato pasto caldo in mezzo a quell’orrore e a quella desolazione.
Mio nonno ricordava anche l’amicizia nata con un giovane ingegnere delle Ferrovie, Giacomo Forte, di origine pugliese, inviato dal Governo di Roma per ricostruire le linee ferroviarie (l’ing. Forte aveva un figlio, Riccardo, che allora era un bimbetto di quattro o cinque anni, destinato a diventare un grande giornalista). E poco dopo, allorché a tempo di record fu ripristinata la linea per Roma, finalmente Bruno con le sue due sorelle riuscì a salire su un treno di profughi diretto verso la Capitale, dove avrebbe ricostruito la sua esistenza (ma gli episodi della parte “romana” della sua vita, a differenza dei ricordi della sua mitica Reggio fino al terremoto, sentivo che li narrava in termini non molto diversi da una mera cronaca di fatti: in realtà quel treno dei profughi lo portò via per sempre non solo dalla Calabria, ma anche dalla sua giovinezza).
Non posso parlare di mio nonno senza ricordare assieme a lui uno straordinario personaggio, un suo cugino, a cui restò legatissimo per tutta la vita: il prof. Francesco Geraci, deputato socialista degli anni ’50, nato anch’egli nel territorio di Reggio. Quando lo incontrai per la prima volta, il mitico “zio Ciccio” mi fece una grandissima impressione: era un omone dall’atteggiamento austero, la voce grave e una grande barba bianca, che ai miei occhi di bambino lo faceva sembrare assai più vecchio di quanto in realtà non fosse; però di lui mi colpì anche lo sguardo, tanto mobile e penetrante quanto bonario, dietro cui s’intuivano un cuore d’oro e il candore di un fanciullo (o di un poeta).
Mio nonno mi parlava spesso di lui: da buoni cugini, nonché quasi coetanei, quando erano bambini giocavano insieme; poi l’amore di Francesco per lo studio, unito alla vocazione per le lettere – in ciò diversissimo da mio nonno, che era invece uomo di intelligenza concreta e pratica, tanto vicino alla res degli antichi costruttori romani quanto alieno dal logos dei filosofi greci – lo portò ancora giovane a diventare professore di liceo a Reggio. In seguito, tuttavia, la sua vocazione socialista, unita ad una ferrea coerenza di vita, lo spinse a rifiutare il giuramento di fedeltà al fascismo, con la conseguente perdita della cattedra e del posto: ciò gli valse molti anni di ristrettezze economiche e di umiliazioni, fin quando, dopo la caduta del regime fascista e la fine della guerra, non fu eletto alla Camera dei Deputati e divenne un punto di riferimento del PSI calabrese.
Per inciso, nelle rare occasioni in cui io da bambino ebbi modo di incontrarlo – una delle quali, come vedremo fra poco, mi lasciò un ricordo incancellabile e forse incise sulla mia vita futura molto più di quanto allora non avrei potuto immaginare – egli era lungi dal sospettare che all’interno del suo stesso partito certi personaggi, assai meno idealisti di lui, stavano tramando per “fargli le scarpe” (parole testuali di mio nonno, che, oltre a volergli bene, lo ammirava molto e, forse, sotto sotto ne invidiava l’adamantina coerenza) in nome di una visione della politica, diciamo così, pragmatica e spregiudicata, spesso incentrata sulla gestione di affari più o meno leciti piuttosto che sulle idee. Purtroppo Francesco Geraci, che già durante il ventennio fascista era stato vittima dei suoi nemici politici e aveva pagato un costo altissimo per difendere i propri ideali, non si sarebbe mai più riavuto dal colpo basso che gli avrebbero inferto proprio coloro che considerava amici e di cui si fidava! Quando morì, non molto tempo dopo, mio nonno commentò che era “morto di crepacuore” per ciò che aveva subìto (e ancora adesso, dopo tanti anni, talvolta mi chiedo quanto la sua “esecuzione politica”, insieme con molti altri fatti e misfatti, perpetrati in nome di ambigui giuochi di potere se non di un bieco affarismo, abbia contribuito a spegnere il sogno di una Calabria, e di un’Italia, migliore).
Il ricordo più nitido che mi rimane dello zio Ciccio è quello di una bella mattina d’estate di tantissimo tempo fa, verso la metà degli anni ‘50, quando lui e mio nonno mi portarono con loro a mangiare il pesce a Civitavecchia. Qui però, per far meglio capire il seguito di questa avventura, devo premettere che allora avevo otto o nove anni ma avevo già letto e riletto un bellissimo libro, Storie della Storia del Mondo, che racconta ai ragazzi la guerra di Troia, e ne ero rimasto letteralmente affascinato ed entusiasta (scritto da Laura Orvieto ai primi del Novecento, è uno straordinario evergreen che dopo più di un secolo viene ancora pubblicato). Dunque, partiti col treno per Grosseto dalla Stazione Termini, dopo un paio d’ore di viaggio scendemmo a Civitavecchia e da lì raggiungemmo un ristorante sul porto, dove su un tavolino all’angolo di una grande terrazza davanti al mare ci fu servita, dopo un’attesa che mi sembrò interminabile, una sensazionale zuppa di pesce! Mentre eravamo intenti a mangiare quella meraviglia, io ogni tanto guardavo la grande barba bianca dello zio Ciccio che si faceva sempre più colorata agli angoli della bocca, malgrado i suoi frequenti tentativi di asciugarsi col tovagliolo, e ad un certo punto, non so dire né come né perché, questa immagine mi fece all’improvviso venire in mente un qualcosa di inizialmente indistinto, ma che rapidamente acquistava contorni via via più precisi, finché un pensiero mi attraversò fulmineamente il cervello e non potei fare a meno di esprimerlo ad alta voce: “Zio, lo sai chi mi sembri? Tu… mi sembri Priamo, il re di Troia!”.
Lui mi guardò per un attimo con aria perplessa, poi abbassò la forchetta e, mentre col tovagliolo si asciugava di nuovo la barba attorno alla bocca, abbozzò un vago sorriso e mi disse: “E tu che ne sai di Priamo e di Troia?” A quel punto non mi parve vero di dar fondo alle mie recenti conoscenze sull’argomento, in ciò incoraggiato anche dallo sguardo compiaciuto di mio nonno che, essendo tutt’altro che un intellettuale, era ben fiero di far vedere al cugino professore di che pasta fosse fatto suo nipote! Durante la mia entusiastica concione sulla guerra di Troia, all’inizio lo zio rimase in silenzio senza interrompermi: evidentemente mi studiava, voleva capire meglio le ragioni, le motivazioni e, forse, anche il reale peso specifico di quel ragazzino che doveva essergli improvvisamente apparso sotto una nuova luce, dal momento che si era inopinatamente messo a fare il conferenziere davanti ad una zuppa di pesce.
Dopo un po’, allorché finalmente mi interruppi per riprendere fiato, lo zio iniziò a farmi delle domande, poi a un certo punto spostò il discorso sui viaggi di Ulisse, e qui fu lui a prendere il pallino in mano, soffermandosi a lungo sulle corrispondenze tra il racconto dell’Odissea e le coste della Calabria: Scilla, il gorgo di Cariddi nello Stretto di Messina, la vicina Trinacria, le isole Eolie… Io lo ascoltavo affascinato, lui era veramente un grande affabulatore: a tratti, mentre parlava, i suoi occhi lampeggiavano, ma anche il suo gesticolare era tutto rivolto a dare concretezza ai dettagli del racconto che le parole andavano via via delineando.
Questo discorso, che spesso volgeva anche in dialogo – ricordo che gli feci mille domande! – continuò sia al ristorante, sia anche sul treno del ritorno: fu un’esperienza tra le più affascinanti che mi sia mai capitata quando ero bambino, e che mi segnò profondamente, restandomi per sempre fortissimamente impressa nella memoria, forse anche perché la avevo vissuta assieme a quei due veri e propri monumenti della mia infanzia. E quando ci congedammo, fuori della Stazione Termini, allorché lo zio si chinò a darmi un bacio – era la prima volta che lo faceva – la sensazione di quella morbida barba bianca che per un attimo mi accarezzò la guancia mi fece nuovamente pensare al re Priamo (ma stavolta non glielo dissi). E subito dopo, mentre saliva sul taxi, ricordo che si rivolse a mio nonno sottovoce, ma non tanto che non potessi sentirlo: “Chistu figghiolu è in gamba: coltivatelo!”
Non a caso, quando poco dopo mio nonno mi riportò a casa, al momento di andarsene, dopo essersi congedato dai miei, arrivato alla porta d’ingresso si voltò ancora un attimo verso di me e mi diede un leggero buffetto dietro la testa, segno inequivocabile della sua soddisfazione per come il giovane nipote era riuscito a tener testa al formidabile cugino.
L’ultimo ricordo che ho di nonno Bruno risale a molto tempo dopo: in una grigia mattina di dicembre del 1972, nella caserma di Bracciano dove seguivo il Corso Allievi Ufficiali di Complemento, il capitano che comandava il mio reparto mi chiamò per comunicarmi la sua morte (il mese di dicembre evidentemente era scritto nel suo destino). Era passato ormai molto tempo da quella mitica giornata di Civitavecchia, allorché avevo inconsapevolmente rivelato, in primis a me stesso, quello che sarebbe stato l’interesse intellettuale dominante della mia vita: i miti greci contenuti nell’Iliade e nell’Odissea.
Infatti – mentre nella mia vita si sono succedute vicende personali, familiari e professionali di varia natura e significato, che qui non racconterò – in questi ultimi venti anni ho approfondito le mie conoscenze sui poemi omerici, imbattendomi ben presto nelle singolari incongruenze che il mondo di Ulisse, di Troia e degli Achei presenta rispetto alla realtà geografica del Mediterraneo (incongruenze che, sin dall’antichità, hanno sempre dato un bel filo da torcere agli studiosi). Così, mentre col tempo mi convincevo sempre di più che il mio interesse per la materia (unito alla determinazione, mai venuta meno, con cui sin dall’inizio ho perseguito la mia ricerca) non fosse estraneo al grande impatto che quella lontana esperienza di Civitavecchia aveva avuto su di me, ho cominciato a pormi delle domande, e a cercare delle risposte, sulla reale collocazione originaria dei due poemi.
I risultati delle mie ricerche li ho esposti nel libro Omero nel Baltico. Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade, che, presentato da una studiosa di grande fama come la prof. Rosa Calzecchi Onesti, ha avuto una vasta risonanza anche all’estero, grazie alle numerose traduzioni che ne sono state fatte (tra cui l’edizione USA, intitolata The Baltic Origins of Homer’s Epic Tales, che nel 2007 è diventata libro di testo al Bard College di New York). Ma anche l’interesse degli studiosi e, più in generale, del mondo accademico è andato crescendo nel tempo, fino a culminare con il convegno su “Le origini nordiche dei poemi omerici”, tenutosi presso l’Università di Roma La Sapienza nel 2012, a cui ha fatto seguito il recente numero monografico, intitolato La Scandinavia e i poemi omerici, della prestigiosa Rivista di Cultura Classica e Medioevale, una delle più autorevoli pubblicazioni nel campo della filologia classica a livello internazionale.
In estrema sintesi, dal mio studio emerge che il reale scenario dell’Iliade e dell’Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo – dove dà adito ad innumerevoli incongruenze: un clima sistematicamente freddo e perturbato, battaglie che proseguono durante la notte, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, isole e popoli introvabili – ma nell’Europa settentrionale. Le saghe che diedero origine ai poemi omerici provenivano dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo e dove sono tuttora identificabili quasi tutti i luoghi cantati da Omero, fra cui Troia (nella Finlandia meridionale, cento chilometri a ovest di Helsinki), Itaca (in un arcipelago danese non distante dalla grande isola, corrispondente al piatto Peloponneso omerico, su cui ora sorge Copenaghen), e i siti delle avventure di Ulisse (lungo le coste norvegesi e le isole adiacenti). Queste saghe furono portate in Grecia, in seguito al tracollo del cosiddetto “Optimum climatico post-glaciale”, dai biondi navigatori achei, migrati dal Nord, che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essa infatti, come scrive Bertrand Russell all’inizio della sua Storia della filosofia occidentale, trasse origine dai “biondi invasori nordici che portavano con sé la lingua greca”.
Gli Achei ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e tutte le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. La messa per iscritto di questa antichissima tradizione orale, avvenuta in seguito all’introduzione della scrittura alfabetica in Grecia, attorno al IX-VIII secolo a.C., ha poi portato alla stesura dei due poemi nella forma attuale. Essi, riletti in questa chiave, ci danno una testimonianza straordinaria e assolutamente unica del mondo dell’età del bronzo nordica, di cui ci rimangono bellissimi reperti archeologici, ma di cui finora non avevamo nessuna testimonianza letteraria.
Però l’idea che lo sfondo originario delle vicende raccontate dai poemi omerici sia da localizzarsi non nel Mediterraneo, bensì nell’Europa settentrionale, potrebbe sembrare contraddittoria rispetto ai discorsi che allora furono fatti a Civitavecchia riguardo ai miti di Ulisse collocati tra la Calabria e la Sicilia. Ma questa contraddizione esiste davvero? Prima di rispondere alla domanda, conviene entrare un po’ di più nel merito della questione.
Prendiamo allora in esame le avventure di Ulisse: dai miei studi è emerso che esse erano originariamente ambientate lungo le coste della Norvegia e nelle adiacenti isole dell’Atlantico settentrionale, ma, dopo la discesa degli Achei nel Mediterraneo, nei secoli successivi furono dai loro discendenti rilocalizzate ad occidente della Grecia, nella penisola italiana, in particolare nell’area del mar Tirreno: così l’isola di Circe fu identificata con il Circeo, l’ingresso all’Ade con i Campi Flegrei, Scilla e Cariddi con lo Stretto di Messina, la Trinachia con la Trinacria, ossia la Sicilia, l’isola di Eolo con una delle Eolie, e così via.
Ciò presumibilmente fu dovuto al fatto che, secondo la memoria storica degli antichi Greci, sopravvissuta alla migrazione dei loro antenati dal mar Baltico all’Egeo, il teatro di quelle lontane vicende doveva essere stata una terra occidentale favolosa e semisconosciuta, una sorta di “Far West” oceanico ante litteram: e, poiché la costa atlantica della Norvegia, situata ad ovest del Baltico, nella nuova sede greca aveva per corrispondente geografico la costa tirrenica dell’Italia, anch’essa ad ovest rispetto al mar Ionio e all’Egeo, fu qui, tra Campania, Calabria e Sicilia, che le avventure atlantiche raccontate dall’Odissea furono ricostruite e divennero il mito che ben conosciamo.
Riguardo in particolare alla localizzazione di Cariddi nello Stretto di Messina, su cui quel giorno a Civitavecchia lo zio Francesco si era soffermato a lungo, c’è da dire che, nella mia ricostruzione, Cariddi si identifica con il Maelstrom, il famigerato gorgo, indicato dai cartografi medievali come Horrenda Charybdis, che la grande marea dell’Atlantico periodicamente innesca all’estremità meridionale delle Isole Lofoten, davanti alla costa norvegese. Invero la vivissima ‘fotografia’ con cui il XII libro dell’Odissea ritrae il più grande dei “due scogli”, che
arriva fino all’ampio cielo con l’appuntita cima e l’avvolge una nube livida; e questa mai cede, mai lume sereno la sua vetta circonda, né d’estate né dopo; né potrebbe uomo mortale arrampicarsi o scalarlo, infatti è una roccia nuda, che par levigata …
con il paesaggio dello Stretto di Messina non ha proprio nulla a che vedere! Invece corrisponde perfettamente all’impressionante descrizione contenuta nel racconto Una discesa nel Maelstrom dello scrittore americano Edgar Allan Poe:
La rupe di nero granito lucente si ergeva a picco di un millecinquecento o milleseicento piedi sopra il mondo caotico delle rocce sottostanti… La montagna sulla cui vetta ci troviamo si chiama Helseggen, ‘La Nuvolosa’… Vidi un vasto spazio di mare dalle acque di un colore d’inchiostro: a destra e a sinistra si stendevano le linee di una scogliera altissima, spaventosamente nera e strapiombante…
Riguardo poi al fico a cui Ulisse si aggrappa per non essere risucchiato dal terribile gorgo, lascio la penna al prof. Giacomo Tripodi dell’Università di Messina: “Sebbene la Sicilia abbondi di fichi, la costa di Cariddi è sabbiosa e la spiaggia è profonda. È impossibile arrivare a un fico stando in mare. Al contrario, le rupi che fiancheggiano il Maelstrom, pur assolutamente prive di fichi, piante di climi temperato-caldi, sono ricchissime di alghe brune appartenenti alla specie Ascophyllum nodosum, grandi fino a mezzo metro, che vegetano proprio fin dove sono raggiunte dal flusso delle maree, dalle onde o dagli spruzzi. I versi sembrano più convincenti se interpretati come la descrizione del tentativo (riuscito) di Ulisse di aggrapparsi a queste alghe, che offrono una resistenza meccanica perfettamente adeguata a sostenere il peso di un uomo. Non vi sono tracce di Ascophyllum nel Mediterraneo, in mari temperato-caldi e nello Stretto di Messina”.
Il prof. Tripodi aggiunge che lo stesso nome del “fico” a cui Ulisse si aggrappa è sicuramente frutto di un fraintendimento: infatti il vocabolo greco erineon, usualmente reso come “fico” nelle traduzioni, va invece inteso come la “lanosità” (erineos, termine accostabile a eris, “lana”) tipica dell’Ascophyllum, l’alga che riveste come un fitto vello gli scogli dei mari nordici e consente ai naufraghi di aggrapparvisi.
Se la dimensione originaria delle avventure di Ulisse è tipicamente oceanica – come d’altronde avevano già sospettato alcuni importanti studiosi dell’antica Grecia, da Cratete di Mallo allo stesso Strabone, che nel primo libro della sua Geografia, dopo essersi a lungo soffermato sulle incongruenze con la realtà geografica del Mediterraneo, conclude affermando “che tutte queste cose sono immaginate nell’Oceano Atlantico” – invece il mito ad esse connesso è, e rimane, indissolubilmente legato ai luoghi che i Greci successivamente individuarono nella penisola italiana, dal Circeo alla Campania, dalla Calabria alla Sicilia. L’originaria localizzazione “iperborea” del mondo omerico non toglie nulla ai miti mediterranei nati nel mondo greco dopo la discesa degli Achei. Anzi, vi aggiunge semmai qualcosa di estremamente significativo: infatti la riscoperta di Omero in chiave nordica, oltre a ricordarci l’importanza delle migrazioni e degli incontri fra i popoli nella storia delle civiltà, getta una nuova luce – e che luce! – sulle origini della civiltà greca e su tutta la preistoria dell’Europa.
È poi straordinario il fatto che, dopo millenni di oblìo, attraverso Omero l’età del bronzo nordica abbia ritrovato la parola, che sembrava perduta per sempre nelle tenebre della preistoria europea.
In ogni caso, ora siamo in grado di rispondere alla domanda di poco fa, se cioè questa teoria sia o non sia contraddittoria rispetto al discorso di Civitavecchia: la risposta è no, non lo è affatto, perché il mito, pur essendo legato alla storia da cui trae origine, ne è intrinsecamente diverso: infatti, a differenza di essa, è caratterizzato dall’essere – anzi, dal vivere – in una sua dimensione autonoma, collocata in uno spazio irreale, completamente al di fuori del tempo.
Sono dunque del tutto convinto che al prof. Francesco Geraci, il quale nel corso della sua vita cercò sempre la verità, anche a costo di pagare di persona un prezzo altissimo, questa teoria sarebbe senz’altro andata a genio! Anzi, se a suo tempo ho ben interpretato il carattere di quell’uomo attraverso il suo sguardo, che si faceva sempre più attento e partecipe mentre tanti anni fa gli raccontavo le vicende di Priamo e della guerra di Troia, egli a mio avviso sarebbe stato entusiasta dell’idea che, tra i luoghi corrispondenti della Calabria e della Norvegia, uniti dal racconto omerico delle avventure di Ulisse, prima o poi sarà possibile realizzare una sorta di gemellaggio, in modo da creare, nel segno di Omero, una rete di legami tra il sud e il nord dell’Europa, ossia, rispettivamente, i territori del “mito” e quelli della “storia” che di esso è all’origine, da considerarsi un po’ alla stregua dei due emisferi del cervello (di cui forse in qualche modo riflettono le diverse modalità di percezione e funzionamento): non contrapposti, bensì complementari.
Inoltre, last but not least, un uomo di alto livello culturale, nonché fine politico, quale egli indubbiamente era, avrebbe immediatamente intuito che questa nuova visione potrà in prospettiva favorire un nuovo approccio all’idea di unità dell’Europa, finalmente basata non più soltanto sull’economia e la finanza, ma anche sulla cultura e la consapevolezza delle nostre comuni origini.
Vorrei ancora aggiungere che il Leitmotiv di queste note mi sembra di averlo sintetizzato nel titolo: fu, infatti, “tra Scilla e Cariddi” che un terremoto – o forse dovrei dire ‘il terremoto’ – segnò drammaticamente la vita di nonno Bruno; ma fu sempre “tra Scilla e Cariddi” che gli antichi ambientarono una delle più famose avventure di Ulisse, il mito mediterraneo che contrassegnò il momento cruciale del mio incontro con lo zio! A sua volta, probabilmente fu proprio quell’incontro, divenuto esso stesso mitico nella mia fantasia di bambino, a dare origine alla lunga catena di eventi da cui molto tempo dopo sarebbe scaturita la teoria che, dietro il mito di Ulisse ambientato nel Mare Nostrum, esista in realtà una storia avvenuta molto più a nord, in una dimensione geografica, “tra Scilla e Cariddi”, perfettamente definita e congruente con le descrizioni omeriche, tra le acque procellose e gli infidi gorghi di un gelido mare boreale.
Il tutto è stato qui giocato tra due personaggi ‘monumentali’, diversissimi tra loro ma entrambi genuinamente ‘calabresi’ (soprattutto per lo spirito ribelle che traspare da certe espressioni delle loro rispettive personalità). Talvolta provo ad immaginarli, i due cugini Bruno e Ciccio, mentre, dalla loro nuvoletta nell’aldilà, di tanto in tanto occhieggiano le cose di questo basso mondo: forse adesso si stanno reciprocamente compiacendo del fatto di aver essi stessi contribuito all’innesco di quella sorta di ‘cortocircuito mentale’ tra un grandissimo mito letterario ed un più modesto mito familiare, che ad un certo momento scattò all’improvviso nella testa di un ragazzino davanti a quella ‘mitica’ zuppa di pesce di Civitavecchia e che poi, tanti anni dopo, attraverso le imprevedibili vie della memoria e della vita, avrebbe dato il suo contributo ad un risultato straordinario. Ma ora zitti: quei due ora mi par di sentirli, mentre, quasi sottovoce, si stanno dicendo, tutti compiaciuti, che quel bacio dello zio e quel buffetto del nonno “chistu figghiolu se li è proprio meritati!”
Felice Vinci – Roma – anno 2014
Bruno Campolo (1888-1972) Francesco Geraci (1889-1967)
(Foto d’ archivio dell’ing. Giacomo Forte, gentilmente concessa dalla nipote, Sig.ra Paola Forte Castelli Gattinara, scattata nel gennaio 1909 dopo il terremoto di Reggio e Messina).
LETTERA PARALLELA n. 2
ANTONIO SOCCI “Se Ulisse navigò i mari del Nord … una tesi che rivoluziona la storia della civiltà” (http://www.antoniosocci.com/se-ulisse-navigo-i-mari-del-nord-una-tesi-che-rivoluzione-la-storia-della-civilta/)
Adesso che persino Umberto Eco nel suo libro “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” ha “consacrato” la tesi di Felice Vinci, che colloca nel Baltico, in Scandinavia e nel Mare del Nord le vicende dell’Iliade e dell’Odissea, possiamo davvero dire che sta per essere rivoluzionata la storia della civiltà europea. Non credevo che sarebbe accaduto così velocemente, tredici anni fa, quando lessi (e commentai) il libro di Vinci “Omero nel Baltico” (Palombi), un volume di quasi 500 pagine, pieno di sorprese, che lanciava quella tesi nuova e affascinante. In sostanza Vinci sostiene che quelle saghe nordiche, fiorite con l’età del bronzo nel 2° millennio a.C., a causa di un grande cambiamento climatico furono portate al Sud dall’emigrazione di “biondi navigatori” che si stabilirono sull’Egeo e lì – dando vita alla civiltà micenea – ricostruirono il loro mondo con i relativi toponimi.
La tesi sembrava a prima vista pazzesca, ma Vinci accumulava, nel suo libro, una tale quantità di prove che era impossibile non prenderlo sul serio. Anche perché risolveva una serie di storiche incongruenze contenute nella versione tradizionale. Del resto il libro si presentava con una prefazione di Rosa Calzeschi Onesti che era un’autorità indiscussa, trattandosi della traduttrice dei poemi omerici in Italia. Il mio lungo articolo (uno dei primi in Italia sulla tesi di Vinci) uscì il 31 marzo 2001 sul “Giornale” con questo titolo “L’Odissea trasloca in Scandinavia”.
Ricordo che riscosse grande interesse da parte dei lettori, ma qualche addetto ai lavori mi scrisse, indignato, ritenendo una bestemmia la tesi di Vinci. Il quale ha pure la “colpa” di essere un outsider (fuori dagli schemi, ndr), esercitando il mestiere di ingegnere nucleare. In realtà la sua formazione classica e la sua passione per i poemi omerici gli hanno permesso di scoprire quello che, per secoli, legioni di addetti ai lavori non hanno saputo cogliere. E’ uno dei classici casi di genio italiano. Da allora la tesi di Vinci ne ha fatta di strada. L’ho seguìto, anno dopo anno, in questa sua continua ricerca che ha accumulato conferme sempre più solide e ha guadagnato consensi sempre più vasti ed autorevoli.
Il libro ha cominciato ad essere tradotto all’estero (Russia, Stati Uniti, Estonia, Svezia, Danimarca). L’autore è stato invitato a parlare nelle università straniere (da Vancouver a Riga) e italiane (Pavia, Padova, Roma). Ha esposto le sue tesi in diversi Istituti di cultura e nel 2004 fu invitato dall’Accademia delle scienze di San Pietroburgo a presentare l’edizione russa del volume. Nel 2007 il libro è diventato materia di studio al Department of Classics del Bard College di New York. Nello stesso periodo veniva recensito su “ARION. A Journal of Humanities ad the Classics” dell’Università di Boston.
Naturalmente la Scandinavia e la Grecia si sono dimostrate molto interessate alla nuova tesi. Infatti nel 2007 nella finlandese Troija (avete capito bene: il paese sorge dove anticamente – per Vinci – sorgeva Troia) si è tenuto un importante simposio scientifico sulle tesi di Vinci. E un altro è stato realizzato nella stessa località il 23 e 24 luglio 2011. Nel marzo 2008 Vinci fu invitato anche ad Atene a esporre le sue tesi alla International Conference on Mediterranean Studies, promossa dall’Athens Institute for Education and Research. Pure l’Università di Roma gli ha dedicato un convegno nel 2012. Perché nel frattempo diversi studiosi italiani si erano “allertati” su quella che potrebbe rivelarsi una delle più straordinarie scoperte archeologico-letterarie di tutti i tempi.
Non c’è solo la Calzecchi Onesti che giudica “convincenti” le ipotesi di Vinci e lealmente invita ad approfondirle ed eventualmente ad accettare “cambiamenti che sconvolgono le nostre idee”. Ma si è dimostrato interessato – per esempio – un grande critico letterario del calibro di Pietro Boitani, che partecipò al simposio di Troija del 2007. E un autorevole geografo come Claudio Cerreti sul “Bollettino della Società Geografica Italiana”, a proposito del libro di Vinci, scriveva: “L’autore propone una serie di ipotesi molto ragionevoli e molto razionalmente esposte, inanellando una serie impressionante di indizi (….) Libro stupefacente e spesso molto godibile”.
Addirittura entusiastico appare poi il consenso di un altro importante critico letterario come Edoardo Sanguineti che, in un articolo di qualche anno fa, dopo aver passato in rassegna le ragioni di Vinci, scriveva: “Non Omero, ma tutta la civiltà greca delle origini, e tutti i miti classici, ci sono arrivati di là, tra Circolo Polare Artico e Mare del Nord, da Helsinki e dintorni. L’archeologia avrà l’ultima parola, ma, intanto, non intendo taciteggiare, astenendomi dal “confirmare” come dal “refellere”. Non refello niente, e scommetto che il Vinci può vincere”.
Ora poi è uscito anche un volumone, la prestigiosa rivista di filologia classica fondata da Ettore Paratore – “Rivista di cultura classica emedievale” – la quale ha dedicato un numero monografico al tema “La Scandinavia e i poemi omerici”. Ovvero alla tesi di Vinci. Che ne esce potentemente arricchita di ragioni. Infatti ci si rende conto, ormai in diverse discipline, che è da buttare il vecchio paradigma per cui la culla della civiltà sarebbe stata l’area che va dalla Mesopotamia, all’Egitto e all’Egeo.
Sir Colin Renfrew, professore a Combridge, ha scritto: “Molti di noi erano convinti che le piramidi d’Egitto fossero i più antichi monumenti del mondo costruiti in pietra, e che i primi templi fossero stati innalzati dall’uomo nel vicino Oriente, nella fertile regione mesopotamica. Si riteneva anche che là, nella culla delle più antiche civiltà, fosse stata inventata la metallurgia e che, successivamente, le tecnologie per la lavorazione del rame e del bronzo, dell’architettura monumentale e di altre ancora, fossero state acquisite dalle popolazioni più arretrate (…) diffondendosi poi a gran parte dell’Europa e del resto del mondo antico. Fu quindi un’enorme sorpresa” sottolinea Si Renfrew “quando ci si rese conto che tutta questa costruzione era errata. Le tombe a camera megalitiche dell’Europa occidentale sono ora considerate più antiche delle piramidi (…). Sembra inoltre che in Inghilterra Stonehenge fosse completato e la ricca età del Bronzo locale fosse ben attestata, prima che in Grecia avesse inizio la civiltà micenea. In effetti Stonehenge, struttura straordinaria ed enigmatica, può a ben diritto essere considerato il più antico osservatorio atronomico del mondo. E così ogni assunto della visione tradizionale della preistoria viene contraddetto”.
Lo studioso inglese concluse: “Le nuove datazioni ci rivelano quanto abbiamo sottovalutato quei creativi “barbari” dell’Europa preistorica, i quali, in realtà, innalzavano monumenti di pietra, fondevano rame, creavano osservatori solari e facevano altre cose ingegnose, senza alcun aiuto dal Mediterraneo orientale”. Che i greci e la loro antica civiltà, come afferma Vinci, discendano dalle genti del Baltico e della Scandinavia oggi è scoperta doppiamente clamorosa. Perché svela pure quanto il Nord ed il Sud dell’Europa siano legati e frammisti e quanto sia forte e plurimillenaria l’identità culturale unitaria di questo continente, sebbene le varie tecnocrazie europee attuali si diano da fare per demolirla.
Torniamo dunque a rleggere le vicende di Troia per dimenticare la Troika, ossia quel triunvirato senza memoria e senza identità che ha imposto il suo diktat alla Grecia e a tutta l’Europa, riuscendo a far montare nel vecchio continente l’onda dell’antieuropeismo. La grande storia dell’Europa prevarrà sulla meschina cronaca. In modo singolare è così confermata l’intuizione di Charles Péguy secondo cui “Omero è nuovo stamattina e niente è così vecchio come il giornale di oggi”.
Antonio Socci (ha scritto e pubblicato il 31 marzo 2014 sul suo blog “www.antoniosocci.com”)
LETTERA PARALLELA n. 3 ALCUNE INDICAZIONI SULLA DIFFUSIONE DI “OMERO NEL BALTICO” (di anonimo)
Info su “Omero nel Baltico”
Il volume “Omero nel Baltico. Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade” di Felice Vinci Editore Palombi, VI edizione), presentato dalla Prof. Rosa Calzecchi Onesti, nota studiosa e traduttrice dei poemi omerici, è stato pubblicato in Russia nel 2004, in USA nel 2006, in Estonia nel 2008, in Svezia nel 2009; nell’aprile 2012 è uscito in Danimarca, dove è stato presentato all’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen, nel dicembre 2012 in Germania e nel febbraio 2016 in Francia
Il 10 aprile 2017 ha avuto luogo un convegno internazionale ad Atene, promosso dall’ATINER (Athens Institute for Education and Research), dedicato a Omero nel Baltico. L’articolo presentato dall’autore è pubblicato sull’Athens Journal of Mediterranean Studies: https://www.athensjournals.gr/mediterranean/2017-3-2-4-Vinci.pdf
Sintesi della teoria su Omero nel Baltico:………………………….
Il reale scenario dell’Iliade e dell’Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo – dove dà adito ad innumerevoli incongruenze: un clima sistematicamente freddo e perturbato, battaglie che proseguono durante la notte, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, isole e popoli introvabili… – ma nell’Europa settentrionale. Le saghe che diedero origine ai poemi omerici provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia (nella Finlandia meridionale, a 100 km da Helsinki), Itaca (in un arcipelago danese, l’unico al mondo ad avere tutte le caratteristiche indicate da Omero) e i siti dei viaggi di Ulisse (al di fuori del Baltico, tra le coste e le isole atlantiche della Norvegia). Queste saghe poi furono portate in Grecia, in seguito al tracollo dell’ “Optimum climatico post-glaciale”, dai biondi navigatori achei, migrati dal Nord, che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea. Costoro, che erano probabilmente gli iaones omerici localizzabili in Svezia (i suiones citati da Tacito), ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. La messa per iscritto di questa antichissima tradizione orale, avvenuta in seguito all’introduzione della scrittura alfabetica in Grecia, attorno al IX-VIII secolo a.C., ha poi portato alla stesura dei due poemi nella forma attuale. Essi, riletti in questa chiave, ci danno una testimonianza straordinaria e assolutamente unica del mondo dell’età del bronzo nordica, di cui ci rimangono bellissimi reperti archeologici ma di cui finora non avevamo nessuna testimonianza letteraria: questa rilettura dei poemi omerici sposta indietro di un millennio la storia della preistoria europea! Inoltre questa nuova prospettiva potrebbe favorire un diverso approccio all’idea di unità dell’Europa, basata non più soltanto sull’economia e sulla finanza, ma anche sulla nostra eredità culturale e sulla consapevolezza delle nostre comuni origini.
L’autore ha presentato questa tesi in varie Università, quali ad esempio Pavia (cinque volte, a partire dal 2002), Roma, Padova ecc. In particolare, l’Università La Sapienza di Roma nel giugno 2012 ha tenuto un convegno intitolato “Le origini nordiche dei poemi omerici” e, successivamente, la prestigiosa Rivista di Cultura Classica e Medioevale – fondata da Ettore Paratore e considerata una delle più autorevoli riviste di Filologia Classica a livello internazionale – ha pubblicato nel 2013 un numero monografico di oltre 350 pagine, intitolato “La Scandinavia e i poemi omerici”, tutto dedicato a questa teoria, con contributi di studiosi italiani e stranieri e un’ampia sintesi dell’autore (DOI: 10.1400/212850).
Inoltre nel 2002 l’autore ha presentato la sua tesi nell’ambito di un convegno internazionale dell’Università di Vancouver, e, successivamente, in un convegno tenutosi nel novembre 2005 presso il Dipartimento di Filologia Classica dell’Università di Riga. Inoltre, i professori del Dipartimento di Filologia Classica dell’Università russa di Saransk hanno integralmente tradotto il libro e lo hanno pubblicato in Russia, dove nel 2004 è stato presentato all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo. Recentemente, nel dicembre 2017, una rivista scientifica dell’Università di Kazan ha dedicato 40 pagine alla teoria.
Il libro è stato pubblicato in USA nel 2006 con il titolo The Baltic Origins of Homer’s Epic Tales. Presso il Bard College di New York, nell’ambito di un corso di alti studi su Omero, nel 2007 sono state tenute varie lezioni basate sull’edizione inglese del volume, che è stato adottato come libro di testo per gli studenti. Inoltre il Prof. William Mullen, titolare di Classics al Bard College, con alcuni suoi allievi, nel 2006 ha effettuato un viaggio in barca a vela nel Baltico (v. sito http://vteam06.googlepages.com/ ), seguendo le rotte indicate nel libro, con il finanziamento del SEA, un Istituto americano. Così pure, “ARION. A Journal of Humanities and the Classics” dell’Università di Boston nel suo numero di primavera/estate 2007 ha dedicato un articolo di 35 pagine a questo argomento.
Sempre in USA, il 30 novembre 2017 a Fort Worth si è inaugurata una mostra fotografica ispirata a “Omero nel Baltico”:
https://bestthingstx.com/event/exhibit-homer-in-the-baltic-by-ilaria-di-biagio-2017-12-01-ft-worth-tx.html; http://www.where2gofortworth.com/events/10984874-Ilaria-Di-Biagio-Homer-in-the-Baltic/
Nell’agosto 2007 a Toija in Finlandia ha avuto luogo un seminario scientifico internazionale sull’argomento. Un altro seminario nella stessa sede (identificabile con il sito della Troia omerica) ha avuto luogo il 23-24 luglio 2011. I relativi atti, pubblicati nell’aprile 2012, sono stati presentati all’Università di Roma in occasione del convegno del 2012.
Sempre alla teoria esposta in “Omero nel Baltico” si ispira un’iniziativa culturale europea, illustrata in un comunicato ANSA: http://www.ansa.it/mare/notizie/rubriche/uominiemare/2014/04/24/teatro-veliero-in-porti-11-paesi-per-riscrivere-odissea-_14a8f92a-2d30-45a9-8c12-1e4d8f1140ee.html
Tornando all’Italia, una lusinghiera recensione è uscita sull’accademico “Bollettino della Società Geografica Italiana” a firma del Prof. Claudio Cerreti, Ordinario di Geografia presso l’Università di Roma. L’autore è stato anche chiamato a svolgere un seminario in due lezioni presso il Dipartimento di Geografia della Facoltà di Lettere della Sapienza, nell’ambito di un corso, intitolato “Il mare: mito e letteratura”, dove Omero nel Baltico era indicato fra i testi d’esame, e ha presentato la sua teoria presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma 3.
L’argomento è stato anche oggetto di una tavola rotonda-dibattito, moderato dalla prof. Giuliana Bendelli dell’Università di Milano, a BergamoScienza 2011:
http://www.bergamoscienza.it/ita/Default.aspx?SEZ=6&PAG=58&NOT=184
Così pure, un progetto di ricerca pluriennale europeo su Omero nel Baltico è stato avviato nel 2012 dall’Istituto Superiore Piazzi Perpenti di Sondrio, a cui si sono aggiunti due altri Istituti d’istruzione superiore, rispettivamente in Lituania ed in Turchia:
https://www.piazzilenaperpenti.it/presentato-al-liceo-il-libro-omero-nel-baltico-frutto-di-una-buona-scuola/;
Inoltre, il recente libro di Umberto Eco “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” cita varie pagine di “Omero nel Baltico”.
Il 9 marzo 2015 l’autore è stato invitato a presentare libro e teoria al Campidoglio, sede del Comune di Roma. Tre giorni prima, il 6.3.2015, uno studente dell’Università di Palermo si era laureato con lode in Lettere Classiche discutendo una tesi su Omero nel Baltico. Inoltre, nel novembre 2015 ha avuto luogo a Varese un convegno dell’Università dell’Insubria sull’argomento.
Sempre nel 2015, l’autore è stato invitato dalle autorità delle isole Faroer ad un soggiorno, nel corso della quale ha presentato la sua teoria in una sede pubblica e alla radio.
Nel frattempo in Svezia è uscito Ilion, un romanzo storico di Malena Lagerhorn, scrittrice di Stoccolma, in cui si immagina la storia di un soldato (svedese) dell’Età del Bronzo, che va a combattere con l’esercito di Agamennone (danese) la guerra di Troia in Finlandia.
https://ilionboken.wordpress.com/ilion-en-gang-kommer-den-dag-da-det-heliga-ilion-faller/ La scrittrice ha adottato la geografia omerica nordica proposta in Omero nel Baltico, citandolo ampiamente. Nel 2016 Ilion è stato pubblicato, in inglese, anche negli USA.
All’inizio del 2016 è uscito un numero della prestigiosa rivista francese Nouvelle École, con un lungo articolo, annunciato sulla copertina, dedicato a “Omero nel Baltico”. Poco dopo è uscita l’edizione francese, Homère dans la Baltique. (http://www.editions-astree.fr/BC/Bon_de_commande_Homere.pdf), che nel settem-bre 2016 è stata presentata in un caffè letterario di Parigi.
Vi sono sul web vari youtube su interviste dedicate all’argomento, ad esempio
Inoltre, una sintesi giornalistica delle vicende legate alla teoria sta sul sito http://www.antoniosocci.com/se-ulisse-navigo-i-mari-del-nord-una-tesi-che-rivoluziona-la-storia-della-civilta/#more-1897
Inoltre, il più importante canale pubblico in Estonia ha trasmesso un servizio sull’argomento lo scorso 24 gennaio alle ore 20 (https://novaator.err.ee/677080/pealtnagija-achilleus-oli-eesti-kangelane ).
Ecco alcuni commenti di studiosi sia italiani che stranieri:
“Fui molto colpito dalla Sua conferenza in Collegio Ghislieri sia per la innovatività delle Sue ricostruzioni storiche che per la mole di concordanze, veramente stupefacente. L’insieme degli argomenti che Lei propone è certamente tale da scuotere convinzioni profondamente radicate (…) Da fisico qual sono, posso ben comprendere il fascino intellettuale irresistibile della tesi non convenzionale, seguita da una fase di scoperte e conferme. Posso solo augurarLe un sempre maggior successo” (Virginio Giorgio Goggi, prorettore per la ricerca scientifica dell’Università di Pavia);
“Molto ben scritto, molto serio e molto stimolante. Un’opera preziosa” (Vittorio Castellani, Università di Pisa);
“Come geografo ed esperto del Nord trovo che la sua teoria meriti di essere presa molto seriamente (…) Essa allarga a dismisura gli orizzonti possibili per l’avventura umana” (Franco Michieli);
“L’autore propone una serie di ipotesi molto ragionevoli e molto razionalmente esposte, inanellando una serie impressionante di indizi (…) Libro stupefacente e spesso molto godibile” (Claudio Cerreti, Bollettino della Società Geografica Italiana, n. 1-2/2000);
“Omero nel Baltico è affascinante e ne è proponibile l’attendibilità” (Giorgio Galli, Università di Milano);
“Libro interessantissimo, che sto leggendo con gran passione. Sono tesi, le sue, veramente appassionanti” (Antonia Arslan, Università di Padova); “Omero nel Baltico ha arricchito le emozioni che mi avevano preso ascoltando la Sua splendida lezione in Università. Si è aperto, per me, un mondo nuovo e affascinante” (Alberto Gigli Berzolari, Università di Pavia);
“Ho letto con immensa curiosità e grande piacere la sua ricerca sull’Omero baltico” (Massimo Cacciari, filosofo);
“Tutta la civiltà greca delle origini, e tutti i miti classici, ci sono arrivati di là, tra Circolo Polare Artico e Mare del Nord (…) Scommetto che il Vinci può vincere” (Edoardo Sanguineti; l’intero articolo, pubblicato sulla pagina culturale dell’Unità dell’11.10.2003, si trova sul sito http://www.terraincognitaweb.com/wp-content/uploads/2009/07/sanguineti.pdf
“Extraordinarily interesting (…) and essential to ancient history and archaeological studies” (Stamos Metzidakis, Washington University).
“This book poses so many intelligent and pertinent questions and offers so many brilliant solutions to various problems contained in the Homeric epic that it would truly be a pity if it passed unnoticed” (Leszek Wysocki, McGill University);
“Homer in the Baltic is a rare example of a work that turns received notions upside-down. Vinci has do so with such thoroughness that, if one only credits half his examples, one is compelled to accept his thesis” (Joscelyn Godwin, Colgate University);
“Your thesis is both fascinating and revolutionary in terms of accepted lore” (Thomas Wyman, Stanford University);
“Felice Vinci has done what was considered an almost impossibility. He has opened up a new front in the battle lines of the Homeric question (…) After reading Vinci’s Homer in the Baltic, one is irresistably tempted to say “yes” to the origins of the Greek peoples in Scandinavia” (Victor DeMattei, storico e studioso delle culture balcaniche);
“It is hard to overstate the impact, both scholarly and imaginative, of Vinci’s compellingly argued thesis (…) Scholars will be rethinking Indo-European studies from the ground up and readers of Homer’s epics will enter fresh realms of delight as they look anew at the world in which Homer’s heroes first breathed and moved” (William Mullen, Bard College, N.Y.);
“The results of this research can be considered among the greatest discoveries of the 20th -21st centuries” (Tatyana Devyatkina, ordinaria di Filologia Classica nell’Università di Saransk, Russia);
“One of my favorite books is by Felice Vinci, an Italian nuclear engineer” (Karl Ove Knausgård, scrittore);
Ecco ancora i commenti di due studiosi tedeschi all’edizione recentemente uscita in Germania:
“I have now read your book from cover to cover, and I am deeply impressed. Your geographic and meteorological arguments are very strong, and I anticipate that after the usual period of hesitation, scholars of classical antiquity will accept them” (Theo Vennemann, linguista);
“More and more I am convinced that you will enter the Olympos of science with your extraordinary work and book” (Wilhelm Kaltenstadler, storico). – Stop –
CONCLUSIONE
Caro Tito, l’Iliade e l’Odissea sono due super-capolavori letterari, indiscusso patrimonio dell’Umanità, ma anche un documento della vita esistente circa 2 mila anni avanti Cristo (nel Mediterraneo o nel Baltico e dintorni). Fa poca differenza in realtà che le vicende ivi narrate si siano svolte prima nel Baltico e poi adattati nel Mediterraneo o viceversa. La tesi di Felice Vinci “avvince” e “convince” però potrebbe essere che i fatti si siano svolti davvero prima nel Mediterraneo e poi che siano stati adattati nel Baltico e dintorni dove il lungo buio e grande freddo costringono ancora adesso gli abitanti di questi luoghi “estremi” ad essere quasi fermi per almeno 6 mesi all’anno. E dedicarsi ai lunghi racconti, anticamente, avrebbe potuto essere un buon motivo per far passare la lunga notte buia e rigida invernale.
Infatti, come dimostra il vasto e meraviglioso Museo etnografico di Riga (Lettonia), visitato nel pomeriggio di mercoledì 25 luglio 2018, le famiglie, sedute accanto al fuoco nel lungo periodo del buio e del freddo, avevano tempo e modo per intrattenersi a far scorrere il tempo creando e raccontando storie fantasiose e complicate come i grandi poemi omerici. Tuttavia, pure da noi in Calabria, da bambini, attorno al braciere, ascoltavamo incantati i “cunticehy” cioè i racconti, le favole lunghe o brevi dalle persone adulte o anziane. Inoltre i cantastorie e i teatranti girovaghi o itineranti erano soliti (fino ai nostri anni sessanta) raccontare o portare in scena i fatti di cronaca più memorabili e appassionanti. Proprio come le avventure dell’Iliade e dell’Odissea.
Comunque sia andata la faccenda originaria del racconto omerico, tutta l’Europa (del nord e del sud) si può riconoscere in tale epopea, per cui lasciamo che l’Ulisse unificatore dei popoli europei affascini ancora e sempre e, appunto, unisca ancora di più, nel segno di un’identità comune, dell’amicizia e della collaborazione tra tutti i popoli europei, specialmente nella istituzione chiamata Unione Europea che va rafforzata e migliorata al massimo possibile. Non vedo alternative migliori.
Grazie, caro Tito! Alla prossima Lettera n. 220 e buon caldo agostano! Cordialità,
Domenico Lanciano (costajonicaweb)